27 gennaio 2014

FONTI MIRACOLOSE - QUANDO L'ACQUA COMPIE PRODIGI



di Paolo Panni





Sono innumerevoli, in Italia e nel mondo, le località in cui questo fondamentale elemento naturale è stato elemento essenziale di grazie e guarigioni miracolose. Ma c’è una porzione del Nord Italia, quella formata da Emilia Romagna e Lombardia, in cui i fenomeni sembrano trovare una straordinaria e misteriosa concentrazione. E’ necessario partire da una considerazione e cioè che l’acqua ha una grande valenza esoterica, oltre che religiosa. E’ la sorgente della vita, la matrice che da inizio alla vita, e la conserva. Nelle remote cosmogonie come, componente primordiale, è un principio vitale inteso come mezzo della rigenerazione.
Nelle religioni è oggetto di culto e ha grande valore simbolico, nell’ebraismo come nel cristianesimo, nell’islam come nell’induismo, nella religione sikh, nel buddhismo ed anche nel confucianesimo. E’ simbolo di vita e di morte, di male e di liberazione, di purificazione e di amore, di salvezza e di santificazione, così come di giustizia, coraggio, forza, saggezza ed equilibrio.
Senza volersi addentrare nell’affascinante e sconfinato mondo della simbologia, ecco che, soffermandosi sul cristianesimo, il suo segno accompagna la storia del popolo dell'antica e della nuova Alleanza e caratterizza molti santuari sorti laddove è apparsa Maria. Non a caso, la presenza di Lei è stata “determinante” quando il Cristo compì il primo dei suoi segni cambiando l'acqua in vino. Per mezzo dell'acqua Egli ha anche effettuato guarigioni, del corpo e dello spirito.

Guarigioni che tra l’Emilia e la Lombardia, per mezzo dell’acqua, hanno una storia suggestiva e misteriosa. Notevole è la “mappa” delle sorgenti miracolose di queste due regioni. In questo reportage ci soffermeremo su alcuni dei luoghi più interessanti, e dalle vicende più singolari. Si parte, inevitabilmente, dalle località mariane. Non ha bisogno di presentazioni il santuario di Nostra Signora del Fonte in Caravaggio (BG). E’ il luogo dove la Vergine, nel 1432, apparve alla umile Giannetta. Nel punto in cui Maria parlò alla veggente sgorgò, prodigiosamente, acqua dal terreno. Non si contano le grazie che, nei secoli, sono derivate, per mezzo di Maria, da quell’acqua che, ancora oggi, sgorga sotto al Sacro Speco del santuario, meta ogni anno di decine di migliaia di pellegrini. Pellegrini che, nella limitrofa provincia di Brescia, in numero sempre più rilevante, si riversano a Fontanelle, piccola località a due passi da Montichiari. Qui, ripetutamente, Maria apparve alla veggente Pierina Gilli. Alla storia è passato soprattutto un evento, quello del 1966 quando la Madonna, Rosa Mistica, si presentò agli occhi di Pierina dicendole “Il mio Divin Figlio Gesù è tutto amore. Mi ha invitata a rendere miracolosa questa sorgente…”. Ed anche qui le guarigioni miracolose che, nel tempo, si sono ripetute, sono tantissime.






Fra i luoghi più antichi spicca poi il santuario della Madonna della Fontana di Casalmaggiore. Luogo dalle origini oscure, che si perdono nella notte dei tempi, famoso anche per ospitare la tomba del Parmigianino (celebre non solo come pittore ma anche per il suo intenso rapporto con l’alchimia). L’attuale, quattrocentesco santuario sorge laddove un tempo si trovava un altro luogo di culto in cui si venerava un’immagine della Vergine, detta dei Bagni. Denominazione, questa, dovuta al fatto che, già prima del Mille, accanto ad una fonte o pozzo, utilizzata dai viandanti per dissetarsi, venne costruita una cappelletta dedicata alla Madonna, per cui la fonte venne chiamata "Pozzo di Santa Maria". Nel 1320 ci fu quindi il miracolo di un povero, cieco dalla nascita, che riacquistò la vista bagnandosi con "l'acqua della Madonna". Evento, quello, che diede origine ad una prima costruzione del santuario. Secondo la tradizione quell’acqua ebbe un ruolo fondamentale anche durante la pestilenza del 1629-1630 ed ancora oggi sono tanti i fedeli che, pregando in questo luogo la Madonna, si bagnano gli occhi e il viso, e bevono l'acqua miracolosa, ottenendo grazie. 



 

Non solo l’intercessione della Vergine, però, è alla base di questi prodigi operati per mezzo dell’acqua. Basta portarsi sul sulla sponda opposta del fiume, in terra Emiliana, per trovare fonti miracolose sgorgate in luoghi legati alla memoria dei santi. Tra Fidenza e Salsomaggiore, spicca la pieve romanica di San Nicomede, costruita proprio su una fonte miracolosa le cui proprietà taumaturgiche, per tradizione, derivano dalla presenza delle reliquie del santo sacerdote e martire Nicomede.







Da sempre si dice che l’acqua, che ancora si trova in un pozzo posto nell’antica cripta, serva per curare il mal di testa. Secondo la tradizione è necessario recarsi in questo luogo con un mattone sul capo, portandolo in processione, per rendersi meglio propizia l’intercessione del martire. L’uso del mattone, o della pietra, può spiegarsi come momento penitenziale ma anche come atto propiziatorio dal momento che il mattone, deposto accanto al pozzo prodigioso, diventa simbolo del dolore che la potenza taumaturgica del santo, attraverso il mezzo sensibile dell’acqua, riesce ad allontanare. Stando a quanto si tramanda pare che, con i primi mattoni, sia stata edificata la pieve.





Ad una ventina di chilometri, spostandosi sulle rive del Po, ecco svettare nella campagna parmense il santuario di san Rocco (celebre pellegrino e taumaturgo), ad Ardola di Zibello. Qui, il 15 luglio 1746, mentre un contagio molto virulento di peste stava sterminando il bestiame, i fedeli si radunarono, di fronte al vecchio oratorio, per implorare l’intercessione di san Rocco.




Le preghiere ebbero il loro effetto. Infatti, nonostante l’aridità del suolo, la stagione estiva e la persistente siccità, in un piccolo fosso iniziarono a scaturire due sorgenti d’acqua “sul principio – come si legge nelle memorie dell’epoca – di colore ‘rossetto’ per assumere poi una colorazione più naturale”. Numerose furono le guarigioni e l’evento ebbe una larghissima risonanza. Nei decenni successivi finì nel dimenticatoio ma, da pochi anni, quell’acqua prodigiosa è tornata a zampillare di fronte al santuario e nuove guarigioni (stavolta a carico delle persone) si stanno diffondendo.

