25 dicembre 2013

I SANTI SENZA TESTA


di Paolo Panni

 




Testimoniare la propria fede dando la vita. La storia del cristianesimo è piena di santi che, nel corso dei secoli, sono andati incontro al martirio a costo di non rinnegare il loro credo. E’ sufficiente attingere al “Martirologio Romano”, celebre libro liturgico la cui ultima edizione annovera qualcosa come 6538 voci, per venire a conoscenza di quanti santi hanno perso la vita per fede, nei modi più diversi ed atroci. Uno dei più terribili e sanguinosi è certamente quello della decapitazione. Un tipo di pena di morte, va subito evidenziato, che era assai in voga sia tra gli antichi egizi che tra i romani. Lungo è l’elenco dei “santi senza testa”: uno su tutti, forse il più celebre, è Giovanni Battista, una delle più eminenti figure dei Vangeli, la cui vita e predicazione sono fortemente legate all’opera di Gesù Cristo. Conosciuto anche come san Giovanni Decollato, figura a cui erano particolarmente legati i Templari (che gli dedicarono diverse chiese), proprio durante la sua predicazione condannò pubblicamente la condotta di Erode Antipa, che conviveva con la cognata Erodiade. A quel punto il re lo fece prima imprigionare, poi, per compiacere la bella figlia di Erodiade, Salomè, che aveva ballato ad un banchetto, lo fece decapitare. Altra notissima figura è nientemeno che quella di San Paolo Apostolo, decapitato secondo la tradizione il 29 giugno di un anno imprecisato (probabilmente il 67) in una località detta “palude Salvia”, a due passi da Roma. Luogo poi detto Tre Fontane, in seguito al prodigioso evento dei tre zampilli che sgorgarono quando la testa dell’Apostolo, una volta mozzata, rimbalzò tre volte a terra. Ci sono poi santi, a loro volta decollati, la cui esistenza è addirittura in dubbio, come san Giorgio e santa Caterina d’Alessandria, mentre tra le figure più leggendarie spicca quella di san Cristoforo, in molte raffigurazioni bizantine raffigurato come cinocefalo, vale a dire un essere mitologico dal corpo d’uomo e dalla testa, invece, di canide, con dimensioni il più delle volte gigantesche. Presenta tra l’altro caratteri molto comuni sia al dio egizio Anubi che a molti racconti di cinocefali; ma sarebbe anche un retaggio di culti pagani legati al moto astronomico di Sirio. Cristoforo, secondo quanto riporta la storia, subì il martirio per decapitazione in Licia, sotto Decio, nel 250. Di spicco poi un’altra celebre figura, quella di santa Barbara, il cui martirio iniziò con la flagellazione. Ma le verghe utilizzate, all’improvviso, si tramutarono in piume di pavone e così, per ovviare a questo “imprevisto”, si decise prima la tortura col fuoco e, quindi l’asportazione dei seni e la decapitazione, operata da Dioscoro, che subito dopo, morì fulminato. L’elenco è lungo e, fra i martiri decapitati più famosi spiccano anche i santi Felice e Fortunato, Cosma e Damiano, Maurizio e addirittura il santo degli innamorati, Valentino, patrono di Terni (la cui testa fu addirittura rubata e ritrovata 25 anni dopo). Spesso storia e leggenda si mescolano e così il mistero si infittisce. Tra le vicende più incredibili spiccano quelle di santi cefalori, che una volta subita la decapitazione hanno raccolto, con le loro mani, la propria testa trasportandola in cammino fino ai luoghi dove sono poi sorte le chiese che accolgono le loro spoglie.




Una di queste è la monumentale cattedrale di Fidenza, in Emilia, autentico gioiello del romanico parmense. Nella sua cripta si trovano i resti mortali di san Donnino Martire, patrono principale della città e della diocesi.






