28 agosto 2013

"Le Stanze del Tempo" intervista Paolo Panni di Emilia Misteriosa


di Emilia Misteriosa



Secondo spazio dedicato alle Interviste agli "addetti ai lavori" del settore Mistero.
L'intervistatrice è Melissa Ghezzo, responsabile del blog
"Le Stanze del Tempo"
e l'intervistato è Paolo Panni, socio di Emilia Misteriosa.









Melissa Ghezzo

Paolo Panni è un giornalista appassionato di paranormale, mistero ed Urbex. Racconta della sua passione che porta avanti fin da ragazzo e del suo rapporto con l'ignoto. Un ragazzo impegnato nel sociale che ama le persone e, con entusiasmo, mi ha concesso una piccola intervista parlandomi anche dell'associazione "Emilia Misteriosa".

Leggi tutta l'intervista sul blog  "LE STANZE DEL TEMPO" !




 
 
 
Emilia Misteriosa ringrazia Melissa Ghezzo per l'intervista al nostro associato Paolo Panni
 


26 agosto 2013

IL MISTERIOSO CASTELLO DI SPETTINE



di Paolo Panni






Nonostante le sue condizioni, di evidente rovina, continua a dominare, imponente e misterioso, nel mezzo dei colli piacentini. Stiamo parlando del castello di Spettine, antico fortilizio posto nel territorio comunale di Bettola, di cui si ignora la data di costruzione. Il maniero versa, da tempo, in condizioni di totale abbandono, in larga parte ricoperto dalla vegetazione e presenta, purtroppo, crolli sempre più evidenti e significativi. Di questo maniero, che sorge su un colle a guardia di una antica via di raccordo tra le valli Nure e Trebbia, si ignora la data precisa di costruzione. Raggiungibile soltanto a piedi, o con mezzi fuoristrada, è un luogo ricco di fascino: e di misteri. Il primo possesso fu senza dubbio della nobile famiglia che appunto dalla località prese il nome: i Da Spettine che annoverarono personaggi di rilievo nell'ambito piacentino in epoca comunale. Da citare, in particolare, Guglielmo Da Spettine, che, nel 1272 fu canonico di S. Antonino e decano di Antiochia nonché cappellano di Papa Gregorio X (il piacentino Tebaldo Visconti) e fece a lungo parte dell’entourage del cardinale Ottobono Fieschi; oppure Albertino che nel 1304 fu podestà di Alba e quindi di Asti; ed ancora Pietro, podestà di Tortona nel 1305.
 





Nel 1396 il duca Gian Galeazzo Visconti diede procura ad Antolino de Angusolis, podestà di Pavia, affinchè comprasse a suo nome il maniero che fu poi assediato nell'aprile del 1440 dal conte Giovanni Anguissola, nobile condottiero piacentino, e dai suoi seguaci, che provocarono anche gravi ed ingenti danni alla Val Nure. In seguito il feudo di Spettine, unitamente a quelli di Macerato, Pradovera e Montebarro, passò agli Anguissola i quali ne vennero privati nel 1462 da Francesco Sforza, duca di Milano per avere Onofrio Anguissola, in quello stesso anno, capeggiato una sollevazione di contadini. Dopo l'uccisione dell'Anguissola, avvenuta nel castello di Binasco, nei pressi di Milano dopo molti anni di prigionia, il duca investì di quei beni il suo camerario, Gian Francesco Attendolo. Da segnalare anche che all’inizio del Cinquecento il conte Gian Ludovico Caracciolo (condannato a morte e giustiziato per tradimento nel 1517) ottenne dal re di Francia conferma della sua signoria su varie località della Val Trebbia e Val Perino e su metà del feudo di Spettine; la restante parte competeva invece al conte Francesco Maria Anguissola.





Nomi quindi di importanti e nobili famiglie, come i Da Spettine, gli Anguissola, i Visconti e gli Sforza si alternarono quindi nella proprietà di questo luogo. Tra l’altro, all'inizio del XVI Secolo, peraltro, si ritrovano nuovamente gli Anguissola proprietari di metà del feudo di Spettine (l'altra metà era stata concessa dal Re di Francia al già citato Conte Gian Ludovico Caracciolo).

E’ anche molto plausibile che, con l'affermarsi del potere centrale dei Farnese come guida del Ducato di Parma e Piacenza (istituito nel 1545 da Papa Paolo III), l'importanza degli antichi confini tra feudi appartenenti alle varie famiglie nobili sia venuta meno, e così la rilevanza dei castelli destinati a difenderli. Del resto, la maggior parte degli antici fortilizi si mostrava ormai inadatta a resistere alle nuove tecniche d'assedio, che prevedevano un sempre maggiore impiego di armi da fuoco.

Da sottolineare che già dalla seconda metà del XVII Secolo il castello di Spettine cessa, di fatto, di comparire negli annali storici locali. E’ quindi possibile che da, in linea di massima, da quel momento sia stato abbandonato e lasciato andare in rovina.



Nonostante le evidenti condizioni di abbandono e rovina, sono degni di particolare interesse i locali interni. Di spicco, in particolare, al piano terra, la Sala del Tribunale nella quale vennero giudicate non poche persone. Rimangono inoltre, ancora evidenti, sia il carcere maschile che quello femminile. La prigione delle donne prende aria da una feritoia e bocca di lupo, è di modeste dimensioni e presenta ancora una evidente seduta per i bisogni corporali. Più ampio, ma privo di sedute, il carcere maschile. Interessante è anche la chiesa, posta sul ciglio del dirupo che aggetta sulla valle. L’edificio è in rovina ma se ne possono scorgere le caratteristiche di edificazione; si può ad esempio osservare la pianta a croce latina con l'altare rivolto ad oriente. Non mancano inoltre le notizie sull'importanza di questo edificio nei secoli passati.
Era certamente la più antica della Provincia ed è risaputo che vi si tumulavano salme provenienti dai paesi limitrofi.
In un documento citato dal Campi, si parla di una donazione fatta da Diotisalvi della famiglia Farimonda della chiesa di S. Maria di Spettine alla chiesa di S. Savino di Piacenza. La nostra associazione ha effettuato, poche settimane fa, un sopralluogo sul posto svolgendo anche alcune brevi verifiche di carattere paranormale, con la presenza anche di una medium. E’ stata, va evidenziato, solo una visita fugace che non ha prodotto risultati di rilievo. Ci riserviamo una più accurata indagine quando le condizioni ambientali lo permetteranno.







NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE



www.mondimedievali.net

www.valnure.info

 www.esplora.piuaseinza.com

www.panoramio.com

 www.metropolis.it

www.altavaltrebbia.net http://members.xoom.virgilio.it/felcher/bettola/bettolafrazionispettine.html



LE FOTO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE. PER UN LORO UTILIZZO E’ NECESSARIO CONTATTARE L’AUTORE O L’ASSOCIAZIONE.

21 agosto 2013

I VESCOVI DI PIACENZA E PARMA INVITANO I FEDELI A NON RECARSI A SAN BONICO


di Paolo Panni


E’ cosa nota a tutti, non solo ai cattolici praticanti, il fatto che in presenza di eventi ritenuti miracolosi e presunte apparizioni, la Chiesa si muova con estrema cautela e rigore. Accade ovunque, e non fanno differenza i noti fatti di San Bonico, piccola borgata alle porte di Piacenza, da anni salite agli “onori delle cronache” per le presunte apparizioni mariane di cui sarebbe testimone il veggente Celeste Orbetelli. Apparizioni che, in ogni occasione, richiamano sempre decine e decine di persone, tra fedeli e curiosi, soprattutto dall’Emilia, ma non solo. Si tratta di accadimenti di fronte ai quali la Diocesi di Piacenza-Bobbio, sul cui territorio si trova San Bonico, per anni è rimasta in prudenziale silenzio. Silenzio che è stato invece rotto nel mese di giugno, dal vescovo monsignor Gianni Ambrosio che, in occasione della festività del Sacro Cuore di Gesù, è intervenuto, per la prima volta, sugli avvenimenti di San Bonico. Già da quattro anni il presule ha affidato ad una commissione l’incarico di raccogliere elementi utili volti ad un’adeguata valutazione. Commissione che, secondo quanto riferito dallo stesso Monsignor Ambrosio, appunto durante la festa del Sacro Cuore “ha evidenziato il rischio di compromettere la dottrina cristiana sia per le omissioni o carenze nei messaggi, sia per il linguaggio usato nei messaggi stessi poco in linea con la tradizione cristiana”. A sollevare le preoccupazioni dell’Autorità Ecclesiastica sono stati soprattutto gli eventi del dicembre 2012, in pieno periodo natalizio, quando la Vergine avrebbe consegnato, nelle mani di Celeste Orbetelli, un’ostia, in presenza di numerosi testimoni, oltre che di un sacerdote della diocesi di Parma. In seguito a quei fatti, al sacerdote in questione, ma anche agli altri presbiteri ed ai fedeli, è stato chiesto, senza mezzi termini, di non partecipare più ai fatti di San Bonico.

Di seguito riportiamo per esteso il testo del vescovo Ambrosio.






“Sappiamo che, da quasi dieci anni, a San Bonico, avvengono ‘fatti’che richiamano parecchie persone. Con la dovuta discrezione, nel 2009 ho affidato ad una Commissione il compito di raccogliere gli elementi utili per un’adeguata valutazione per l’opportuno discernimento. In particolare la Commissione ha evidenziato il rischio di compromettere la dottrina cristiana, sia per le omissioni o carenze nei messaggi che il signor Celeste Orbetelli riceverebbe dalle presunte apparizioni della Madonna, sia per il linguaggio usato in questi messaggi, poco in linea con la tradizione cristiana. Con una lettera e in un colloquio personale, il 15 febbraio 2001 ho invitato il signor Celeste ad essere vigile per non trovarsi, al di là delle sue intenzioni, lontano dalla Dottrina Cattolica.

Recentemente è accaduto un ‘fatto’ che coinvolgerebbe l’Eucaristia. La Madonna avrebbe consegnato al signor Celeste un’ostia. In un recente colloquio con il signor Celeste e la sua famiglia, alla presenza del suo parroco, ho ribadito che il rischio, già evidenziato in precedenza, è diventato ancor più vistoso. Per cui ho insistito affinchè la vita cristiana di Celeste e della sua famiglia sia sostenuta dalla Parola del Signore, dai Sacramenti e dal Magistero della Chiesa. Poiché era presente un sacerdote della diocesi di Parma a quel ‘fatto’ in cui la Madonna avrebbe messo nelle mani di Celeste un’ostia, ho informato il Vescovo di Parma che ha invitato il sacerdote a non partecipare ad altri incontri.

Il 23 maggio 2013, nel 463° incontro, la Madonna avrebbe promesso di portare ancora ‘il Corpo di Cristo’. Vi leggo il messaggio: La Madonna appare, bellissima, nella grande luce con le mani giunte, con i soliti 3 angeli vicino, scende sul campo, si abbassa, resta qualche minuto a guardarci sorridente, chiede a Celeste di allungare la mano sinistra e Lei gliela tocca con la sua mano destra, poi allarga le mani e dice: ‘Come ti ho promesso, davanti a tutti presto ti porterò il Corpo di Cristo ancora, proprio lì da quella mano, da dove hai già preso l’altro. Ti raccomando figlio mio, non lamentarti mai ti prego, non sei mai da solo, il Signore non ti abbandonerà. Dì a tutti di pregare ti prego, diglielo. Portate con voi un angelo che stasera vi mando in mezzo a voi, con la benedizione che vi faccio sarà lì, in mezzo a voi per liberarvi, per aiutarvi. Ti raccomando prega, prega sempre di più. Vi benedico tutti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen’. La Madonna benedice, poi chiude le mani, sale nella lice con i soliti 3 angeli e scompare.