E sempre nella campagna parmense, ad una manciata di chilometri, c’è una borgata, Carzeto di Soragna, famosa proprio per la sua “Fontana della Giovinezza” come viene definita. Ottant’anni fa fu un rabdomante, incaricato dal Comune, ad indicare, con straordinaria esattezza, il punto in cui sarebbe stata trovata l’acqua. Spostandosi nel Piacentino, ecco di nuovo comparire san Rocco, a Sarmato, il paese dove il famoso taumaturgo di Montpellier si rifugiò dopo essere stato colpito dalla peste. Ancora oggi si conserva la fonte, sgorgata prodigiosamente, dove il santo si abbeverava e lavava. Mentre sui colli, nei pressi di Bobbio, suggestiva è la Cascata termale di San Cristoforo del Carlone. Ai suoi piedi si trova un laghetto d’acqua termale, con proprietà termominerali ed una fonte salina di acqua salsa, detta anche acqua miracolosa: che un temo, i frati di un vicino convento, utilizzavano per guarire le malattie della pelle. Nel Modenese, invece, nella parrocchia del Tempietto di San Geminiano e della Fonte Miracolosa di Cognento si narra da sempre di fatti prodigiosi dovuti all’effetto della fonte stessa: si va dai lebbrosi mondati agli storpi raddrizzati per proseguire con i ciechi illuminati. Mentre in terra romagnola, al Monastero benedettino di Sant’Antonio in Polesine (Ferrara), fondato da Santa Beatrice, i primi miracoli avvennero alla morte della fondatrice stessa. Infatti l’acqua che fu usata per lavare il suo corpo fu al centro di numerose grazie. Successivamente i resti della monaca furono raccolti all’interno di un’arca da dove iniziò a sprigionarsi, inspiegabilmente, una condensa. Fatto che tuttora si verifica nel periodo compreso fra novembre e marzo. Ciò che stupisce è che si verifica in un ambiente asciutto, privo di fori con un’acqua che, quando le temperature scendono sotto lo zero, incredibilmente non ghiaccia. E continua a operare prodigi.




Copyright Five Store – RTI Spa 2013.



L’articolo di Paolo Panni è stato pubblicato sul numero 9 di Gennaio 2014 della rivista “Mistero”. Protetto da Copyright, viene pubblicato su questo blog per gentile concessione della redazione di “Mistero”, e degli amici Simona Gonzi e Ade Capone.

23 gennaio 2014

“OGGI FORCA”: IMPICCAGIONI E TORTURE A CREMONA TRA XIV E XVIII SECOLO

  
di Michele Scolari 

Fotografie di Paolo Panni

 




Non sono molto note, in città, le vicende che riguardarono le condanne a morte eseguite tra medioevo ed età moderna, compresa una storia, dai toni macabri e misteriosi, legata proprio alle esecuzioni capitali nella nostra città. Stando ad alcune fonti storiche locali, tra le quali Agostino Cavalcabò, nella strettoia compresa tra il Battistero e l’edificio sopra il Camposanto dei Canonici (detto anche Scarsella o Cappella di San Giovanni) vi era una struttura nella quale si dice venissero rinchiusi i condannati a morte: secondo alcuni era la parte ora mancante che annetteva la Scarsella al Battistero (demolita nel ‘500), mentre secondo altri si trattava di una gabbia che comprendeva la strettoia sopra detta e lo spazio immediatamente antistante questa dalla parte di piazza Zaccaria, quando il collegamento era già stato demolito (del punto in cui la capella si agganciava al Battistero rimane una traccia sul lato orientale dell’ottagono, prospiciente l’edificio sopra il cimitero dei Canonici: ancor oggi vi si nota un arco in pietra internato nel muro e sormontato dai segni di due spioventi). In ogni caso qui si dice si trovassero i condannati a morte, in attesa di essere trasferiti nella cappella di S. Gerolamo dove passavano in preghiera l’ultima notte prima dell’esecuzione (segnalata dal lugubre suono della campana del palazzo Comunale la sera precedente, all’una di notte e all’alba). La parte che univa il Battistero all’attuale Cappella venne demolita verso la metà del XVI secolo (il Puerari spiega che se ne decurtarono ben sei braccia «per liberar il battistero d’intorno»); e nessuna traccia rimane di un’eventuale gabbia posizionata successivamente. Ma una testimonianza sembra comunque essere rimasta: essa si trova alla base dei lati nord e nord-est del Battistero (quindi dalla parte di Piazza Zaccaria) dove, per intendersi, sono incisi anche le misure del mattone e della tegola cremonese.







Osservando i mattoni su quel lato dell’ottagono, vi si notano incise delle scritte: si dice che siano quelle lasciate nei secoli che venivano lasciati lì negli ultimi giorni prima del patibolo. In ogni caso, se il passaggio fu liberato nel ‘500 è probabile che già la camera che doveva esistere quando il battistero era ancora unito alla scarsella poteva aver adempiuto a quella funzione: alcune delle date sul muro riportano le date “1400” e addirittura “1300”. Alcune sono poste a circa 2,5 metri di altezza, lasciando intuire la presenza di un soppalco. Tra le date ancora leggibili (altre sono irrimediabilmente sbiadite) vi sono semplici iniziali e firme per esteso assieme a numerose date (in una si legge chiaramente «1794», in un’altra «morto 17 agosto», in altre ancora le date arrivano addirittura al 1300 e più indietro); contemporaneamente, vi si riconoscono anche alcune pesanti invettive alle autorità cittadine laiche e religiose: «cristalli di parole, l’ultima bestemmia detta», per dirla con La ballata degli impiccati di Fabrizio de Andrè.