Fa parte, Donnino, dei martiri dei primi secoli del cristianesimo ed il suo culto è diffuso anche in diverse altre regioni italiane, oltre che all’estero. Tribuno romano alla corte imperiale di Massimiano, si convertì, insieme ai suoi compagni, al cristianesimo. Mentre era diretto verso Roma passando sulla via Claudia, o Emilia, fu raggiunto dai sicari dell’imperatore sulla riva del torrente Stirone. I soldati lo finirono mozzandogli la testa. Lui, secondo la tradizione, non oppose alcuna resistenza e, stese le mani, raccolse il proprio capo, attraversando il torrente e portandosi sulla riva opposta. Di fronte a quel fatto i suoi uccisori fuggirono atterriti e ci fu chi, vinto dal rimorso e dalla commozione si convertì. Il martirio avvenne il 9 ottobre, di un anno tra il 290 e il 295.




Per oltre un secolo il suo sepolcro rimase sconosciuto e venne rivelato in modo prodigioso. Fu ritrovato dopo che i fedeli della zona, avendo notato per più notti rifulgere di splendore una luce misteriosa sopra un terreno circondato da boschi, segnalarono i fatti al vescovo di Parma che si portò personalmente sul posto e, assistendo lui stesso alla comparsa di una luce sfavillante ordinò la realizzazione di scavi che portarono a ritrovare il corpo del martire con tanto di iscrizione, posta su una pietra tuttora conservata in cattedrale, che recita “Absconditus loculus Sancti Dominini Martyris Christi” (vale a dire “Questo è il sepolcro di San Donnino, Martire di Cristo). La vicenda biografica del santo, sempre raffigurato mentre porta in mano la propria testa, è per altro “narrata” dagli splendidi bassorilievi che spiccano sulla facciata del duomo.




Tante sono le grazie che gli vengono attribuite. Una su tutte quella che affonda le proprie radici alla seconda guerra mondiale. Infatti il 2 ed il 13 maggio Fidenza venne colpita da fortissimi bombardamenti aerei che distrussero il palazzo e la sede della curia vescovile, il seminario e numerose abitazioni poste a due passi dalla cattedrale, che rimase incredibilmente e prodigiosamente intatta.




La vicenda di san Donnino è simile a quella di San Miniato, ucciso durante la persecuzione di Decio intorno al 250 d.C. Fu anche lui decapitato e, secondo la tradizione, raccolse la propria testa e, oltrepassato l’Arno, salì lungo una collina morendo in un vecchio cimitero. Il colle è quello dove oggi sorgono la basilica dedicata proprio al martire ed il cimitero monumentale delle Porte Sante. A Pavia, in terra lombarda, si venera invece san Severino Manlio Boezio, grande filosofo, ministro di Teodorico, ucciso anche lui per la sua conversione al cristianesimo. Stando a quanto viene riportato pare che, una volta subita la decapitazione, prese la testa e, in cammino, la portò sino alla chiesa di San Pietro in Ciel d’oro, deponendola su un banco e mettendosi poi a pregare prima di morire. Tornando in terra toscana, per coloro che si recano in visita al museo diocesano di Pienza, non può certo passare inosservata la statua di un santo che tiene, come Donnino, la propria testa in mano, nell’atto di predicare. Si tratta di san Regolo, vescovo africano che subì il martirio a Populonia, sotto il re degli ostrogoti Totila. Spostandosi invece all’estero, ecco in terra transalpina, la vicenda di san Dionigi, il primo vescovo di Parigi. Anche lui decapitato durante il periodo imperiale romano; dopo il martirio camminò, con la testa in mano, fino al luogo dove venne poi edificata la splendida abbazia di Saint Denis, dove sono sepolti i re di Francia. Altro vescovo e martire che camminò con la propria testa fra le mani fu sant’Emidio, che subì la decapitazione ad Ascoli. Vicende analoghe riguardano altri vescovi come Eucario, Lamberto di Ligi, Nicasio di Reims, Regolo, Reverièn di Autun, Gaudenzio. Ma l’elenco dei santi “senza testa” non si ferma qui e prosegue con Albano di Verulam, Cutberto, Livario di Mez, Fortunato di Montefalco, Luciano di Beauvais, Mercurio, Osvaldo, Romano di Antiochia, Osith, Sativola e Gwenfrewi. Fra i più recenti, infine, gli 813 martiri di Otranto, recentemente canonizzati da Papa Francesco. Morirono nell’estate del 1480 mentre la loro città era assediata dagli ottomani del generale Gedik Ahmed Pascià. Il primo di loro a subire la decapitazione fu Antonio Primaldo, che subito dopo il martirio si alzò in piedi e vi rimase fino all’uccisione dell’ultimo suo compagno di gloria. 