Se era già inopportuna la partecipazione a questi incontri soprattutto da parte di sacerdoti – scrive il Vescovo Ambrosio – a maggior ragione diventa ancor più inopportuna la partecipazione ad incontri in cui venisse portato il ‘Corpo di Cristo”. Sarebbe anzi motivo di turbamento e forse anche di scandalo dei fedeli. Per cui ho il dovere di raccomandare ai sacerdoti di non partecipare a questi incontri. Peraltro, a quanto mi risulta, nessun sacerdote piacentino ha finora partecipato. Ma andrei oltre: con prudenza e delicatezza, cerchiamo di invitare anche i nostri fedeli a non partecipare a questi incontri.

E’ il caso di ricordare alcuni versi del saggio Dante che nel Paradiso, canto V, versi 73-78, scrive:


                                 “Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
                                  non siate come penna ad ogni vento,
                                  e non crediate ch’ogni acqua vi lavi.
                                 Avete il novo e ’l vecchio testamento,
                                 e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
                                 questo vi basti a vostro salvamento”.








Del tutto in linea con monsignor Ambrosio, anche il vescovo di Parma monsignor Enrico Solmi, informato dal confratello presule piacentino della partecipazione di un sacerdote di Parma agli eventi di San Bonico. Monsignor Solmi, in una lettera rivolta a sacerdoti e diaconi della diocesi, ha invitato a non partecipare, facendo proprio il comunicato del vescovo di Piacenza. “Carissimi presbiteri e diaconi – scrive monsignor Enrico Solmi - già da diversi anni in località San Bonico, provincia e diocesi di Piacenza, è solito radunarsi un gruppo di fedeli ogni giovedì sera per assistere a episodi che vengono da alcune persone ritenuti di carattere soprannaturale. In proposito si è di recente espresso monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza Bobbio, con un comunicato pubblico rivolto ai presbiteri che faccio mio condividendone appieno la forma e i contenuti”. Sempre secondo monsignor Solmi “la presenza di sacerdoti e diaconi, anche se a titolo personale, potrebbe ingenerare turbamento e disorientamento nei fedeli, nei confronti dei quali chiedo di usare la stessa cautela e prudenza. Tutti noi ben comprendiamo la delicatezza della questione e la necessità di una grande prudenza pastorale. Oltre ai contenuti dei messaggi delle presunte apparizioni, il coinvolgimento del sacramento dell’Eucaristia rende la questione estremamente complessa e grave. Chiedo perciò di attenervi a queste disposizioni, astenendovi dalla partecipazione ed evitando qualsiasi invito personale o pubblico a frequentare le assemblee sopra descritte”.

Posizioni chiare e nette che, tuttavia, non sembrano aver trovato terreno fertile fra la gente. Se, da una parte, pare che di sacerdoti e religiosi non si sia più vista nemmeno l’ombra, dall’altra l’eco delle presunte apparizioni di San Bonico non si spegne, e l’affluenza di fedeli e pellegrini pare farsi sempre più considerevole.


FONTI SITOGRAFICHE E FOTOGRAFICHE:

 
www.gazzettadiparma.it

www.liberta.it

www.diocesi.parma.it

www.diocesipiacenzabobbio.org



SI PREGA DI SEGNALARE EVENTUALI COPYRIGHT AL FINE DI UNA LORO CANCELLAZIONE O MODIFICA

20 agosto 2013

UN’ESTATE DI STRANI AVVISTAMENTI IN TUTTO IL PARMENSE




di Paolo Panni


Non si contano gli strani avvistamenti che stanno caratterizzando, in tutto il Parmense, l’estate 2013. Dalla pianura alla montagna, dal Grande fiume all’Appennino, sono numerose le testimonianze da parte di persone che riferiscono di aver notato, in più occasioni, ed in modo evidente, curiosi oggetti luminosi, di colore rosso o giallo, solcare i cieli emiliani. Emilia Misteriosa, dopo aver dato spazio, in anteprima, ed in esclusiva, agli avvistamenti avvenuti nel mese di giugno a Castione Marchesi e nella vicina Roncole Verdi, secondo quelle che sono le proprie finalità, ha deciso di approfondire l’argomento che sta comprensibilmente stuzzicando la curiosità, e la fantasia, di tante persone. Lanterne cinesi? Palloni sonda? Satelliti? Ufo? Questi sono gli interrogativi che tanti si pongono dopo essere stati al centro di questi avvistamenti. Emilia Misteriosa, lo anticipiamo subito, non è in grado di dare una risposta definitiva anche a fronte del fatto che le segnalazioni sono, il più delle volte, povere di particolari e le immagini, quasi sempre realizzate con telefonini cellulari, sono altrettanto scarse. Il nostro compito è quello di divulgare e, quindi, far conoscere ad un pubblico più vasto ed eterogeneo, questi accadimenti. In attesa che, prima o poi, qualificati esperti del settore, possano dare una riposta ad interrogativi che sono anche nostri.

Andando per ordine, ecco che sfere di luce sono state viste, in orari serali, tra il 16 ed il 22 giugno nella zona di Roncole Verdi ed il 28 giugno a Castione Marchesi. Fenomeni analoghi si sono quindi verificati l’11 agosto, sempre in serata, a Busseto.