Poco si sa comunque su questa ipotetica struttura, giacché fra il XIII e il XIX secolo più fonti posizionano le prigioni dentro palazzo Comunale, nell’ala compresa tra le attuali piazza Pace, via Lombardini e piazza Stradivari (detta in passato appunto “La Guardiola”, mentre al piano superiore erano l’alloggio del Giudice e il Tribunale e, a fianco, la Torre dei Condannati – quella che attualmente dà su piazza Pace). Sorvegliate da un Capitano e dai suoi uomini, assieme ad alcuni “Sbirri”, le prigioni contavano diversi locali, descritti dai documenti come angusti, bui e maleodoranti (tramanda Agostino Cavalcabò come spesso si tardasse a cambiare la paglia della lettiera, costringendo i condannati a vivere tra fetidi miasmi). Sul lato di piazza Stradivari (dove ora si trovano gli uffici di Spazio Comune) c’era l’ingresso, sormontato da un porticato con una trave alla quale venivano appesi i detenuti durante le torture. Sino al XVI secolo circa, le esecuzioni si tenevano davanti alla chiesa di S. Erasmo (ora non più esistente) nella contrada che ancor’oggi porta quel nome, situata in fondo a via Palio dell’Oca. Per i condannati cremonesi il “miglio verde” era ben più lungo di quello dell’omonimo film. Essi raggiungevano la forca in una pittoresca processione che partiva dalla prigione (ed alla quale prendevano parte, oltre agli sbirri, anche il podestà ed altre autorità), passava dalla chiesa di S. Girolamo (via Sicardo), e si snodava poi attraverso il “Vicolo degli Impiccati” (detto Stricta de Apichatis, continuazione ora soppressa del vicolo S. Girolamo verso via Platina – segnata in rosso nella pianta a fianco), le attuali via XI Febbraio, via Manini e via S. Erasmo, sino al piazzetta dinanzi alla chiesa. Dal ‘600 circa il patibolo risulta invece collocato nell’attuale piazza Stradivari, davanti alla Torre del Capitano (ancora visibile, inglobata nell’edificio dell’ex Casa di Bianco). Lo spostamento del capestro si intuisce anche dal “cambio di residenza” del Boia, situata sino alla metà del ‘500 in via Palio dell’Oca (che si chiamava appunto “Contrada del Carnefice”), e trasferito nel 1560 circa in alcuni locali sopra la Sala del Consiglio di Palazzo Comunale.





Al proposito, il Cavalcabò riporta un fatto curioso: sembra infatti che quei locali fossero totalmente sprovvisti di servizi igienici, perché in una supplica datata 1569 alcuni vicini, stufi di prendersi in testa ogni tanto i bisogni del Boia (che, senza farsi troppi problemi, «gittava a basso la fece et altre sporchizie»), pregavano vivamente la Magnifica Comunità di trasferirlo altrove. Non si sa se fosse per questo particolare o, più in generale, per il fatto che il Boia è sempre un vicino un po’ “scomodo”, fattostà che la sua dimora fu in seguito destinata a spostarsi ancora varie volte: dapprima in via Cadore e, dal XVIII secolo, in via Grado, in una comoda abitazione a due piani quasi all’incrocio tra le vie Bissolati e della Torre.
Alla Confraternita della Beata Vergine della Misericordia e di San Giovanni Decollato, fondata nel 1436 e con sede nella chiesa di S. Girolamo, era affidata l’assistenza ai condannati, incluso l’accompagnamento al patibolo (in veste bianca e a volto coperto) e la sepoltura, che avveniva nel Sepolcro detto “dei Francesi”. Gli impiccati invece avevano una sepoltura “speciale”, dapprima nel cortiletto ai piedi del Torrazzo (detto appunto il Campo Santo) e, una volta pieno verso la seconda metà del ‘600, nella cappella della chiesa di S. Girolamo (il luogo è indicato da una lastra marmorea ancor oggi visibile e per questo la chiesa veniva detta anche “degli impiccati”).






Annota Agostino Cavalcabò che un elenco completo dei giustiziati a Cremona non è stato tramandato, ma è certo che le esecuzioni erano frequenti (l’ultima registrata nelle delibere è datata il 30 novembre del 1827 e venne eseguita sugli spalti delle mura di via Pedone) e, in molti casi, anche alquanto crudeli. Dai documenti risulta come ancora tra ‘500 e ‘600 i condannati, oltre che impiccati, venissero anche decapitati, bruciati («arsi al focho»), fatti a pezzi («tenayati et squartati») pare iniziando dai piedi perché soffrissero di più, o giustiziati tramite fratture multiple causate da una ruota («arrotati»). Per lo più si trattava di assassini o banditi. Ma è riportato qualche caso singolare come quello di tali Domenico C. e Andrea D., mandati a morte perché sorpresi con una donna vestita da uomo. Severe erano anche le pene che si rischiavano per reati “minori”: dalla documentazione d’archivio si viene a sapere come nel 1505 venisse «cavato un ogio» ad un tizio colpevole di furto; mentre per calunnie pubbliche di una certa gravità era «schiapata (tagliata) la lengua con una forbesina».





Se il trapasso rappresentava l’ultimo patimento per l’anima del condannato, altrettanto non era per il corpo. Per intimorire il popolo, infatti, era frequente l’esposizione dei cadaveri al pubblico. Capitava così che gli impiccati fossero appesi due volte, o che ne venissero dilaniate le membra per essere messe a penzolare in un luogo diverso dal supplizio, in genere nelle contrade d’origine del giustiziato, come macabro ammonimento. Ma era soprattutto la Piazza Piccola (la Platea Minor o Platea Capitanei, attualmente Stradivari) ad essere designata, per ovvie ragioni di pubblico, all’esposizione dei corpi, offrendo uno spettacolo certo raccapricciante per i passanti, come raccapricciante, nella sua essenzialità, era la dicitura usata per indicare le esecuzioni nelle delibere del Consiglio della Magnifica Comunità di Cremona: «oggi forca».

19 gennaio 2014

MISTERI E PARANORMALE ALLE PORTE DI FIDENZA



di Paolo Panni




“Ca’ delle anime”: un nome, verrebbe da dire, che è tutto un programma. E che non può che attirare quelle persone che, come noi, cercano di indagare nel cosiddetto mondo del paranormale, alla strenua ricerca di qualsiasi dato che possa andare a dare spiegazioni su ciò che si cela nello spazio oltre la vita.





 Stavolta parliamo di una località alle porte di Fidenza, situata a margine della piccola frazione di Bastelli. E, diciamolo subito, qui a regnare sono soprattutto le incertezze. Poco, ben poco, si ha a disposizione sulla storia di questo luogo. Si parla però di cruente e sanguinose battaglie del passato che avrebbero così dato origine all’inquietante denominazione “Ca’ delle Anime”.





Oggi sul posto si trovano un paio di vecchie abitazioni rurali, entrambe abbandonate e in condizioni fatiscenti, con crolli evidenti. Un motivo più che sufficiente per consigliare a tutti di non avventurarsi, per nessun motivo, all’interno dei locali. Una terza abitazione, sempre abbandonata, e in condizioni meno peggiori si trova a qualche centinaio di metri di distanza. Per il resto ci sono solo campi, canali, siepi e fontanili. Il classico paesaggio della campagna parmense. 