Copyright Five Store – RTI Spa 2013.



L’articolo di Paolo Panni è stato pubblicato sul numero 8 di Dicembre 2013 della rivista “Mistero”. Protetto da Copyright, viene pubblicato su questo blog per gentile concessione della redazione di “Mistero”, e degli amici Simona Gonzi e Ade Capone.

23 dicembre 2013

Intervista a Giorgio Terzoli


di Giovanna Bragadini


 "Giorgio Terzoli nel suo wine bar"


Ho conosciuto Giorgio per caso, durante un aperitivo a Bologna nel suo bar, il “Giara wine” di via Costa: ottimi vini e lettura di Tarocchi gratuita (meglio scegliere le serate più tranquille).
Iniziamo con un po’ di biografia:
nato a Bologna nel 1961, Terzoli è scrittore e imprenditore, appassionato di antichi misteri; è membro della Società Archeoastronomica Italiana e ha collaborato con Rai 2 e Rai 3. Nel 1997 Roberto Giacobbo gli ha dedicato un intero capitolo del libro “Il segreto di Cheope” (Newton & Compton).
Mettendo a confronto oltre 10.000 miti, dal 1998 Giorgio Terzoli afferma di aver scoperto una sorta di linguaggio universale utilizzato da tutte le culture antiche; le sue teorie sull’inversione dei poli magnetici sembrano confermate da alcuni studi americani condotti nel 2003.


Quando hai iniziato a interessarti di archeoastronomia? Il tuo libro “Il codice degli dei” che teoria sostiene?

Ho iniziato a studiare archeoastronomia circa 20 anni or sono, è una scienza nuova che si concentra sugli orientamenti stellari dei grandi e piccoli siti archeologici, per effetto della precessione degli equinozi le stelle cambiano posizione e con un computer è abbastanza semplice riprodurre i cieli che vedevano gli antichi. Il fatto più sorprendente è che tutte le popolazioni antiche inserivano nella loro mirtologia elementi di alta astronomia e matematica.
Nel 2003 ho scoperto un codice universale inserito nella totalità della mitologia antica, un vero e proprio linguaggio universale in uso in tutte le culture prima dell'invenzione della scrittura. Tutti sanno che storia e preistoria sono divisi dall'invenzione della scrittura, avvenuta secondo gli storici a cavallo del 4000 a. C. da parte dei sumeri con i caratteri cuniformi. Questa è la scoperta fondamentale: molto prima che gli uomini imparassero a scrivere – parliamo di ben 13.000 anni orsono – una civiltà ha inserito nella mitologia mondiale un codice astronomico matematico presente in tutte le culture, anche in quelle che non si sono potute conoscere (per fare un esempio, i Maya del Sudamerica e gli antichi egizi: distanti 9.000 km e cronologicamente di oltre 4.000 anni hanno gli stessi miti con gli stessi numeri gli stessi arredi scenici e le stesse vicende, cambia solo il nome del personaggio). Non tutti sanno che del famoso diluvio universale esistono 520 versioni diverse ma simili per argomentazioni: ogni cultura ha la propria.
Dopo questa scoperta diventa inevitabile pensare che sia esistita una civiltà madre unica che ha insegnato a tutte le culture gli stessi miti, con inseriti tutti gli elementi astronomici e matematici che conoscevano. Appena analizziamo un mito, di qualsiasi regione o epoca appartenga, appaiono come per incanto numeri chiave, personaggi simili, stessi arredi scenici, stesso inizio e stessa fine… nel corso dei miei studi mi sono accorto che tutta la mitologia era stata creata per attraversare le ali del tempo e arrivare fino a noi, questo perché l'antica civiltà aveva considerato una non continuità di cultura. Per fare un esempio, i Dogon – una tribù africana all'epoca della pietra – sanno perfettamente da un mito millenario che Sirio è una stella nana e binaria cioè doppia, mentre la nostra astronomia ha scoperto questo non più di 10 anni fa.
Ero convinto che tutto questo non servisse a insegnare alle generazioni future ma che si trattasse di un avvertimento, per questo sono entrato nella storia del 2012 e nel documentario che ho realizzato per Rai 2 (realizzato solo per fare audience). Purtroppo in questo modo l'importanza della mia scoperta è andata in secondo piano e sono diventato l'uomo del 2012 ma la realtà non è questa, avevo previsto qualcosa di grande senza specificare di cosa si trattava, avevo lasciato molte porte aperte, come per esempio un avvicinamento spirituale alla divinità senza l'intermediazione delle varie chiese.