In tutti i casi vi sono più testimoni oculari che confermano questi avvistamenti. Spostandosi in montagna, ecco che uno dei territorio maggiormente interessato da situazioni pressoché identiche, è quello di Berceto. Nei cieli bercetesi, sfere di luce sono state distintamente notate ad inizio luglio, il 13 luglio, il 3 agosto, l’8 agosto (in questo caso nella fascia preserale) ed il 19 agosto. Della vicenda è stato anche interessato l’esobiologo Giorgio Pattera, che ha tra l’altro tenuto una conferenza nella stessa Berceto. E proprio durante questa conferenza è emersa la testimonianza di Alberto Andrei, ex dipendete comunale, volontario Avis, al centro anche lui di un paio di avvistamenti. Una dichiarazione, la sua, uscita anche sulla stampa locale, in un articolo pubblicato il 19 agosto sulla “Gazzetta di Parma”. “Io – come si legge nell’articolo stesso – sono un volontario Avis e, dopo la festa della nostra associazione, nella notte tra il 3 ed il 4 agosto, mi trovavo con altri volontari a smantellare la struttura allestita nel campo sportivo. Tra mezzanotte e l’una – ha raccontato – ho visto nel cielo 5 o 6, non saprei dire il numero esatto, strane luci di colore arancione. Guardandole bene sembravano piccole mongolfiere che seguivano una traiettoria precisa. La cosa curiosa è che a fine luglio, dalla finestra di casa mia, avevo già visto quegli strani oggetti. Non ho pensato subito agli Ufo, ma a lanterne cinesi o a qualcosa del genere. Fatto sta che è la prima volta che vedo qualcosa di simile a Berceto”.

Come già sottolineato, uno di questi fenomeni è accaduto quando ancora la luce del giorno illuminava Berceto. Era l’8 agosto e ne esiste anche una immagine, che ci è stata concessa da chi l’ha realizzata, e che pubblichiamo di seguito:





“Purtroppo – spiega la persona che è stata al centro di questo avvistamento (e che ha chiesto di rimanere anonima) si vede solo il contorno dell`oggetto, era comunque un velivolo a forma ovale che poteva ricordare un dirigibile, completamente assente di ali e non rilasciava nessuna scia. Non era ne grande ne piccolo, visibile bene a occhio nudo e volava non altissimo. L’ho visto per due sere sempre verso le ore 20 non mi risulta esistano aerei di questi tipi, penso più a una sonda. Per quanto riguarda gli avvistamenti di cerchi luminosi dai primi di luglio a ieri sera – ha aggiunto - ne sono avvenuti a mia conoscenza quattro e visti da tante persone” Un’altra testimonianza, relativa ai fatti di agosto, parla quindi di “tre dischi sopra l`ex albergo Gioli che, come impazziti, scheggiavano velocemente nei cieli poi puntavano a terra come se volessero andare addosso ai presenti i quali tutti sconvolti questa notte non hanno dormito sostenendo che non c`era niente di umano in ciò che hanno visto”. Infine, ecco le parole di chi è stato al centro dei fatti del 19 agosto: “Ieri sera, verso le 22.45, io ed altri abbiamo visto (apparivano per me molto più lontane di quelle precedenti) una sfera di colore rosa-arancione che si muoveva velocemente a scatti, quasi delimitando delle figure geometriche triangolari, insieme a due sfere di colore bianco, di dimensioni diverse, che invece si muovevano in maniera molto più lineare, fino a scomparire. Erano, come detto, molto lontane e questo fattore, a causa della mia vista, non mi ha consentito di cogliere molti particolari”.

Altri fatti molto simili, di cui per ora abbiamo scarse notizie, sarebbero avvenuti, sempre tra luglio ed agosto, nella zona di Borgotaro ed in quella di Tabiano.
A conti fatti, quindi, situazioni ed avvistamenti molto simili, avvenuti in tutto il Parmense, nello stesso periodo e nella medesima fascia oraria. E gli interrogativi ora sono tanti. Innanzitutto, di cosa si tratta? Se dovessero essere lanterne cinesi o palloni sonda, come tanti sostengono, come mai una così alta concentrazione di questi oggetti, in volo in tutta la provincia, nelle stesse fasce orarie? Forse, come qualcuno ha azzardato, ci viene nascosto qualcosa? E, se sì, che cosa? Sarà indubbiamente affascinante, e soprattutto interessante, arrivare a dare una risposta a queste domande. Per ora la questione resta avvolta dal mistero.



15 agosto 2013

SAN ROCCO: STORIA O LEGGENDA? IL 16 AGOSTO IN TUTTA L’EMILIA SI CELEBRA LA FIGURA DI UN SANTO LA CUI ESISTENZA E’ TUTTA DA DIMOSTRARE


di Paolo Panni





Il 16 agosto, e quindi subito dopo la solennità dell’Assunzione di Maria (15 agosto), si celebra la festa di San Rocco. Santo il cui culto è fra i più diffusi della Chiesa Occidentale: un fenomeno dalle dimensioni decisamente vaste, su cui si sono depositati secoli di storia e di leggenda. Celebre pellegrino, taumaturgo, ed eremita, secondo alcuni studiosi anche Terziario francescano, è particolarmente venerato nelle terre emiliane. Nel Parmense e nel Piacentino, così come nelle altre province dell’Emilia, non si contano le chiese e gli oratori a lui dedicati. Dalla Bassa all’Appennino, dalle città ai più piccoli borghi della campagna o della montagna, in quasi tutti gli edifici sacri vi è almeno una immagine del santo o, qualcosa legato alla sua storia ed al suo culto. Spesso e volentieri, chiese, oratori e devozioni, sono sorti laddove vi sono stati episodi di pestilenza. E’ noto infatti che San Rocco è conosciuto, soprattutto, come guaritore e taumaturgo. In epoche passate, quando le epidemie di peste erano ampiamente diffuse, San Rocco veniva invocato dai fedeli, al fine di ottenere guarigioni ed affinchè queste stesse epidemie venissero debellate. La sua storia è fortemente legata, e va ribadito, alle terre emiliane. Il Santo di origine francese avrebbe soggiornato a Sarmato ed a Caorso, avrebbe operato guarigioni a Piacenza. Nel pieno del medioevo, quando povertà e violenza, assieme a contagi ed insicurezze, flagellavano persone e comunità precarie ed indifese, questo personaggio soccorreva gli appestati divenendo ben presto una vera e propria icona della solidarietà e della fratellanza. Così dal Quattrocento in avanti la sua figura si è rapidamente imposta in tutta Italia ed in tutta Europa.
 