Con una propria delegazione, Emilia Misteriosa è stata sul posto. Accompagnata da Germano Meletti, esperto conoscitore e studioso della zona, appassionato e cultore di storia, simpaticamente definito “sindaco di Castione”, quindi della frazione immediatamente limitrofa.




Ed a Meletti, in questo servizio, di seguito diamo subito “la parola”. E’ lui a descrivere caratteristiche e storia del luogo avanzando alcune ipotesi. 




“Oggi – esordisce Germano - voglio parlare di Ca' delle Anime: si trova a Chiusa Viarola, a Nordest di Bastelli, molto all'interno della Strada Bellaria. Fino ad una cinquantina di anni fa una strada, parallela a quella menzionata, lambiva proprio questo sito, poi, visto che alcune costruzioni sono sorte in Strada Bellaria e nessuna su quella strada, quest'ultima è andata in disuso, mostrando comunque ancora ampie tracce di ghiaia a disegnarne la stretta carreggiata, oggi totalmente coperta da alta ed abbondante vegetazione. Arrivando da Bastelli bisogna parcheggiare su Strada Bellaria ed addentrarsi su una carraia per circa un chilometro. Tutt'attorno fontanili, qualcuno dei quali coperto per ragioni di sicurezza, la zona dei fontanili è piuttosto ampia, copre praticamente tutta la zona a sud di Ca' delle Anime, fino a ben oltre Bastelli dalla parte Sud (più verso Sudovest, meno, seppur presenti, verso Sudest). Basti pensare che tutti i canali ed i fossi del circondario hanno sempre acqua limpida tutto l'anno, anche in periodi altamente siccitosi.
Ma torniamo – prosegue Germano - alla Ca' delle Anime: obbligatoriamente, dicevamo, bisogna parcheggiare sulla strada Bellaria e percorrere il lungo tratto di carraia che ci separa dal sito. Man mano che ci si avvicina l'aspetto della costruzione più vecchia, o almeno in apparenza perchè l'altra potrebbe aver subito restauri nel corso degli anni, mostra un aspetto tetro, desolante, indipendentemente, anche se accentuato, dall'evidente stato di abbandono in cui versa. Anche l'altra costruzione, quella apparentemente meno vecchia, è abbandonata da tempo: l'ultima famiglia che ha abitato qui se n'è andata da almeno cinquant'anni, vistosi crolli interni lasciano intravedere larghissime "fette" di cielo, vetri rotti ovunque, tracce di camini spenti da tanto tempo.

E' risaputo che questo luogo è ad alto interesse storico, è posto su un sito etrusco-romano, tant'è vero che anche il Comune di Fidenza nel Psc di recente approvazione ne preclude qualunque costruzione, contrasssegnando la zona con una croce di Malta che ne conferma l'alto interesse storico. Quasi otto anni fa, quando tracciavo il percorso della prima edizione della marcia podistica non competitiva denominata Marcia dei Fontanili Memorial Michele Rossi, mi incuriosì quel nome, Ca' delle Anime, così definito su una cartina della zona. La mia curiosità storica mi portò a conoscenza della presenza di insediamenti romani ed etruschi, ma quel nome...
Mi interessai ovunque fosse possibile, compresa una "intervista" al compianto Don Amos, anch'egli conosceva benissimo la presenza storica di insediamenti delle epoche indicate, ma non seppe ricollegarsi al nome ed all'eventuale conseguente motivo. Un giorno – ricorda - parlo sempre di più di sette anni fa, una persona, non ricordo chi fosse, ma mi disse con certezza dell'accadimento di un fatto d'arme in quel luogo, moltissime furono le vittime, da qui, forse, parlando di "quelle povere anime" si è giunti alla definizione di Ca' della Anime. Naturalmente la mia ricerca non si fermò, anzi la cosa fece da perno, rilanciandomi a percorrere i vari secoli in cui potrebbe essere collocato un simile fatto d'arme, sconosciuto ai più. Ho ricercato tra scontri, possibili tra il 1200 ed il 1600, che possano essersi verificati tra parmigiani e piacentini, o tra parmigiani e cremonesi o qualunque altra combinazione possibile o giustificabile da collocarsi in quel periodo”. Ed ecco, quindi, la personale ipotesi di Meletti. “Dopo varie supposizioni, più o meno credibili – sottolinea - sono giunto ad una conclusione, come spesso succede in questi casi, tutta da dimostrare. Reduce dalla sanguinosa Battaglia dei Muroni di Sanguinaro, potrebbe essere passato di qui Federico Barbarossa. Questo perchè alcune informazioni, sempre da verificare, portano a scaramucce, piccoli scontri o battaglia vera e propria, che si sarebbe svolta in località Podere Lazzari, appena prima di Soragna percorrendo la provinciale Busseto-Soragna-Fontanellato-Parma. Questa località si trova sulla destra della provinciale, appena prima della rotonda di recentissima costruzione ed è ben visibile in quanto si trovano in loco piccoli cumuli di terra, simili in tutto e per tutto alle collinette che segnalano la presenza di villaggi terramaricoli, ipotesi comunque da scartare per quest'ultima epoca.Vaghe informazioni raccolte anni fa (era più o meno l'epoca in cui insieme a Don Amos entrammo nei sotterranei di Castione) qualcuno mi accennò alla possibilità della presenza qui di Federico Barbarossa, sottolineata appunto da un fatto d'arme, seppur di secondaria importanza. Ricostruendo un itinerario ideale da Sanguinaro alla località Podere Lazzari, potrebbe starci tutto un passaggio da Ca' delle Anime, distante in linea d'aria non più di due o tre chilometri dalla località soragnese, tra l'altro allora lambìta dalla strada scomparsa da una cinquantina d'anni e parallela alla Strada Bellaria. Quest'ultima oggi compie due curve a gomito, una a destra e subito dopo a sinistra, poche centinaia di metri a Nord ci Ca' delle Anime, per andare a ricalcare quella strada, il cui tratto più a sud è scomparso. Mi rendo perfettamente conto dell'alto rischio di sparare stupidate, ma questo rischio ci sta tutto, anche per persone ben più esperte e navigate del sottoscritto, basti pensare al Pigorini che inizialmente collocò la datazione della Terramara di Castione Marchesi addirittura nell'Età della Pietra, seppur ravvedendosi successivamente, quindi concedete anche a me questa tolleranza, mi riprometto di ragguagliarvi in futuro non appena avrò trovato altri riferimenti più sicuri e precisi”.

Ecco quindi l’ipotesi, affascinante e tutta da dimostrare (per questo appunto ogni approfondimento sarebbe utile), di Meletti.




