5 giugno 2013

STORIA E MEMORIA DEGLI EBREI A BUSSETO



di Paolo Panni


“Storia e memoria degli ebrei a Busseto” sono stati al centro di una serata culturale che si è tenuta nel Salone Barezzi di Busseto, nell’ambito della quarta edizione de “I martedì della storia” (rassegna promossa dal Movimento culturale per la Bassa Parmense). Relatrice dell’incontro, la professoressa Lisetta Long Muggia, di fatto l’ultima esponente della comunità ebraica di Busseto. Ad introdurre la serata sono stati il professor Corrado Mingardi e Giorgio Yehuda Giavarini, presidente della Comunità ebraica di Parma. Quest’ultimo ha sottolineato che “la presenza ebraica in provincia di Parma riguarda soprattutto la Bassa e, in particolare, Busseto, Soragna, Colorno, Borgo San Donnino ed i vicini centri piacentini di Cortemaggiore, Fiorenzuola, Monticelli d’Ongina”.




Nessun mistero, lo anticipiamo subito, accompagna la storia degli ebrei a Busseto. Tuttavia, trattandosi di una pagina di storia decisamente poco conosciuta, con tanti aspetti inediti emersi nel corso della serata, abbiamo deciso di dar spazio all’evento su questo blog. Perché tra le finalità di Emilia Misteriosa c’è anche quella, non secondaria, di far luce su pagine di storia rimaste celate nell’ “ombra”.



Aprendo il suo intervento, Lisetta Long Muggia ha subito evidenziato la vastità dell’argomento, invitando, per approfondimenti, al volume “Ebrei a Parma” di Lucia Masotti ed al libro sulla storia di Busseto di Manfredo Cavitelli. Entrambi i testi sono disponibili nella Biblioteca della Fondazione Cariparma di Busseto.







“Io – ha detto Lisetta Long Muggia – sono l’ultima esponente della comunità ebraica di Busseto e la cosa mi mette molta malinconia. Mi pone inoltre di fronte ad un problema morale: quello di consegnare documenti e ricordi a qualcuno che li porti avanti oltre la mia vita”.

Entrando quindi nel tema della serata ha ricordato che “i primi ebrei si stabilirono nelle province di Parma e Piacenza all’inizio del Quattrocento. Provenivano sia dall’Italia Meridionale che dalla Germania. Dall’Italia Meridionale perché occorre ricordare che nel 1492, nell’Italia del Sud, Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia mandarono via gli ebrei dalla Spagna e dal territorio che faceva capo al Governo Spagnolo. Ecco così che risalirono la Penisola. Alcuni si fermarono nello Stato Pontificio, dove esiste la comunità ebraica più antica di tutta la Diaspora. Altri invece arrivarono dalla Germania, dalla Polonia e dall’Europa Centrale. Erano gli Ashkenaziti che, nell’antichità viaggiavano molto. Nel tempio di Busseto, che era situato in via Del Ferro, il rito era Ashkenazita”. E questo è già un fatto singolare visto che nella vicina Soragna, dove si trovano ancora la Sinagoga ed il Museo Ebraico, il rito era Sefardita (proprio degli ebrei provenienti dai territori che erano sotto il dominio iberico).

Sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza, gli ebrei non ebbero mai problemi di sorta. Le cose cambiarono nel 1555, esattamente a partire dal 14 luglio, quando Papa Paolo IV (Gian Pietro Carafa) pubblicò una bolla “Cum Nimis Absurdum” (“Poiché è oltremodo assurdo”) con la quale vennero istituiti i ghetti. Gli ebrei furono così cacciati via da molte città, trasferendosi di conseguenza in borghi di provincia, trovando condizioni di vita meno disagiate. Nel Parmense si stabilirono, come sottolineato, tra Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza), Busseto, Colorno, Roccabianca, Sissa, San Secondo, Soragna, Torrechiara. Nel Piacentino, a Cortemaggiore, Fiorenzuola e Monticelli d’Ongina. “Erano tutte piccole comunità – ha spiegato la professoressa Long Muggia – che non superavano mai le 200 persone. A testimoniarle sono rimasti i cimiteri. A questo riguardo, ricordo che l’ebreo quando viene sepolto non può più essere toccato . La sepoltura esclude l’incenerazione, ma deve essere soltanto una inumazione, il più possibile vicino alla terra secondo il motto “polvere sei e polvere ritornerai”. Ecco quindi che i cimiteri sono i testimoni di queste comunità. In quegli stessi anni – ha aggiunto – vennero istituiti i banchi d’impegno, visto che per la religione cattolica dare denaro a prestito o pagare interessi negativi era un peccato. Di conseguenza si domandava volentieri agli ebrei che, dai cattolici, erano considerati dei senza Dio. Del resto non dimentichiamoci che persiste sempre, su di loro, l’accusa di Deicidio: cioè l’ebreo è quello che ha ucciso Gesù Cristo. Vennero così istituiti i banchi federatizi. Col tempo ci si accorse che, tutto sommato, con questi banchi gli ebrei prosperavano. Si cercò allora di provvedere istituendo il Monte di Pietà. Ed anche il Monte di Pietà di Busseto è di fatto una risposta al problema del prestito ad usura che gli ebrei concedevano. Queste piccole comunità – ha proseguito – tutto sommato vivevano abbastanza tranquillamente. L’unica seccatura era quella di dover posizionare sul vestito un contrassegno che poteva essere una stella gialla, un cerchio, un berretto giallo per gli uomini, o un foulard giallo per le donne. Successivamente, con la Rivoluzione Francese vennero istituiti i principi di libertè, egalitè e fraternità che rifluirono anche in Italia e così si abbatterono le mura dei ghetti”.