Permane però, sulla celebre figura del pellegrino e taumaturgo, un grande interrogativo. Quella che lo riguarda è storia o leggenda? La realtà del pellegrino originario di Montpellier è racchiusa in un paradossale contrasto: da un lato è uno dei santi più venerati della storia della Chiesa e del popolo cristiano, ma dall’altro la sua vita appartiene ormai più al limbo della tradizione e delle leggenda che non al dominio della storia, perché sono assai poche, e scarsamente documentate, le vicende conosciute ed attendibili del suo percorso umano e cristiano. L’oscurità è così fortemente diffusa ed evidente che, da tempo, non pochi esperti e studiosi, ritengono che la figura di San Rocco non sia altro che una pia invenzione.








Pochi anni fa è uscito un libro, “San Rocco Pellegrino”, edito da Marcianum Press (con tanto di presentazione del cardinale Angelo Scola), curato da Paolo Ascagni, uno dei massimi studiosi rocchiani, autore anche di altre pubblicazioni dedicate a San Rocco. Con questo volume, Ascagni ha cercato di districare le tracce della storia dalle secolari incrostazioni della leggenda, ripercorrendo le principali direttive di studio che, in particolare dall’Ottocento ad oggi, hanno recato di fare luce sulla indefinibile figura del santo. Ne è sorto un ritratto tanto problematico quanto avvincente dell’affascinante carisma di Rocco di Montpellier, uomo dai mille misteri, crocevia di questioni irrisolte ma simbolo sempre attuale della santità cristiana e dei valori umani più veri e profondi. 





A porre forti dubbi sull’esistenza di San Rocco è Pierre Bolle, celebre studioso e ricercatore dell’Università Libre di Bruxelles, che con Ascagni ha pubblicato “Rocco di Montpellier. Voghera e il suo santo” (2001). Secondo lo studioso belga si sarebbe di fronte ad un duplicato agiografico. In pratica il celebre santo di Montpellier sarebbe il “doppione” di un altro santo vissuto nel VII secolo, vale a dire Racho di Autun. Quest’ultimo, dati ecclesiastici ufficiali alla mano, è stato9 il primo vescovo franco di quella città, è morto intorno al 660; è festeggiato il 28 gennaio (ma anche il 5 dicembre) ed il suo nome è equiparato a “Ragoberto”, una concordanza in realtà molto discutibile. Per coloro che sono interessati ad approfondire ulteriormente la questione, rimandiamo ai saggi riportati diffusamente sul portale sanroccodimontpellier.it. Di fatto, Pierre Bolle dimostra che i numerosi racconti, cioè le antiche “Vitae”, infarciti di stereotipi, non sono affatto utili sul piano rigorosamente storico. E presenta invece numerosi indizi di natura liturgica, che gli consentono di arrivare a conclusioni originali e proposito dell’evoluzione del processo leggendario, prima che esso assumesse una forma letteraria. Per esempio, nella regione francese di Montpellier, una menzione del santo come “vescovo e martire” (ciò che in effetti egli non è), al 16 agosto di un calendario liturgico del XV secolo, era sempre stata interpretata come la confusione di un copista con San Raco, vescovo di Autun e protettore dalla tempesta, venerato come già anticipato il 5 dicembre. Come dimostra una ricerca più approfondita, anche diversi manoscritti della Linguadoca presentano questa particolarità. Essa, dunque, traduce piuttosto un uso liturgico regionale del santo di Autun spostato ad un’altra data del calendario, che è quella del 16 agosto. Questo è confermato da altri indizi di “duplicazione”: alcuni lezionari inediti del santo di Autun; una preghiera in francese medievale del XV secolo, che associa “pestilenza”, “peste” e “tempesta”; una messa in latino che associa “languores epidemiae” ed “aeris tempieres”; una xilografia provenzale della fine del XV secolo,, che riproduce entrambi i santi; infine, anche una tradizione italiana sulla vendita delle reliquie. L’accumulo di tutte queste testimonianze di natura liturgica, iconografica, leggendaria e storica porta di conseguenza a sostenere che San Rocco di Montpellier è un “doppione” agiografico di Raco di Autun, santo vescovo il cui culto pare risalire all’epoca merovingia. Tale sdoppiamento si è determinato principalmente per ominimia (Raco/Rocho) ed inoltre a seguito di un processo linguistico di aferesi, relativo alla sua funzione di “protettore”: “tempeste” è così diventato “peste”. Lo sdoppiamento è stato inoltre facilitato dalle concezioni medievali medico-aziologiche in materia di epidemie; derivate dalle teorie miasmatiche di Ippocrate e di Galeno, che stabilivano in modo molto netto un legame causale diretto tra le epidemie e le perturbazioni meteorologiche, specie le tempeste. Facendo ora un bilancio della questione, considerando le due principali cronologie dedicate al santo, emerge che la tesi tradizionale, quella di Francesco Diedo (che è la più conosciuta) presenta troppe incongruenze per poter essere accettata; la nuova, della “Scuola Italiana” è invece da ritenere più attendibile. Gli studiosi persuasi dell’esistenza di San Rocco sono pressoché tutti allineati alle posizioni della “nuova cronologia” che, di fatto, è la sola capace di risolvere, seppur in parte, i molti punti interrogativi che permangono sulla biografia del santo.