Come dicevamo, Emilia Misteriosa con una propria delegazione è stata sul posto, per una breve indagine. Che non ha prodotto, a livello di strumentazioni, alcun risultato degno di nota. Ma è stata, appunto, una indagine molto breve, voluta soprattutto per conoscere l’ambiente, le sue caratteristiche e verificare eventuali primi spunti d’interesse. Da approfondire quindi, prossimamente, con una indagine più accurata. 






Come noto, il nostro gruppo è formato sia da tecnici che da persone sensibili, in modo tale da arricchire ed approfondire le indagini, cercando anche di trovare riscontri tecnici a quanto sostengono di avvertire i sensitivi. 





Per l’occasione era presente la sensitiva Gloriana Astolfi che ci ha quindi riferito quanto segue:


“Visto già a distanza il luogo mi è apparso interessante. Le case quasi in rovina e i campi circostanti erano "vivi e parlanti" Avvicinandomi ho avvertito immediatamente la contrazione al plesso solare, sensazione che mi prende improvvisa e inequivocabile quando il posto è abitato da presenze. Da subito ho "sentito" che queste appartenevano ad un passato molto più antico delle guerre napoleoniche e del Barbarossa. Infatti in una delle stanze della casa mi è arrivata immediata l'immagine della sepoltura sacra etrusca di una donna e di una parte della sua storia. Ho visualizzato i monili, il panneggio verde e corna di cervo (queste ultime erano probabilmente riferite all'incidente di caccia). In seguito abbiamo localizzato la sepoltura della sorella con i figli.  Ritengo necessario ritornare sul posto per approfondire ulteriormente l'indagine: credo che questo luogo abbia ancora molto da dirci. Ringrazio tutti per la collaborazione paziente e professionale, che ci ha permesso di lavorare con serenità”. 




A questo punto, quindi, non ci resta che attendere la prossima indagine, sul posto, in seguito alla quale vi terremo aggiornati su eventuali e nuovi dati raccolti. 



13 gennaio 2014

PIACENZA: FORSE LA PROVINCIA PIU’ INFESTATA D’ITALIA.


di Paolo Panni


Quella di Piacenza è da considerare una delle province più infestate d’Italia, forse addirittura la più infestata. Sono numerosissime infatti le vicende legate alla presenza di possibili entità, alcune molto celebri, altre meno: tutte affascinanti ed interessanti.
Un primato, quello piacentino, che rende le terre emiliane, già celebri in tema di storia e cultura, ancora più interessanti.
Dalla Bassa alla montagna, dalla Val Tidone passando per la Val Trebbia, la Val Nure, la Val d’Arda, la splendida Val d’Aveto, sino ad arrivare a Piacenza città, non vi è angolo del territorio piacentino che non sia interessato da vicende, affascinanti e misteriose, in cui ancora una volta storia e leggenda si fondono.
Bisogna evidenziare che questo primato è sicuramente dovuto all’elevata presenza di rocche e castelli. E’ noto infatti che, come puntualmente di usa dire, “ogni castello ha il suo fantasma”. E così non mancano i casi in cui, purtroppo, al fine di rendere un determinato luogo ancora più attrattivo, c’è chi si è inventato storie legate alla possibile presenza di entità e spiriti. Questo, evidentemente, col chiaro scopo di richiamare visitatori. Un vero peccato perché, in questo modo, non solo si vanno a falsificare pagine di storia, ma si va anche ad ostacolare l’attività di quelle persone che portano avanti studi, ricerche ed approfondimenti, anche di carattere scientifico, volti ad accertare situazioni anomale, difficilmente spiegabili, associabili alla cosiddetta sfera del paranormale. Vi sono storie, forse in parte vere, in cui, attorno alla presenza di un determinato, possibile, fantasma si è creata una vicenda degna da libro Harmony, e questo non può che sollevare il nostro disappunto.
Tuttavia non si vuole, oggi, entrare nella veridicità o meno delle singole storie.
L’obiettivo di questo servizio è quello di fornire una mappa, ampia e dettagliata, dei luoghi, considerati infestati, del Piacentino. In attesa poi, nel corso delle nostre future attività, di approfondire alcuni singoli casi.
Per quanto riguarda i luoghi, i comuni in cui spiccano le maggiori (per quantità) segnalazioni sono quelli di Bobbio, Gazzola e Calendasco, tutti compresi all’interno della Val Trebbia, terra decisamente celebre in fatto di leggende e misteri.



 

E allora partiamo proprio dalla Val Trebbia e, nello specifico, da Bobbio. Prima “tappa”, la meravigliosa Abbazia di San Colombano. La misteriosa iscrizione che si trova all’ingresso, “Terribilis est locus isti” (“Questo è un luogo terribile”) la dice già lunga e, una volta entrati, è possibile fare incetta di argomenti e approfondimenti di carattere misterioso. Limitandoci, per ora, all’argomento entità, da tempo si parla di “presenze” all’interno dei sotterranei. Un gruppo di ricerca paranormale, anche di recente, si è recato sul posto e sta tuttora vagliando alcuni interessanti riscontri.





Sempre a Bobbio spicca il castello Malaspina Dal Verme, oggi di proprietà statale. Qui, non pochi testimoni riferiscono di aver più volte notato, all’altezza delle mura, aggirarsi i possibili spiriti degli sventurati che furono gettati, e quindi uccisi, nel pozzo dei coltelli. A questo riguardo sono numerosissime, lo ricordiamo, le vicende, in Italia, legate al cosiddetto “pozzo dei tagli”, ma solo in rari casi sono state trovate reali tracce della presenza di questa terribile forma di tortura.

Un’altra storia, decisamente fumosa, riguarda Villa Carenzi, nella frazione di Piancasale. Alla struttura, già colonia elioterapica, sono legate svariate leggende. Diverse sono le testimonianze di persone che riferiscono di aver udito, nel tempo, i pianti dei bambini che sarebbero morti tragicamente nel corso di un bombardamento avvenuto durante la seconda guerra mondiale. Ma nessun riscontro storico conferma questi fatti, né tantomeno la presenza di bambini. 






