6 aprile 2013

IL DUOMO DI BERCETO E I SUOI SECOLARI MISTERI…ALLA RICERCA DI TRACCE DEL SACRO GRAAL


di Paolo Panni
 


 


Sono secoli di storia molto intensa e gloriosa, ma anche di affascinanti misteri, quelli che accompagnano lo splendido Duomo di Berceto, tappa “d’obbligo” dell’antica Strada di Monte Bardone, meglio conosciuta come Strada Romea prima e Via Francigena poi. L’inizio della sua storia è da collocarsi nell’VIII secolo e protagonisti ne sono due grandi personaggi: il Re longobardo Liutprando che, qui, decise di costruire un monastero a presidio della via di Monte Bardone (importante direttrice tra il Nord ed il Sud Europa, specie per i Longobardi stessi) ed il Vescovo di Rennes Moderanno (o Moderano) che, mentre sostò nella chiesa del monastero dedicata a Sant’Abbondio Martire, sentì profondo il bisogno di vita contemplativa. Ed è proprio attorno alla figura del vescovo transalpino che, alla guida della diocesi di Rennes nell’VIII secolo, che si verificò il primo, straordinario evento. Per compiere il pellegrinaggio a Roma, con l’obiettivo di onorare la sepoltura dell'Apostolo Pietro, il Vescovo Moderano lasciò la sua città e si spinse verso il Mezzogiorno.

Lungo la sua strada si trovava Reims, la città in cui era sepolto San Remigio, il convertitore dei Franchi. Moderano ottenne qualche reliquia, da portare con sé verso Roma. Giunto al Passo della Cisa, nei pressi quindi di Berceto, si fermò per riposarsi, ed attaccò ai rami di un albero le reliquie di San Remigio, il Predicatore dei Franchi. Ripartendo, si dimenticò di quel prezioso bagaglio e quando, accortosene, tornò indietro per riprenderle trovò che non poteva più raggiungere il ramo. Questo, infatti, si era inspiegabilmente ed improvvisamente sollevato. Visto inutile ogni sforzo, il pellegrino promise di donare le reliquie, se avesse potuto riottenerle, al monastero della vicina Berceto, e soltanto allora il ramo si abbassò, permettendo al vescovo francese di raccogliere le reliquie, come un prodigioso frutto di santità. Fu così che Berceto, nota località montana sull'Appennino parmense, venne ad avere, nel suo monastero benedettino, alcuni resti di San Remigio, mentre il Vescovo di Rennes, Moderano, venne nominato da Liutprando, Re dei Longobardi, Priore di quello stesso monastero. Moderano tornò inizialmente in Francia, ma non per rimanervi. A Reims fece simbolico dono del monastero di Berceto all’abbazia di San Remigio; a Rennes, dette le dimissioni da vescovo, e fece eleggere un successore.
Fece quindi ritorno a Berceto, e vi restò fino alla morte, sopraggiunta pochi anni dopo e seguita quindi dalla canonizzazione del presule. Soltanto nel secolo scorso le sue reliquie vennero trasferite a Rennes, accolte con molto onore dalla città che, tutto sommato, avrebbe anche potuto considerare San Moderano come un Vescovo rinunziatario e fuggitivo. E’ noto tuttavia che il culto dei Santi non è vendicativo né astioso e che la coltre del tempo attutisce le possibili asperità della storia, e ancor più quelle della leggenda. Così la vicenda di San Moderano, e delle sue reliquie che vanno e vengono dall'Italia alla Francia, da Reims a Berceto, è tutta sfumata nella leggenda, anche se ricca di suggestione e di significato.

 


 (piviale di S.Moderanno custodito nel museo)



Il misterioso ritrovamento del "calice di vetro"


Il gioco sottile di luci ed ombre all'interno del Duomo sembra quasi velare e svelare alcuni segreti di questo antichissimo edificio, della sua storia, soprattutto quella monastica, meno documentata e studiata. Non sono infatti rimaste molte tracce del monastero che sorgeva accanto alla chiesa. Gli scavi effettuati negli ultimi 30-40 anni, hanno comunque portato alla luce resti di precedenti ed importanti costruzioni.