Paolo Ascagni, al quale a suo tempo è stato chiesto di esprimersi sulla esistenza o meno del santo, ha tenuto ad evidenziare che, se in Francia, il culto è nato da una contaminazione con San Raco determinando una “confusione liturgica”, in Italia la devozione è nata in modo del tutto indipendente tra Voghera e Piacenza. Sostiene quindi l’esistenza di un personaggio che ha vissuto episodi importanti della sua vita nella nostra zona, ed al quale sono state nel tempo attribuite leggende e cose non verificabili. Permane, in ogni caso, il simbolo sempre attuale della cosiddetta santità cristiana e dei valori umani più veri e profondi.


















LE VICENDE DI SAN ROCCO A SARMATO


Secondo la leggenda, San Rocco da Montpellier, di ritorno dal suo viaggio di pellegrinaggio a Roma si ammalò di peste mentre assisteva i contagiati ricoverati nell'ospedale di Santa Maria di Betlemme in Piacenza. Fuoriuscito dalla città, si rifugiò in una capanna o (secondo altra narrazione) in una spelonca nel bosco vicino a Sarmato, non lontano dal guado di Calendasco sulla via Francigena. Un cane ogni giorno rubava una pagnotta dalle cucine del vicino castello e si allontanava con la pagnotta in bocca; Gottardo Pallastrelli, signore del maniero, accortosi di questo fatto seguì il cane ed in questo modo incontrò il santo, a cui detto cagnolino portava la pagnotta (per questo San Rocco è sempre rappresentato con, al fianco, un cagnolino con un pezzo di pane in bocca). Gottardo assistette Rocco sino alla guarigione di quest'ultimo e quando San Rocco -guarito- ripartì, Gottardo lasciò i suoi beni per divenire anch'egli pellegrino sull'esempio del suo amico.
A Sarmato sono conservate tuttora la fontana, la chiesa e la grotta dedicate al santo patrono.
In fondo al viale posto alle spalle della chiesa parrocchiale dell'Assunta vi è il piccolo, grazioso santuario dedicato a San Rocco, edificato nel
XVI secolo

sopra l'antro che ospitò il santo pellegrino taumaturgo di Montpellier.
Non distante dalla piazza principale del paese (Piazza Roma) e dalla chiesa parrocchiale stessa, è tuttora visibile ed attiva la cosiddetta "fontana di San Rocco", fonte sgorgata miracolosamente, secondo leggenda, per permettere a San Rocco di dissetarsi e lavarsi.
In paese si trova anche la casa detta di San Rocco, lungo la linea delle risorgive. Scampò miracolosamente alla peste e qui la storia e la leggenda si intrecciano: l'intervento di un angelo consolatore, una pioggia miracolosa, con la formazione di una provvida fontana, il cane che porta una pagnotta, l'incontro con il conte Gottardo, la conversione di quest'ultimo, la fondazione di un cenobio, la sua partenza verso la Francia, la promozione della sua Santità ad opera di Gottardo, l'albero di pere miracolosamente spuntato dal suo bastone. I sarmatesi, riconoscenti per la protezione del Santo, trasformarono la sua capanna in cappella; nel XVI Sec. eressero una piccola chiesa che nel secolo successivo ebbe definitiva sistemazione: ad una sola navata e con la facciata a capanna, che nel periodo anteguerra fu coperta con una quinta neoclassica. all'interno é conservata una pregevole statua barocca del Santo, particolarmente fedele all'iconografia tradizionale. Una vicenda legata all'albero di pere e a San Rocco è il rapimento, tuttora presente nella memoria familiare di alcuni sarmatesi, di una giovane di nome Gertrude, figlia di un fabbro con bottega nei pressi dell'oratorio. Un conte Scotti aveva notato la sua bellezza e non perdeva occasione di trovarsi sul suo cammino: la giovane ha tentato invano di passare inosservata, trascurandosi nel vestire e nella pulizia del viso, ma una domenica mattina sul sentiero che collegava la chiesa all'oratorio, fu presa con la forza da alcuni sgherri e portata al castello. Dopo qualche tempo venne gettata da servi ubriachi da una finestra anziché nel pozzo del taglio, come ordinato dal conte, salvandosi miracolosamente e riparato nella sua casa dove visse nascosta in soffitta per 14 anni fino alla morte del suo aguzzino. A questo fatto avvenuto alla fine del XV secolo, sembra legato l'inaridimento del pero miracoloso, già nato dal bastone di San Rocco, che dava frutti squisiti ed efficaci contro ogni sorta di malattia.

 
































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LE FOTO, TUTTE DEDICATE AL "CULTO EMILIANO DI SAN ROCCO", SONO DI PROPRIETA' DELL'ASSOCIAZIONE EMILIA MISTERIOSA. PER UN LORO UTILIZZO E' NECESSARIO PRENDERE CONTATTO CON L'ASSOCIAZIONE STESSA.