Sempre in Val Trebbia, più verso la pianura, ecco il comune di Gazzola con il magnifico castello di Rivalta in cui si manifesterebbero sia i conti Zanardi Landi che il cuoco Giuseppe. In particolare a dare segni della sua presenza sarebbe il conte Pietro Zanardi Landi, assassinato nel 1326 da un cugino che voleva entrare in possesso dei suoi beni. Si dice che da tempo si manifesti con gemiti e rumori, ma solo quando nel maniero sono presenti discendenti di colui che fu il suo uccisore. In particolare, stando a quanto si racconta, Obizzo Landi - feudatario di Rivalta nel XIV secolo - e la moglie Bianchina avevano tre figli. Il più giovane perse la vita in un'imboscata, e quindi il castello passò alle sorelle ed ai rispettivi mariti, Pietro Zanardi Landi e Galvano Landi. Questi si contesero a lungo l'eredità, finché non ne divenne proprietario Galvano III Landi. La rivalità tra i due diede origine alla leggenda del fantasma del castello, dal momento che la vicenda si chiuse con l’assassinio di Pietro Zanardi Landi. Secondo quanto si tramanda, al fine di vendicarsi lo spirito di Zanardi Landi avrebbe vagato nel Castello fino al 1890, anno di passaggio dei beni ai discendenti della vittima innocente. Placato, ma dalla memoria a quanto pare durevole e non molto incline al perdono, il fantasma sarebbe ritornato nel 1970, quando presso gli Zanardi Landi fu ospite un ignaro discendente dell'antico assassino. L'ospite venne tormentato per tutta la notte e fu in quell'occasione che, cercando tra le pieghe della storia, venne fuori la tragica vicenda. Per quanto riguarda invece il cuoco Giuseppe, anche in questo caso il tutto prende forma da un omicidio. L’uomo, secondo quanto si tramanda, insidiò la moglie del maggiordomo che si vendicò pugnalandolo e morte e strangolandolo con la corda del pozzo della cucina in cui lavorava. Ancora oggi, secondo quanto riferiscono anche diversi testimoni, lo spirito del cuoco Giuseppe si manifesterebbe con alcuni evidenti casi di poltergeist, vale a dire spostando quadri, oggetti, accendendo e spegnendo improvvisamente le luci e mettendo in movimento gli elettrodomestici, anche quando la spina della corrente è staccata. E, sempre nel maniero di Rivalta, si udirebbero lamenti e gemiti provenire dalla imponente torre, alla base della quale si trovava realmente il “pozzo del taglio” (in questo caso le tracce sono state ritrovate) in cui vennero gettati, e quindi finiti, non pochi prigionieri.



Rimanendo nel territorio di Gazzola, ecco che spostandosi anche nelle altre frazioni, emergono nuove vicende dove mistero, storia e leggenda si mescolano. Nello splendido castello di Rezzanello, documentato fin dal 1001 e impreziosito dalle sale elegantemente arredate, si dice che in passato, quando qualcuno si è comportato in modo poco ortodosso durante feste e banchetti, dai muri si siano scatenate improvvise bufere di vento freddo.





Altro elegante e suggestivo castello situato nel territorio comunale di Gazzola è quello di Momeliano, oggi sede di una importante azienda vitivinicola. Ma qui il mistero non riguarda l’antico maniero ma bensì la casa canonica della chiesa di Sant’Eustorgio Vescovo. Secondo le testimonianze di una perpetua pare che in passato si siano ripetutamente sentiti colpi sordi e intermittenti che cessavano solo dopo la celebrazione di una messa. E, sempre a Momeliano di Gazzola, secondo altre storie che si sono tramandate pare che, nella seconda metà dell’Ottocento, in una vecchia casa disabitata posta in prossimità del paese, si siano più volte avvertiti, in piena notte, strani rumori: come di qualcuno che stesse lavando i piatti. Ma l’abitazione, appunto, era vuota. 



Spostandosi quindi in piena pianura, alla confluenza fra Trebbia e Po, ecco il piccolo ma suggestivo borgo di Calendasco. Nel castello del paese, il 13 settembre 1572 fu ucciso il cavaliere Lodovico Confalonieri. A compiere il delitto, a suon di stilettate, dopo un agguato, fu il nobile piacentino Antonello dè Rossi che intratteneva una relazione con Camilla, moglie del Confalonieri. Quest’ultimo, ogni anno, nell’anniversario della morte, e quindi il 13 settembre, darebbe segni della sua presenza fra le mura del maniero. Ma ci sarebbe anche un altro spirito a rendere misteriose le vicende di Calendasco. Da tempo infatti si afferma che nientemeno che negli uffici del comune si aggirerebbe l’entità di un benefattore, indignato per il fatto che, a suo tempo, gli amministratori sperperarono i beni che lui aveva lasciato per i poveri.


Rimanendo in Val Trebbia e spostandosi a Gragnano, ecco la storia, già approfondita da Emilia Misteriosa, riguardante l’antico maniero di Gragnanino in cui, nel 1611, furono torturate e poi bruciate vive due donne di Parma, Claudia Colla e sua madre Elena, accusate di stregoneria (con tanto di processo di cui esistono ancora oggi le documentazioni). A volere questa loro terribile fine fu il diabolico duca Ranuccio I Farnese, che aveva intrattenuto una relazione con Claudia Colla, ed accusava entrambe le donne di essere la causa di tutti i suoi problemi, soprattutto di salute. Per molto tempo si è detto, in zona, di urla e lamenti provenire dai sotterranei, poi murati.

Rimanendo nel territorio di Gragnano, un’altra interessante vicenda che si tramanda da tempo è quella relativa alle campagne di San Raimondo dove, per molto tempo, si è raccontato delle apparizioni di un uomo, a cavallo, vestito di nero che ostacolava il passaggio della gente. 






Lasciata la Val Trebbia, spostandosi nell’affascinante Val Tidone, ecco che una delle vicende più tramandate è quella riguardante il castello di Agazzano dove si aggirerebbe il fantasma di Pier Maria Scotti detto “Il Buso”. La storia del poderoso edificio è segnata dalla tragica quanto misteriosa morte dello Scotti, abile spadaccino che ogni volta che colpiva una vittima con la spada lasciava il “buco”. Ad ucciderlo fu Astorre Visconti nel 1529 in una locanda della stessa Agazzano. Il corpo fu gettato nel fossato che anticamente circondava la Rocca. Nonostante questa certezza storica il cadavere di Pier Maria Scotti non è mai stato ritrovato e la sua presenza, stando a quanto si narra, si sente ancora oggi tra le mura del castello e nel giardino. Porte che si aprono misteriosamente, luci che rimangono accese, vetri trovati nelle stanze e di cui non si sa la provenienza. Nel tempo sono stati compiuti diversi sopraluoghi da parte di associazioni esperte di paranormale ed in diversi casi sono emersi interessanti riscontri che confermerebbero la presenza di fatti inspiegabili. In più, strani avvenimenti si sono succeduti nel tempo e si è tenuti a credere che Pier Maria Scotti, che amava moltissimo Piacenza e il piacentino, non abbia voluto allontanarsi completamente da questi luoghi. Al punto da tornare appositamente dalle Americhe per riconquistare la posizione che credeva gli spettasse nella città di Piacenza e nei territori appartenenti agli Scotti. Il carattere di questo condottiero si caratterizzava per la tenacia, la cattiveria ma anche il coraggio. Il suo errore fu quello di occupare il castello per prenderne il bottino e imporne il dominio non avvisando l’alleato Visconti, che si vendicò quindi duramente.
 