A questo punto è intervenuto il professor Corrado Mingardi ricordando che “i Monte di Pietà sono stati fondati dai Francescani: in un certo senso contro gli ebrei. Quello di Busseto nacque nel 1537 e, al momento della costituzione, non solo si serve del denaro dei tre marchesi Pallavicino e di altre donazioni, ma tra i donatori c’è anche una famiglia di ebrei. E questo certamente stupisce. Gli studenti di Busseto potevano accedere ad una borsa di studio istituita da questo Monte di Pietà. Lo stesso Giuseppe Verdi ne ha goduto. Anche il padre di Isacco Gioacchino Levi (divenuto poi un importante pittore), chiese una borsa di studio perché il figlio frequentava l’Accademia di Belle Arti a Parma. I reggenti del Monte di Pietà di Busseto si riunirono quindi per esaminarla e nei verbali è scritto che non viene concessa, con uno dei presenti che fa mettere a verbale che non si è mai sentito che una borsa di studio del Monte di Pietà sia stata concessa a un ebreo (la famiglia Levi lo era). Ma sappiamo che gli italiani sono di una grande elasticità e, siccome il nostro Monte di Pietà doveva completare la serie dei ritratti ei sovrani di allora, e visto che Gioacchino Levi studiava belle arti, a lui fu affidata la realizzazione, ogni anno, della copia di un ritratto di un Duca di Parma e così, in questo modo, gli furono sovvenzionati gli studi. Inoltre – ha fatto sapere Mingardi – il quadro con cui Gioacchino Levi vince il Pensionato di Maria Luigia per andare a Roma a perfezionarsi, ha come soggetto la fondazione del Monte di Pietà e vi compaiono i tre marchesi Pallavicino che ascoltano, il notaio che legge il rogito di fondazione, padre Majavacca dei Minori Francescani di Busseto che ha lanciato l’idea del Monte di Pietà a Busseto e c’è anche un altro personaggio che è il primo degli autoritratti di Levi”. Levi che, come aggiunto quindi da Lisetta Long rappresenta “una figura estremamente interessante e controversa. Era ebreo infatti, ma sposò una cattolica e sulla lapide, nel cimitero di Busseto, è scritto “Voglia iddio Misericordioso concedere quella pace che mai trovò in vita”. Va detto che i matrimoni misti, tra ebrei e cristiani, davano vita chiaramente a problemi, a cominciare dall’educazione degli figli perché chi vuole essere religioso deve seguire numerose norme ebraiche che si scontrano con quelle di religioni diverse. Il Levi ha sicuramente fatto i conti con questi problemi ed ha vissuto fuori dalle righe”.

Lisetta Long ha quindi fanno notare che a Busseto vi era stata una bella integrazione degli ebrei, al punto che un rabbino arrivò a concedere il permesso di suonare l’organo di sabato: cosa assolutamente straordinaria.




“Busseto – ha detto Lisetta Long – è stato un centro ebraico estremamente importante. E’ stato un centro di studi: pensate che ben 25 documenti che fanno capo a Busseto si trovano in musei sparsi in tutto il mondo: a Londra, New York, Kyev, Mosca, Gerusalemme. C’è anche una splendida Ketubah (vale a dire un contratto nuziale, visto che per gli ebrei il matrimonio non è un sacramento ma, appunto, un contratto che si stipula tra uomo me donna, con la presenza di testimoni e si può celebrare ovunque) ritrovata a Busseto”.