Fonti bibliografiche e sitografiche:


P.Ascagni, “San Rocco Pellegrino”, Marcianum Press 2007

12 agosto 2013

IL GRANDE FIUME RESTITUISCE PAGINE DI STORIA MILLENARIA - RITROVATO UN ENORME CRANIO DI RINOCERONTE


di Paolo Panni





Il Grande fiume non finisce di regalare sorprese. L’estate 2013 è stata l’occasione di un nuovo ed incredibile ritrovamento sulle rive del maggiore dei corsi d’acqua italiani. Nulla di “misterioso”, va subito evidenziato. Ma la notizia merita di essere posta in evidenza anche su questo blog, che tratta prioritariamente di argomenti legati appunto al mondo del mistero, dal momento che si va a far luce su una grande pagina di storia decisamente poco conosciuta e strettamente legata ai nostri territori. E poco importa se un ritrovamento avviene sull’una e sull’altra riva. Il fiume è patrimoni dei nostri territori, emiliani o lombardi che siano, è tutto ciò che avviene sulle sue rive o nelle sue golene merita la nostra attenzione. Occorre inoltre ricordare che una delle finalità di Emilia Misteriosa è anche quella di divulgare e valorizzare aspetti, ritrovamenti e notizie meno conosciuti, e quindi in un certo senso “misteriosi”. Venendo quindi alla notizia dell’estate 2013, ecco che sulla sponda opposta, quella cremonese, il Grande fiume ha “restituito” nientemeno che il cranio fossile di un rinoceronte.





Laddove un tempo “scorrazzavano” mammut, cervi, bisonti ed altre specie ormai estinte, viveva anche questo enorme animale. Il ritrovamento è stato effettuato da Ennio Mondoni nei pressi di Spinadesco (Cremona). Si tratta, come spiegato da Davide Persico, sindaco di San Daniele Po, micropaleontologo del dipartimento di scienze della terra dell’Università di Parma, fondatore e già direttore del Museo paleoantropologico del Po di San Daniele Po, del “più grande e meglio conservato cranio fossile di rinoceronte che sia mai stato rinvenuto in Europa. Si tratta – ha proseguito - di un fossile in eccellente stato di conservazione, cosa non proprio usuale per un fossile del Po, costituito da un cranio completo anche dei denti. Questi ultimi, molto grandi, assieme alla caratteristica fossa nasale aperta e alla morfologia delle ossa occipitali, hanno permesso di ipotizzare l’appartenenza del fossile alla specie Stephanorhinus kirchbergensis, o rinoceronte di Merck, anche se sono necessarie ulteriori e più approfondite indagini. Si tratterebbe di una specie caratteristica di climi caldi (Warm species) vissuta nel territorio della Pianura Padana tra gli 80mila e i 130mila anni fa durante un intervallo interglaciale”. Attualmente il prezioso fossile si trova conservato nel Laboratorio del Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po dove è in fase di studio e di comparazione morfometrica. “Da questo studio – ha spiegato Persico - ci proponiamo di classificare con precisione il reperto, utilizzando la presenza di questa specie per effettuare alcune considerazioni paleoecologiche e paleo climatiche sulla pianura, nonché per individuare la formazione geologica di provenienza del reperto e di alcuni altri fossili ospitati nel Museo, tra i quali un femore gigante di elefante”. Di recente lo stesso Persico ed il direttore del Museo Simone Ravara, sono anche stati ospiti del professor Benedetto Sala, al Museo di Ferrara, per osservare e prelevare un calco di cranio di Rinoceronte di Merck da confrontare col “nostro” fossile. E’ stato un confronto sarà risolutivo dal punto di vista tassonomico, ma ha anche avviato una operazione di revisione tassonomica di alcuni fossili rinvenuti nel nostro territorio tra Cremona, Piacenza, Pavia e Parma. “E’ un grande privilegio, da parte nostra e del Museo di San Daniele Po – ha sottolineato Persico - poter collaborare con un così importante paleontologo dei vertebrati”. Il fossile verrà esposto nella vetrina centrale di fronte a Pàus (il resto di uomo di Neanderthal custodito nel museo di San Daniele Po, ad oggi unico ritrovamento del genere avvenuto in Pianura Padana) insieme allo scheletro di Neanderthal e al femore di elefante nei primi giorni di novembre nel Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po.






Un fiume, il Po, che non finisce quindi di regalare sorprese aprendo pagine di storia ultramillenaria. In questo senso ci sembra anche utile riprendere quanto scrive Davide Persico sul suo blog anello mancante.blogspot.com e che riportiamo per esteso:


Addentrarsi nella golena del Po significa recuperare la memoria di un ambiente naturale che ormai nella Pianura Padana è soltanto un lontano ricordo.
Percorrendo le sponde interne dei meandri si raggiungono ampie distese di sabbia, conosciute come barre di meandro, sulle quali anche l’osservatore più distratto può facilmente imbattersi in qualche resto fossile. Testimonianze di animali e vegetali vissuti in epoche passate ritornano alla luce grazie all'incessante attività del fiume.
Notizie di fossili lungo le spiagge del Po si ritrovano già nella letteratura della prima metà del 1500. Vi sono addirittura scritti antecedenti con riferimenti a reperti trovati nell'alveo del fiume fin dai tempi di Ludovico Sforza.
Ancora oggi, e forse a maggior ragione, il fiume è sempre più meta di appassionati di Storia Naturale che, nella casualità di un ritrovamento paleontologico, possono assaporare i piaceri di una vera scoperta scientifica. E’ grazie al contributo di persone come Romano Amici e Paolo Panni di Zibello, ad esempio, che è stato riportato alla luce parte di quel prezioso patrimonio paleontologico utile per ricostruire la preistoria della pianura. In oltre un decennio di ricerca, sono stati recuperati oltre 500 reperti fossili che oggi rappresentano l’intera collezione paleontologica del vicino Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po (CR).
Leggende e convinzioni comuni si sono fatte strada nel corso degli anni tra la gente della bassa casualmente imbattutasi in questi reperti. La spiegazione che più comunemente si sente raccontare da queste persone, è che queste ossa altro non siano che i numerosi resti dei cavalli affogati nel fiume a seguito alla rovinosa ritirata compiuta dai tedeschi al termine della seconda guerra mondiale. Una logica correlazione che le persone anziane effettuano, avendo vissuto quella amara ed impressionante pagina di guerra, fatta di morte e di resti che ben si prestano ad interpretare il ruolo dei fossili.
Ma cosa succede quando i resti fossili risultano palesemente in disaccordo con questa teoria post bellica? Succede che resti di bisonte, elefante, mammut, alce e cervo gigante, cioè specie estinte per le quali non si trovano analoghi nella fauna locale, vengono custoditi e nascosti in attesa che qualcosa o qualcuno, prima o poi, possa far luce sul “mistero”.
Stephen J. Gould, paleontologo americano, durante la sua ammirevole carriera di scienziato scrisse: "Le scoperte più importanti si fanno nei cassetti dei musei". Si tratta di una realtà sacrosanta, come altrettanto vera è la realtà delle mirabili scoperte, relative ai fossili del Po, che si possono fare nelle cantine della bassa.
Da quando il Museo Paleoantropologico del Po si è rinnovato facendosi conoscere più ampiamente sul territorio, molte cantine si sono spalancate per ridare luce e lustro ad antiche scoperte paleontologiche che tempi non maturi per la consegna, portarono ad ammuffire o ad arredare rustici e polverosi ambienti di campagna.
Qualche anno fa, venne ritrovato un enorme femore di mammut rinvenuto presso Spinadesco (CR), su una barra fluviale del Po ad opera di un padre e di un figlio che collocarono la gamba del gigante nella loro soffitta per almeno 30 anni.
La scorsa estate invece è stato il turno di un bisonte, un cranio di incredibili dimensioni, ritrovato dallo scomparso Benito Grossi, presso Polesine Parmense (PR), e conservato appeso alla parete di una baracca in riva al Po per almeno un ventennio, fino a quando il figlio Francesco, sollecitato da Romano Amici, curatore del Museo della Civiltà contadina di Zibello, decise di donare il fossile al Museo di San Daniele Po, condividendolo con la scienza e con il pubblico. Non è però solo il volere degli uomini che permette di venire a conoscenza di simili tesori, ma anche quello del fiume, da sempre protagonista e attore essenziale.
Il duemila, ad esempio, fu l’anno della catastrofica alluvione del fiume Po. L’evento coinvolse il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Liguria, l’Emilia Romagna e la Lombardia generando oltre 40.000 sfollati. Catastrofi di questo tipo, grazie alla loro straordinaria intensità, sono spesso accompagnate da imprevedibili quanto straordinari effetti collaterali, come ad esempio il ritrovamento eccezionale di reperti fossili. A seguito di quell’alluvione infatti, numerosi furono i ritrovamenti paleontologici che si susseguirono in provincia di Parma e di Cremona, specialmente nei periodi tardo invernale ed estivo successivi alla piena, quando la secca del Po fece emergere uno scenario fluviale tremendamente mutato rispetto gli anni precedenti.
La golena era irriconoscibile: il passaggio dell’onda di piena generò una morfologia naturale fatta di nuovi accumuli sedimentari e segnata dall’erosione di potenti bancate di sedimenti vegetati. Dove vi erano residui di boschi naturali sulle rive alte del fiume, rimasero soltanto conche semicircolari scavate nel terreno, come i morsi di uno squalo affamato capace di divorare gli strati superficiali della pianura.
A seguito della segnalazione ad opera di una persona frequentatrice del fiume, vennero recuperati alcuni resti umani sulla barra sabbiosa tra Motta Baluffi e San Daniele Po.
Si trattava in particolare di un piccolo cranio, grande poco più di una noce di cocco che divenne il primo cranio umano conservato nel Museo di San Daniele Po. Il reperto che, per colorazione e peso poteva essere riconosciuto come antico, era quasi interamente intatto, anche nelle sue parti più fragili. Quest’indizio, unito alla mancanza di segni di trasporto fluviale, fu utile per ipotizzare la scarsa percorrenza del fossile nel fiume e la possibile vicinanza del sito di sepoltura primaria rispetto al luogo di ritrovamento.
Sulla base di tali supposizioni furono organizzate ricerche in zona, convogliando in questi luoghi gran parte delle persone che generalmente frequentano il fiume alla ricerca di altri resti. In poco meno di quattro anni, furono ritrovati altri sette crani umani, tra i quali uno proveniente proprio dalla spiaggia di Zibello ad opera di Paolo Panni, divenuti oggetto di uno studio scientifico pubblicato qualche anno più tardi.
Questi resti, attribuiti sommariamente al periodo preistorico dell’Età del Bronzo (da 3500 a 1200 anni fa) a seguito della concomitante abbondanza di resti di manufatti in ceramica, dimostrano, uniti ai numerosi siti terramaricoli sparsi nella bassa pianura parmense e reggiana, quanto popolosa fosse la Pianura durante la preistoria. In un ambiente fortemente caratterizzato dalla presenza del Po e dei suoi affluenti, acquitrini diffusi erano la norma e villaggi, che spesso sorgevano su palafitte protette da arginature, si dislocavano in diversi punti di questo territorio che offriva abbondanza di cibo grazie alla selvaggina e alle coltivazioni dei terreni strappati alle paludi. La storia più recente, priva di quegli animali antichi e possenti, delle belve feroci e delle alternanze climatiche fredde e calde che riconosciamo negli strati argillosi e sabbiosi del Grande fiume, è quella caratterizzata dalla presenza sempre più numerosa dell’uomo, che per il proprio sostentamento ha saputo trasformare a tal punto l’ambiente che lo ospita da rendere quasi incomprensibili quegli indizi fossili che periodicamente riemergono dal fiume.






MUSEO PALEOANTROPOLOGICO DEL PO


P.S.- Le foto del fiume sono di proprietà dell’autore. Per un loro utilizzo è necessario citare la fonte. La foto del cranio di rinoceronte è stata gentilmente concessa da Davide Persico, al quale è necessario rivolgersi per un eventuale utilizzo.