Nel corso, in particolare, di lavori effettuati nel 1971, per iniziativa del parroco don Giuseppe Bertozzi (appassionato cultore di storia locale ed autore di svariati testi), sotto l’altare maggiore venne alla luce una tomba e qui fu rinvenuto uno straordinario calice di vetro, uno dei pezzi più belli, antichi e misteriosi del Duomo, che diede per altro il via, di fatto, all’allestimento del Museo del Duomo (ideato e voluto dallo stesso don Bertozzi): vero e proprio gioiello che merita di essere visitato. Il calice in questione è un oggetto rarissimo, probabilmente unico. La tomba, come evidenziato, si trovava al centro del presbiterio e l’importanza dell’ubicazione, la profondità del livello dello scavo e il carattere di povertà della stessa (era infatti priva di insegne, di scritte sulla lastra tombale e caratterizzata da una muratura povera, a secco, ed il capo del defunto aveva come cuscino una pietra ed il giaciglio fatto in semplice asse di castagno) fa ipotizzare che si tratti di una sepoltura risalente al periodo della comunità monastica, perciò ascrivibile a periodi antecedenti il sec.XI. Se tale datazione dovesse essere confermata, questo calice di vetro potrebbe arrivare ad avere un interesse, oltre che un valore, incalcolabile. L’oggetto è di grande eleganza formale, con vetro sottilissimo, delicato e molto fragile, con effetti iridescenti. Nel piede e nella coppa le cordonature della soffiatura del vetro sembrano conferire un tocco voluto di raffinatezza. Tale calice è stato composto saldando insieme, con goccia di vetro, il piede, il gambo e la coppa. Del tutto affascinante e, ci teniamo a precisarlo immediatamente, assai impraticabile una ipotesi che vedrebbe associato questo calice nientemeno che alla Coppa dell’Ultima Cena, vale a dire, il celeberrimo Santo Graal. Si tratta, appunto, solo di una semplicissima ipotesi, certamente affascinante, che se da una parte non trova conferme di sorta, dall'altra è al centro di studi e verifiche. La prima ad associare il ritrovamento dell'antico calice alle storiche vicende del Graal, è stata la bercetese Daniela Agnetti, che tuttora sta portando avanti  studi, approfondimenti e ricerche. 
Come noto, ormai da anni si susseguono innumerevoli teorie, e speculazioni, sul destino e sul luogo in cui potrebbe essere custodito il Graal. Si va dalla Cattedrale di Bar a Castel del Monte, dalla Cappella di Rosslyn (in Scozia) alla chiesa della Gran Madre di Torino per arrivare a Rennes (guarda caso, la città francese di cui era vescovo San Moderanno), ma anche alle nostre Alpi. Per cinque secoli, il preziosissimo calice restò in Bretagna affidato ai sacerdoti della chiesa Aquae Sulis. Nel VI secolo a causa dell’avanzata di eserciti pagani si decise di trasportarlo in un luogo più sicuro.

 Un sacerdote s’incaricò di portarlo a Roma dal Papa, ma quando arrivò all’Isola Comacina (in provincia di Como), a causa dell’invasione dei Longobardi, fu costretto a fermarsi. Al Santo Graal fu dato il merito della resistenza riuscita contro i Longobardi, e sull’isola fu costruita una chiesa in suo onore. In un secondo tempo decisero di nascondere il calice in un luogo sicuro e lo occultarono in un pozzo in una zona imprecisata della Val Codera (provincia di Sondrio), da dove si persero le sue tracce. Ma, visto questo legame di Berceto con i Longobardi, e l’intreccio storico fra il percorso del Graal e le vicende dei Longobardi, ecco che anche il Duomo di Berceto potrebbe, ipoteticamente, essere inserito fra le località che, in qualche modo, hanno a che fare con la coppa dell’Ultima Cena: che in questo luogo, per altro, avrebbe potuto forse trovare la collocazione ideale in cui rimanere nascosta e ben custodita. Magari, chissà, di nuovo fra le mani dei monaci come era accaduto in Bretagna, quindi in Francia. Paese quest’ultimo, estremamente legato al borgo di Berceto, attraverso la figura di San Moderanno e, indirettamente, anche attraverso quella di San Remigio. E, diciamolo, anche per la presenza della Via Francigena che, a Berceto, trova da sempre una delle sue “tappe d’obbligo”. E sorgono, spontanee, anche alcune domande, che rendono ancora più misteriosa la vicenda. A chi apparteneva quella semplice tomba realizzata proprio al centro del presbiterio? Se la sepoltura, in sé, era semplice e povera, resta comunque l’assoluta importanza del luogo: quello in cui viene celebrata l’Eucarestia e si rinnova quindi il sacrificio di Cristo. Come evidenziato si tratta, con ogni probabilità, della tomba di un monaco. Ma perché, lo ribadiamo, realizzarne la sepoltura al centro del presbiterio e quindi nel “cuore” di tutto il complesso ecclesiastico? Chi era questo monaco? E perché non lasciare alcuna iscrizione? La sepoltura infatti, lo ricordiamo ancora, era priva di insegne, di scritte sulla lastra tombale e caratterizzata da una muratura povera, a secco, col capo del defunto appoggiato ad una pietra ed il giaciglio fatto in semplice asse di castagno. E come mai seppellire un monaco insieme ad un calice? Si trattava di un suo oggetto personale al quale era particolarmente legato? O era forse lui, questo religioso, a custodire il Graal, al punto di non voler rivelare la propria identità nemmeno sulla lastra tombale? Domande che rendono ancora più affascinante il mistero e che, per ora, trovano ben poche risposte.