Parlando del tempio ha precisato che “questo non è una ‘chiesa’ ma è la casa della comunità. L’ambiente maschile e femminile è rigorosamente diviso ed in alcuni templi vi è una sorta di matroneo, cioè un corridoio, nella parte alta. Altri, come quello di Busseto, non essendovi le possibilità, erano costituiti da una stanza separata da bellissime grate in legno intagliato. Personalmente – ha ammesso – ho un rimorso: quello di essere stata la causa indiretta del trasferimento del nostro tempio in Israele. La sinagoga di Busseto, infatti, oggi è a Gerusalemme, in una scuola religiosa, lungo quella che viene definita ‘strada degli amanti di Sion”. Io – ha raccontato – avevo 16 anni e parlando con un’amica mi vantavo del fatto che si aveva questo tempio a Busseto. Questa amica ha fatto venir giù in gran fretta un rabbino, di cui taccio il nome, hanno imballato tutto in fretta e furia mandato tutto in Israele. Era il 1964 e la cosa mi fa ancora piangere. Sono stata là a vederlo ed è tenuto nella polvere: mi chiedo come si faccia a tenere dei legni settecenteschi impolverati. Almeno, però, è usato. Durante la guerra – ha ricordato ancora – è stato affidato al due signore della famiglia Orsi, Caterina e la figlia Elena, che lo hanno preservato dai nazifascisti. Questi si erano presentati e volevano raggiungerlo ma le due signore hanno ceduto la loro casa, trasferendosi nel tempio e lasciando la loro abitazione ai militari. In questo modo la sinagoga si è salvata e direi che quella di Caterina e Elena Orsi è stata un’opera meritoria e straordinaria. Del resto – ha affermato parlando del periodo della Shoah – la mia famiglia può soltanto essere grata a Busseto. Dopo l’8 settembre mia madre è stata avvisata, da Giorgio Vernizzi, sul fatto che io giorno successivo la sarebbero venuti a prendere. Così è scappata, con mia nonna, aiutata dai signori Cannara che le hanno portate a Milano. Inoltre, la mia ‘dada’ ha dato la sua carta d’identità a mia madre che così, per due anni, si è chiamata ‘Annalice Michelazzi’: le due donne tra l’altro si somigliavano. Sicuramente, in comune, qualcuno all’epoca ha falsificato le carte d’identità, a costo della sua stessa vita, per salvarci. In quel periodo si sono salvati anche molti quadri: di 11 totali ne sono tornati 6. La mia famiglia – ha ribadito – ha una grande e profonda riconoscenza verso Busseto, che ci ha aiutati molto. Ricordo che quando mia madre morì era presente tutto il paese, ed una delle lettere più belle me la scrisse don Tarcisio Bolzoni”. Da sottolineare, purtroppo, che 11 parenti dell’ultima esponente della comunità ebraica di Busseto sono morti nei campi di concentramento, tra cui alcuni cugini di Cremona (compresa una bambina che, all’epoca, aveva due anni).




Lisetta Long ha quindi ricordato che l’ultimo Barnizvah (cerimonia che si effettua per il raggiungimento della maggiore età religiosa) nella sinagoga di Busseto è stato quello di suo zio Flaminio, nel 1917. “Busseto – ha poi fatto sapere – non ha mai potuto avere un rabbino stabile perché la comunità non era molto ricca. Questo a differenza di Soragna, dove la comunità era molto più ricca e quindi era presente un rabbino stabile. A Busseto c’è però stato un passaggio di rabbini estremamente importante, specie tra il Seicento ed il Settecento”.
Per quanto riguarda le famiglie, ha ricordato i Levi, i Muggia, i Vigevani, i Monselice ed i Padoa (queste ultime due, però, solo di passaggio). “Una figlia dei Monselice – ha ricordato – si convertì al cattolicesimo e il padre, per il dispiacere, se ne andò. Del resto qui alcune conversioni di cono state, celebrate sempre con grande pompa, con padrini e madrine di alto lignaggio, e col paese e le chiese impavesate a festa”. Ha poi citato altre famiglie ebraiche come i Finzi, i Fano, i Fontanella ed i Foà. Di molte di queste famiglie resta traccia evidente nel cimitero posto appena fuori dal centro storico, lungo la vecchia strada per Bersano. Scomparso invece il vecchio cimitero che si trovava nei “Prati della monta”, ancora più vicino al centro storico.




La sinagoga, come evidenziato, aveva sede in via Del Ferro, ma per un periodo anche di fronte al Monte di Pietà. “Tra i documenti che ci sono ancora qui in Biblioteca a Busseto – ha spiegato – c’è una copia del Vessillo Israelitico, il giornale che aveva diretto il mio bisnonno a Casale Monferrato, dove era Rabbino Capo”.,

C’è poi il capitolo Giuseppe Verdi. Il Cigno, come dichiarato da Lisetta Long “fu sempre un grande amico degli ebrei. Il mio bisnonno lo incontrò una prima volta in treno a Cremona, poi alle Terme del Tettuccio a Montecatini. Parlando col pittore Levi venne anche a conoscenza di un episodio legato ad un canonico cattolico, fanatico ed antisemica, che perseguitava un ebreo. Questi si lamentò col pittore Levi, che lo riferì a Verdi che pare pronunciò queste parole: “che diavolo! In Italia di questa roba?”. Si dice che fu quindi Verdi stesso a parlare col canonico ed a sistemare la cosa. Credo altresì che il maestro Verdi si sia interessato di musica ebraica, ma non ho documentazioni a riguardo”.




Lisetta Long si è infine soffermata su alcune regole che, nella religione ebraica, contraddistinguono cucina ed alimentazione ed ha parlato delle principali feste relgiose. Infine, in attesa di mettere a disposizione ulteriori carte, ha donato al professor Mingardi, a favore della Biblioteca della Fondazione Cariparma, tre storici manifesti, del periodo della prima guerra mondiale, firmati dal nonno Achille Muggia, che di Busseto fu sindaco in quegli anni.


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