So che sei appassionato di Templari…



Su questo argomento sono state scritte un sacco di fesserie e sono nati ordini di nuovi templari virtuali che nemmeno conoscono le 72 regole che dovevano rispettare. Io ho informazioni ben più serie e una rivelazione molto importante che per ora tengo segreta, l'unica cosa che possso dire è che scavando sotto il Tempio di Salomone hanno trovato dei documenti con cui ricattare la chiesa cristiana, e alla luce del codice che ho scoperto diventa facile capire che tipo di documenti hanno trovato e utilizzato. I Templari erano studiosi di astronomia molto valenti e costruttori di edifici astronomicamente orientati, questo dava molto fastidio alla chiesa cristiana che aveva acquisito potere attraverso la conoscenza delle sacre geometrie.
Il consiglio che do’ a tutti è di andare
guardare il documentario originale che Rai 2 non ha mai trasmesso se non a spezzoni.

Quali sono i misteri più intriganti della tua Bologna?

Ho fatto scoperte molto interessanti anche sulla nostra città, il più eclatante è la scoperta che il portico di San Luca, uno dei nostri monumenti più importanti, riproduce perfettamente la costellazione della Vergine: in parole povere, il cammino che il fedele percorre partendo dalla porta e arrivando alla cattedrale è esattamente uguale a quello che idealmente si farebbe in cielo attravrsando la costellazione della Vergine per arrivare a Venere, come in cielo così in terra, la lapide commemorativa del portico in Saragozza recita in latino che costruiamo la dimora di Nostra Signora come in cielo per fare dispetto al potere di Roma… infatti l'ingegner Monti, che l'ha progettata nel 1700, era un noto massone. Su questo e altri misteri della vecchia e cara Bologna sto preparando una serie televisiva in sette puntate.


Bibliografia


Intervista con gli dei (Press Club, 2000) scritto insieme a Pier Luigi Trombetta


Il Codice degli dei (e-book reperibile in rete, 2001) scritto insieme a Daniele Marchesini


2012 - L'ultimo mistero dei Maya (Minerva Edizioni, 2007)


Video


Conferenza sulla “lingua universale”