A Pianello Val Tidone svetta invece, imperiosa, la celebre Rocca d’Olgisio dove si udirebbero, stando sempre a svariate testimonianze, i lamenti dei prigionieri che subirono dure torture. Così come c’è chi sostiene che in alcune immagini fotografiche del castello avrebbero fatto la loro comparsa le sante sorelle della famiglia Dal Verme, Faustina e Liberata.

Nella non lontana Ziano Piacentino, il mistero riguarda invece la torre del fortilizio di Fornello, documentato già nel XV secolo e parte integrante di una località in cui, fin dall’epoca romana, esistevano antiche fornaci. Nel maniero che ospita oggi una importante azienda vinicola si dice, da secoli, che vaghi il fantasma di una giovane donna, bruciata viva in età medioevale perché accusata di stregoneria. Segni della presenza di questo spirito sarebbero emersi sia nella torre che nelle stanze dell’edificio appartenuto anche alla famiglia Sanseverino, cultrice dell’esoterismo.


Un’altra vicenda, molto curiosa, interessa invece l’abitato di Mamago, frazione di Rottofreno. Qui, in passato, più volte, delle spigolatrici videro cadere dall’alto delle palline realizzate con una sorta di muschio. Secondo l’opinione popolare si trattava delle anime degli antenati dei proprietari di quei fondi agricoli che, in quel modo, lamentavano il fatto di non essere stati ricordati con messe e preghiere. Rimanendo sempre all’altezza della confluenza tra Val Tidone e fiume Po, e spostandosi nel territorio del comune di Castel San Giovanni e, precisamente, ad Arena Po, ecco un’altra storia, inquietante, datata 1920. Quell’anno, in un’abitazione privata di Strada Grande si udirono dei colpi sordi. Inizialmente si pensò ai movimenti di qualche animale ma le immediate verifiche fecero cadere questa ipotesi. I proprietari, quindi, ebbero modo di constatare che, spostandosi da una stanza all’altra della casa, i colpi a loro volta cambiavano posizione, finendo sempre nelle stanze adiacenti. La famiglia, profondamente religiosa, ipotizzò quindi che si trattasse di qualche anima del Purgatorio che manifestava le sue sofferenze. E così ecco che furono fatte celebrare alcune messe e, guarda caso, i rumori cessarono.





Passando quindi alla Val Nure, l’attenzione non può che cadere immediatamente su Grazzano Visconti, dove si troverebbe uno dei fantasmi più conosciuti a livello nazionale: quello di Aloisa, che si muoverebbe tra il parco ed il castello. Maniero, questo, documentato fin dal 1074.
La storia di Aloisa è stata tramandata dai racconti della gente, che ha sempre rispettato la sua presenza e la memoria del suo triste destino: Aloisa era sposa di un capitano di milizia, fu infatti tradita dal marito e morì di gelosia e di dolore. Da allora il suo spirito vaga in questi luoghi.
Un giorno, secondo quanto viene riportato, lo spirito di Aloisa si manifestò al Duca Giuseppe che era un medium e ne guidò la mano per tracciare il suo ritratto. Il risultato fu quello di una donna di forme rotonde, non alta e con le braccia conserte rappresentata in diverse statue di Grazzano Visconti. Chiederebbe affetto e dolcezza e, stando alla leggenda, avrebbe più volte detto
“Io sono Aloisa e porto Amore e profumo alle Belle che donano il loro sorriso a Grazzano Visconti”. E’ considerata protettrice degli innamorati e, non a caso, molti turisti le offrono fiori e piccoli omaggi. Di notte il suo spirito si aggirerebbe soprattutto all’interno delle stanze del castello e, in più occasioni, avrebbe spaventato gli ospiti dimostrando gradimento verso eventuali regali.




Sempre in Val Nure, nel territorio di Bettola, spicca l’abbandonato castello di Spettine, del quale Emilia Misteriosa si è già ampiamente occupata, anche con una propria indagine. Il maniero è caratterizzato dalla presenza di prigioni e diversi strani e misteriosi accadimenti lo riguardano e sono al centro di studi ed approfondimenti da parte della nostra associazione.

A Migliorini di Cogno, nel territorio di Farini, si trova invece una costruzione, ritenuta essere un ex convento. Da tempo si sostiene, in zona, che l’edificio sia invaso dagli spiriti.


Mentre in località Bruzzetti di Groppallo, sempre nel territorio di Farini, hanno fatto storia i racconti di un anziano che riferiva che quando, da giovane, tornava dalla località (distante) in cui viveva la sua amata gli capitava di fermarsi per riposare. Al risveglio, stando al suo racconto ovviamente, si trovava attorniato da due cani e puntualmente si allontanava. Ma, il mattino dopo, tornando sul posto non vi era alcuna traccia, nel terreno, che confermasse la presenza dei due animali. Pensò ad una sorta di avvertimento e decise di interrompere la storia d’amore. Da quel momento non incontrò mai più i due cani.

A Ponte dell’Olio spicca, invece, un caso abbastanza recente, finito anche sulle cronache locali. Quello di una vecchia casa in cui, durante i festeggiamenti di un compleanno, i presenti videro improvvisamente del sangue colare dalle pareti. Fu scongiurato lo scherzo (che sarebbe stato per altro di cattivo gusto) e la vicenda resta tuttora avvolta dal mistero. 


 



Fra i luoghi più misteriosi della Val Nure spicca poi il castello di Paderna, nel territorio comunale di Pontenure. Qui si aggirerebbe lo spirito di un Confalonieri, trasportato prigioniero a Paderna dal castello di Turro. Secondo la leggenda avrebbe dovuto rivelare i particolari di una congiura di cui era ben a conoscenza, ma fu sgozzato prima di poter parlare. Ancora oggi darebbe segni della sua presenza, delle sue sofferenze e delle sue inquietudini. Gruppi di ricerca che hanno effettuato indagini tra le mura del castello hanno confermato la presenza di diverse anomalie.