 





Lo straordinario calice di vetro, come scrive anche l’amica Isabella Dalla Vecchia, oltre ad essere uno dei pezzi più belli, antichi e misteriosi del Duomo, è stato rinvenuto nella tomba di un monaco francese proveniente da Rennes. La tomba si trovava al centro esatto del presbiterio, precisamente sottostante l'area in cui di celebra l'eucarestia.
A tutto questo si deve aggiungere La lunetta del Duomo, sopra il portale, di cui parleremo più avanti, che mostra un fanciullo intento a raccogliere il sangue di Gesù in un’anfora. Il Cristo inoltre è stranamente raffigurato con gli occhi aperti, simbolo di Resurrezione o anche conoscenza.
Ci sono quindi molte coincidenze che porterebbero ad anche solo immaginare che questo straordinario oggetto possa avere a che fare con la reliquia più importante e ricercata dell'Umanità. Nessuno sa neppure se esiste il Sacro Calice, certo è che poter trovare quei segnali che lo circondano ci fa a volte sentire come gli antichi cavalieri (raffigurati tra l'altro nella lunetta) alla perenne ricerca del Graal. Ed è lecito supporre che, monaci o cavalieri che in passato hanno avuto a che fare con Berceto, fossero comunque custodi di notizie e segreti riguardanti il destino del famoso calice.
Tornano al sacro edificio, l'attuale Duomo di San Moderanno è il risultato di numerosi interventi realizzati sulla piccola “ecclesiola” dedicata a sant’Abbondio, a partire dalla riedificazione della chiesa-abbazia voluta dal re longobardo Liutprando nell'VIII secolo. Tre sono i periodi a cui risalgono i principali interventi: quello longobardo, di cui parla lo storico Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorun (fine VIII secolo) attribuendo a re Liutprando la fondazione del monastero di Berceto; quello romanico, di cui rimangono tracce soprattutto nelle sculture e nella zona presbiteriale, e quello rinascimentale dovuto all'intervento della famiglia dei Rossi.
Del primo periodo, quello longobardo, come evidenziato sono rimaste poche, ma importanti tracce, ascrivibili appunto all’VIII secolo: un pluteo longobardo, parte di una recinzione presbiteriale ora inserita nell'altare maggiore.



Il Crocifisso con gli occhi aperti e il fanciullo che ne raccoglie il sangue



Uno degli elementi più interessanti, come abbiamo già evidenziato, è quello dato dalla lunetta scolpita, inserita all’interno del magnifico portale d’ingresso. Al centro spicca il Crocifisso, la cui tipologia rimanda ai crocefissi lignei del XII secolo. Infatti Cristo è riprodotto vivo, con gli occhi aperti, vincitore sulla morte. Altra caratteristica dei crocefissi lignei è la presenza delle tabelle alle estremità del braccio orizzontale con le raffigurazioni dei dolenti. A sinistra sono raffigurati la Madonna in atteggiamento di composto dolore, un Santo anziano (sembra difficile identificarlo con San Giovanni, e secondo molti storici e studiosi dovrebbe trattarsi di Sant’Abbondio) ed un Vescovo che apparentemente non ha un’aureola: si tratta certamente di San Moderanno. Sulla destra, il centurione che colpisce il costato di Cristo con la lancia ed un fanciullo che si appresta a raccogliere il sangue in un’anfora. Seguono quattro soldati raffigurati in maniera caricaturale, con i grossi elmi appuntiti e l’espressione truce.



L’architrave mostra figure simboleggianti i vizi, opera di un artista locale di cultura lombarda, illustrano il Mistero della Salvezza, quindi del peccato e del riscatto per mezzo del sacrificio di Cristo. Si tratta di una decorazione che può essere interpretata come la riproduzione di una serie di temi caratteristici dell’iconografia medievale senza un chiaro legame tra loro. Da sinistra troviamo un animale mostruoso, due leoni di cui uno con un uccello (quasi sicuramente un corvo) che gli rode la schiena, un asino che suona l’arpa, quella che sembra essere una famiglia composta da marito, moglie e figliolo, tutti raffigurati con mani enormi, un grifone ed un cavaliere che lotta con una sorta di centauro armato di arco. Evidente è il senso etico generale del messaggio, che mette in guardia i fedeli dai falsi profeti e dalla minaccia del male. Sugli stipiti, oltre ai telamoni che reggono l’architrave, si fronteggiano un simbolo della vita, la fiaccola, e quello tipico della tentazione, il serpente. Da segnalare anche, sul portale nord, sul fianco sinistro del Duomo, due sculture raffiguranti dei personaggi maschili, ora murate sul fianco sinistro del sacro edificio. Uno dei due porta una grossa chiave, ma rispetto a quando sostengono molti studiosi non sembra essere identificabile con San Pietro. Un altro tema “romeo” è raffigurato nella lunetta: l’adorazione dei Magi. I tre re Magi furono infatti percepiti dagli uomini del medioevo come i precursori di ogni pellegrinaggio: furono i “protopellegrini” che compirono il viaggio per incontrare Gesù.