http://www.youtube.com/watch?v=qZAp3oarE2I



Pagine Facebook


Pagina personale di Giorgio Terzoli


Giara Wine

14 dicembre 2013

Massimo Polidoro - Sei un sensitivo? - Avverbi edizioni



di Giovanna Bragadini





Qualche giorno fa, sistemando la mia libreria straripante, mi sono ritrovata in mano un librino che non consideravo da tempo: il manualetto “Sei un sensitivo? I test per provarlo” di Massimo Polidoro, psicologo, illusionista e membro del Cicap. Pubblicato nel 1997 e ora quasi introvabile, fornisce in allegato un mazzo di carte Zener – per intenderci, quelle con i simboli utilizzate per alcuni esperimenti ESP (confesso di averlo acquistato proprio per le carte).
La pagina dedicata al libro sul sito dell’autore (
www.massimopolidoro.com) così descrive il contenuto: «Un manuale per verificare eventuali facoltà paranormali, una raccolta di esperimenti pratici e semplici da realizzare in casa propria per mettere alla prova qualunque fenomeno “insolito”: dalla ESP alla psicocinesi, dalla chiaroveggenza alla precognizione, dalle facoltà medianiche a quelle terapeutiche dei guaritori, dalla possibilità di vedere l’aura a quella di trovare l’acqua per mezzo della rabdomanzia, e poi ancora: astrologia, levitazione, viaggi fuori dal corpo, sensibilità ai cristalli, kinesiologia applicata».
Dopo aver riletto il libro, la descrizione sopra citata appare un po’ pretenziosa: in 139 pagine si può dare giusto qualche assaggio di cotanti argomenti, e alcuni sono solo citati di sfuggita. Un buon numero di pagine finali sono invece dedicate a divulgare le attività del Cicap, nonché per pubblicizzare il faraonico premio messo in palio da James Randi (it.wikipedia.org/wiki/James_Randi), ex maestro di Polidoro.
Alcune indicazioni sono davvero utili, come la tabella e gli schemi per condurre gli esperimenti con le carte Zener e valutarne i risultati, oppure la descrizione di alcuni trucchi usati dai cartomanti, mentre altri lasciano perplessi: per esempio, il fatto che i test psicometrici debbano essere effettuati senza poter toccare gli oggetti, o il fatto che l’aura debba essere visibile anche al di là di un paravento; infine, alcune prove non sono per nulla semplici da eseguire “in casa”. Il tutto è illustrato dal racconto di casi ed esperimenti effettuati dal Cicap, naturalmente con esito negativo e figuracce da parte dei sedicenti sensitivi.

In conclusione: un testo utile ai creduloni ma troppo rigido per i possibilisti; perfetto per gli scettici.


12 dicembre 2013

STRANI AVVISTAMENTI A GROPPARELLO – INDAGA ANCHE IL CUN


di Paolo Panni


Che cosa accade, da qualche mese a questa parte sui cieli del comune piacentino di Gropparello? E’ quello che, non solo localmente, tante persone si chiedono con sempre maggior insistenza, curiosità e anche qualche comprensibile timore.
Dal mese di settembre, con frequenza costante (anche di due o tre volte a settimana), numerosi testimoni riferiscono di vedere, sia in orari diurni che notturni, particolari oggetti luminosi, sferici, muoversi in cielo. Accade, come evidenziato, sia di giorno che di notte, specie nella zona montana compresa fra Gropparello e la frazione di Montechino.
Di cosa si tratta? E’ questa la domanda che tanti si pongono e che continua a non trovare risposte definitive.
Come riferiscono molte persone si tratta di sfere che, nel corso delle loro comparse, che possono durare anche alcuni minuti, cambiano di forma, intensità e colore.
La vicenda è finita anche all’attenzione degli organi di stampa e televisivi locali, nonché del CUN, il Centro Ufologico Nazionale, che a Piacenza ha una propria sede.
Quanto sta accadendo è definito, dal CUN stesso, interessante.
Ma per dare spiegazioni maggiori, e chiarire quello che ad oggi è un mistero, occorreranno ulteriori verifiche e indagini, ascoltando le testimonianze e visionando con cura video e fotografie.

Va evidenziato che questi avvistamenti fanno seguito ai numerosi che, specie nel corso dell’estate si sono verificati in tutto il Parmense, dalla Bassa alla Montagna. Ricordiamo, in particolare, quelli di Castione Marchesi, Roncole Verdi, Busseto, Salsomaggiore, Berceto, Tabiano Terme di cui Emilia Misteriosa si è occupata, andando anche a raccogliere le testimonianze ed i pareri dei testimoni oculari. Testimoni che, va ricordato, hanno sempre parlato, a loro volta, si sfere luminose capaci di cambiare forma, intensità e colore. Descrizioni del tutto in linea con quello che ora sta accadendo nella zona di Gropparello.
Occorre quindi ora chiedersi, più che mai, che cosa si sta verificando sui cieli emiliani da ormai parecchi mesi.
Nella speranza che, quanto prima, siano forniti dettagliati chiarimenti e spiegazioni.

Nel frattempo si pubblica, di seguito, il video/intervista dell’emittente TeleLibertà all’esperto Alberto Negri, del CUN di Piacenza.
 





1 dicembre 2013

I FOSSILI RICOSTRUISCONO L’EVOLUZIONE DELLA VITA DELLA PIANURA PADANA


di Paolo Panni






Si è parlato della “Paleontologia del Grande fiume – L’evoluzione della Pianura Padana ricostruita mediante i fossili” nel corso di un incontro che si è tenuto all’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense. Il dottor Davide Persico, del Dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Parma e fondatore del Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po (paese di cui è anche sindaco) ha guidato il pubblico, anche attraverso una carrellata di immagini alla scoperta dei tanti fossili ritrovati, negli anni, lungo gli spiaggioni del Po ed oggi conservati nel vicino museo di San Daniele Po. La nostra associazione ha partecipato con vivo interesse all’iniziativa. Un evento che, ancora una volta, ha dato la possibilità di scoprire le nostre origini, anche attraverso pagine inedite, meno conosciute, e per tanti aspetti misteriose della nostra storia. 






Ecco, di seguito, la relazione del dottor Persico che riportiamo per esteso.
 





"Addentrarsi nella golena del Po significa recuperare la memoria di un ambiente naturale che ormai nella Pianura Padana è soltanto un lontano ricordo. Percorrendo le sponde interne dei meandri si raggiungono ampie distese di sabbia, conosciute come sabbioni, sulle quali anche l’osservatore più distratto può facilmente imbattersi in qualche resto fossile: testimonianze di animali e vegetali vissuti in epoche passate che ritornano alla luce grazie all'incessante attività del fiume.
Notizie di fossili lungo le spiagge del Po si ritrovano già nella letteratura della prima metà del 1500.
Vi sono addirittura scritti antecedenti con riferimenti a reperti trovati nell'alveo del fiume fin dai tempi di Ludovico Sforza. Ancora oggi, e forse a maggior ragione, il fiume è sempre più meta di appassionati di Storia Naturale che, nella casualità di un ritrovamento paleontologico, possono assaporare i piaceri di una vera scoperta scientifica.
Leggende e convinzioni comuni si sono fatte strada nel corso degli anni tra la gente della bassa casualmente imbattutasi in questi reperti. La spiegazione che più comunemente si sente raccontare è che queste ossa appartengano ai numerosi cavalli affogati nel fiume a seguito alla rovinosa ritirata dei tedeschi al termine della seconda guerra mondiale. Ma cosa succede quando i resti fossili risultano in palese disaccordo con questa teoria post bellica? Succede che resti di bisonte, elefante, mammut, alce, cervo gigante e rinoceronte, cioè specie estinte per le quali non si trovano analoghi nella fauna locale, vengono custoditi e nascosti in attesa che qualcosa o qualcuno, prima o poi, possa far luce sul “mistero”.
Stephen J. Gould, paleontologo americano, durante la sua ammirevole carriera di scienziato scrisse: "Le scoperte più importanti si fanno nei cassetti dei musei". Si tratta di una realtà sacrosanta, come altrettanto vera è la realtà delle mirabili scoperte, relative ai fossili del Po, che si possono fare nelle cantine della bassa.
Da quando il Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po (CR) si è rinnovato facendosi conoscere più ampiamente sul territorio, molte cantine si sono spalancate per ridare luce e lustro ad antiche scoperte paleontologiche che tempi non maturi per la consegna, portarono ad ammuffire o ad arredare rustici e polverosi ambienti di campagna.
Qualche anno fa, venne ritrovato un enorme femore di mammut rinvenuto presso Spinadesco (CR), su una barra fluviale del Po ad opera di un padre e di un figlio che collocarono la gamba del gigante nella loro soffitta per almeno 30 anni. L’altra estate invece è stato il turno di un bisonte, un cranio di incredibili dimensioni, ritrovato dallo scomparso Benito Grossi, presso Polesine Parmense (PR), e conservato appeso alla parete di una baracca in riva al Po per almeno un ventennio. Quest’anno, Ennio Mondoni ha riportato alla luce un cranio di Rinoceronte, il più importante e meglio conservato d’Europa.
Il duemila, ad esempio, fu l’anno della catastrofica alluvione del fiume Po. L’evento coinvolse il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Liguria, l’Emilia Romagna e la Lombardia generando oltre 40.000 sfollati. Catastrofi di questo tipo, grazie alla loro straordinaria intensità, sono spesso accompagnate da imprevedibili quanto straordinari effetti collaterali, come ad esempio il ritrovamento eccezionale di reperti fossili. A seguito di quell’alluvione infatti, numerosi furono i ritrovamenti paleontologici che si susseguirono in provincia di Parma e di Cremona, specialmente nei periodi tardo invernale ed estivo successivi alla piena, quando la secca del Po fece emergere uno scenario fluviale tremendamente mutato rispetto gli anni precedenti. La golena era irriconoscibile: il passaggio ell’onda di piena generò una morfologia naturale fatta di nuovi accumuli sedimentari e segnata dall’erosione di potenti bancate di sedimenti vegetati. Dove vi erano residui di boschi naturali sulle rive alte del fiume, rimasero soltanto conche semicircolari scavate nel terreno, come i morsi di uno squalo affamato capace di divorare gli strati superficiali della pianura.