La lapide della riflessione sulla vita e sulla morte

Nell'edificio attuale le parti medioevali, nonostante l'aspetto “neoromanico” della struttura, sono poche e facilmente individuabili osservando i paramenti murari. Gli interventi medioevali sono evidenti nella parte interna del muro perimetrale della navata di sinistra, nelle due absidi laterali, nei pilastri e, infine, nella parte bassa del tiburio, dove i conci di pietra sono di dimensioni diverse. Le tre navate sono invece il frutto del rifacimento voluto da Bertrando Maria Rossi. Il leone rampante, ripetuto più volte, indica chiaramente la nobile famiglia dei Rossi, signori di Berceto, ed in particolare lo stesso conte Bertrando, le sui iniziali sono scolpite sullo stemma della prima colonna a destra dell’ingresso principale. Dietro questo, nel medesimo capitello, pudicamente in contro luce, i due cuori dello stemma di Pier Maria il Magnifico, sembrano invocare l’ombra della misericordia divina sulle infedeltà coniugali del Conte. Altro elemento di particolare interesse è rappresentato dalla presenza, all’inizio della navata sinistra, di un sarcofago in marmo bianco, sorretto da quattro colonnine e sormontato da una cimasa a forma triangolare con stemma imperiale e iscrizione. Il sarcofago contiene il corpo di San Broccardo, predicatore tedesco, e nell’iscrizione si legge “Carolus imperator fecit fieri hoc hopus S.Brocardi MCCCLII”.




 Chiaramente tale iscrizione evidenzia che a fare realizzare questo sepolcro per S.Broccardo fu nientemeno che l’Imperatore Carlo IV° di Boemia. Un’altra iscrizione, incisa invece sul coperchio della cassa in piombo che racchiude le ossa del santo, ricorda il passaggio da Berceto di questo munifico imperatore. Il santo, vescovo di Würzburg, fu un monaco anglosassone missionario, vissuto nell’VIII secolo e compagno di san Bonifacio, che lo consacrò, secondo la tradizione, primo presule di Würzburg nel 741. In realtà la versione della presenza delle sue spoglie mortali a Berceto è meno attendibile di quella della sua sepoltura a Würzburg, da cui le sue reliquie sarebbero state poi traslate nel X secolo nel convento di Sant'Andrea, da lui fondato in quella città nel 747. Passando invece al presbiterio, è qui che si possono intravedere due casse plumbee quattrocentesche. Esse contengono le ossa di San Moderanno e del martire Abbondio. Reliquie ovviamente importantissime essendo del primo Abate e patrono di Berceto (San Moderanno) e del martire a cui fu dedicata la primissima chiesa del monastero. Incastonato invece al centro dell’altare vi è il pluteo longobardo: in assoluto, insieme al calice di vetro, il più prezioso ed antico reperto del Duomo. La simbologia eucaristica, quindi, è evidente nei pavoni, simboli di immortalità, che ai lati della croce si abbeverano a due calici; sotto, i cesti del pane formati dai caratteristici vimini intrecciati. Quando si sta per uscire dal sacro edificio, invece, lo sguardo non può che finire su una ermetica e misteriosa scritta incisa su una lapide terragna addossata alla parete interna della facciata, a sinistra per chi esce dal portone principale. Reca la data 1638 e vi si legge “Ho tu che passi per questa via torta e vai cerchado in questa ciecha via a me dimandi se la marte è morta io non la vidi mai mortae ma viva”. Se è chiaro l’invito a riflettere sul senso della vita e della morte, misterioso ne è l’autore. Tuttavia l’iscrizione, all’interno della lapide, riguardante la Confraternita del Santissimo Sacramento della Chiesa di San Moderanno può essere già un significativo indizio.






TESTI E FOTO DI PAOLO PANNI


FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

Don Giuseppe Bertozzi, “Berceto, il Duomo, un paese e il suo territorio”, III ediz. Stamperia Scrl Parma, 2003

Alfredo Caligiani, “Viaggio tra il Taro e il Ceno”, Corrado Tedeschi editore, 2007

Clara Rabinovici, “Le Pievi del Parmense”, ed. Battei, 2004

“Il Museo del Duomo di Berceto e la Pieve di Bardone”, ed. Edicta, 2006
M.Fallini, M.Calidoni, C.Rapetti, L.Ughetti, “Terra di Pievi”, Mup Editore, 2006



Per la cortese collaborazione si ringrazia la bercetese Daniela Agnetti. 

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