A seguito della segnalazione ad opera di una persona frequentatrice del fiume, vennero recuperati alcuni resti umani sulla barra sabbiosa tra Motta Baluffi e San Daniele Po.
Si trattava in particolare di un piccolo cranio, grande poco più di una noce di cocco che divenne il primo cranio umano conservato nel Museo di San Daniele Po. Il reperto che, per colorazione e peso poteva essere riconosciuto come antico, era quasi interamente intatto, anche nelle sue parti più fragili. Quest’indizio, unito alla mancanza di segni di trasporto fluviale, fu utile per ipotizzare la scarsa percorrenza del fossile nel fiume e la possibile vicinanza del sito di sepoltura primaria rispetto al luogo di ritrovamento.
Sulla base di tali supposizioni furono organizzate ricerche in zona, convogliando in questi luoghi gran parte delle persone che generalmente frequentano il fiume alla ricerca di altri resti. In poco meno di quattro anni, furono ritrovati altri sette crani umani divenuti oggetto di uno studio scientifico pubblicato qualche anno più tardi.
Questi resti, attribuiti sommariamente al periodo preistorico dell’Età del Bronzo (da 3500 a 1200 anni fa) a seguito della concomitante abbondanza di resti di manufatti in ceramica, dimostrano, uniti ai numerosi siti terramaricoli sparsi nella bassa pianura parmense e reggiana, quanto popolosa fosse la Pianura durante la preistoria. In un ambiente fortemente caratterizzato dalla presenza del Po e dei suoi affluenti, acquitrini diffusi erano la norma e villaggi, che spesso sorgevano su palafitte protette da arginature, si dislocavano in diversi punti di questo territorio che offriva abbondanza di cibo grazie alla selvaggina e alle coltivazioni dei terreni strappati alle paludi.
La storia più recente, priva di quegli animali antichi e possenti, delle belve feroci e delle alternanze climatiche fredde e calde che riconosciamo negli strati argillosi e sabbiosi del Grande fiume, è quella caratterizzata dalla presenza sempre più numerosa dell’uomo, che per il proprio sostentamento ha saputo trasformare a tal punto l’ambiente che lo ospita da rendere quasi incomprensibili quegli indizi fossili che periodicamente riemergono dal fiume”.