Di particolare interesse è poi la Val d’Arda e qui si parte, inevitabilmente, da Gropparello. Nel castello del paese si aggirerebbe un altro fantasma che ha fatto spesso parlare di sé anche a livello nazionale. Sarebbe lo spirito di una giovane donna, molto probabilmente Rosania Fulgosio, murata viva nella “canera maledetta”, ricavata nelle fondamenta dell’edificio per ordine del marito tradito Pietrone da Cagnano. A lei è stato dedicato anche un libro, dal titolo “Una presenza inquietante” di Gian Franco Gibelli. Nel volume vengono evidenziati numerosi fatti curiosi: la comparsa improvvisa di mazzi di fiori, ceri accesi, rumori vari. Si parla anche dell’apparizione di un guerriero dalla folta capigliatura, con barba e baffi, dall’espressione tormentata. In più occasioni, sia di giorno che di notte, sarebbe stata avvistata la presenza di una figura diafana, di una giovane donna, dai capelli biondi e dalle fattezze minute, vestita con abiti trecenteschi. Sarebbe stata notata sia nel parco che nelle stanze., sia dai proprietari che, talvolta, dai visitatori. Rosania Fulgosio, signora del castello, visse nel XIII secolo. Mentre il marito, che era stata costretta a sposare dai genitori, si trovava in guerra, un piccolo esercito di soldati conquistò il castello insediandosi all’interno.
Nel capitano dei nemici, Rosania, riconobbe Lancillotto Anguissola, il giovane amore che avrebbe voluto sposare e che non aveva mai dimenticato. I due passarono momenti di grande felicità, ma l’epilogo fu tragico. Infatti, Lancillotto dovette tornare alle armi, e mentre il marito di Rosania stava tornando a casa, venne informato da una missiva, inviata da un’invidiosa cameriera di corte, dei tradimenti della moglie. Una volta rientrato, preso dalla furia drogò il vino della moglie che, una volta addormentata, rinchiuse per sempre in un’angusta camera segretamente fatta scavare sotto le fondamenta del castello. Lo spirito di Rosania, secondo quanto si tramanda, è rimasto intrappolato nel castello, e la notte vi si aggira come fosse ancora la sua dimora. Va detto che, ad oggi, la camera segreta ed il corpo di Rosania non sono mai stati ritrovati. E va anche evidenziato che le leggende che ancora si tramandano sul maniero, prendono origine dai convulsi anni medievali, dai terribili scontri tra guelfi e ghibellini. Nel 1255 un primo, durissimo e vittorioso assedio da parte delle truppe di Azzo Guidoboi, condottiero al soldo della famiglia ghibellina dei Pallavicino. Un lustro dopo, nel 1260, un secondo assedio ancora più imponente condotto dal marchese Oberto Pallavicino in persona e volto a sbaragliare le residue forze guelfe asserragliate nelle mura del castello, ormai ridotte ad uno sparuto manipolo di eroi. Quattrocento fanti piacentini e cremonesi, per quattro lunghi ed estenuanti mesi, misero a ferro e fuoco la rocca. Sacrificarono numerose vite alla causa del loro signore, ma non riuscirono ad avere la meglio su un avversario determinato e sospinto a lottare fino allo stremo e poi oltre dalla forza della disperazione. I pochi difensori del castello, invero con l'aiuto della popolazione locale, tra atti di sommo eroismo e di gesta di infima vigliaccheria, ricacciarono alfine gli assalitori. Il destino degli sconfitti, sbaragliati sul campo, furono la sofferenza del corpo e la morte: condannati e giustiziati nei pressi delle mura della rocca, in parte condotti nell'ancora guelfa Piacenza per essere esposti al pubblico ludibrio, i nemici ghibellini furono arsi vivi. Ancora oggi, secondo la leggenda, le anime straziate dei disperati eroi di quelle battaglie vagano senza pace tra le terre del contado dell'antica Cagnano (l’odierna Gropparello), innalzando al cielo i loro lamenti a perenne ricordo delle sofferenze patite. Le voci dei dannati udite nelle lunghe e fredde sere senza luna sono relegate nel limbo del folklore locale, tuttavia non tutto l'alone di mistero che pervade le antiche pietre della rocca viene dissipato dal pallido sole dell'alba. E tornando alla figura di Rosania Fulgosio, occorre riportare quanto sosteneva un vecchio custode della rocca. “Udivo spesso nelle notti di vento - era solito ripetere - salire dalle forre del Vezzeno una voce lamentosa piena di pianti e di invocazione: era lo spirito dolente di Rosania, murata viva nella camera segreta”. Il suo spirito, secondo quanto viene da più parti sottolineato, non lascia segni tangibili, ma fa in modo di essere “avvertito” tra le stanze del castello, avvolgendo di sé ogni singola porzione del maniero e penetrando nell'animo di chi, tra le mura teatro del suo dramma, ne sente, vivendolo, il suo profondo dolore. Uno spirito dannato, che ricerca il contatto con il mondo dei vivi, un conato cosciente di sé e della propria condizione alla quale le imperscrutabili leggi divine sembrano avere negato la pace eterna.

Ed anche il castello di Montechino, di proprietà prima del vescovo di Piacenza e poi dei Confalonieri e dei Nicelli, sarebbe caratterizzato dalla presenza di un fantasma che si aggirerebbe tra le sue mura.

Sempre sui colli della Val d’Arda, ecco che a Lugagnano sorgeva un Lazzaretto e pare fosse abitato dalle anime dei sofferenti che vi erano deceduti.





Portandosi invece in pianura, ecco emergere i misteri legati al castello di San Pietro in Cerro. Anche qui, come a Gropparello e a Grazzano, la protagonista è una donna e sullo sfondo spicca una vicenda d’amore. La donna in questione è Agata, al centro di una vicenda tanto romantica quanto tragica avvenuta secoli fa. Si trattava di una giovane ed affascinante fanciulla che prestava servizio presso la corte dei Conti Barattieri. La fanciulla e si innamorò profondamente dello scudiero dal quale era profondamente e sinceramente corrisposta. I due giovani decisero di coronare il loro sogno d'amore convolando a nozze. Il conte Bartolomeo II Barattieri, da sempre affascinato dal leggiadro aspetto della giovane fanciulla, dopo aver appreso delle nozze venne colto da un impeto di cieca invidia che lo portò a voler esercitare il diritto feudale dello ius primae noctis: obbligò Agata a giacere con lui nel suo letto la prima notte di nozze. Il giovane scudiero, ferito nell’orgoglio decise di vendicare l’atto compiuto dal Conte; durante la notte raggiunse la sua camera da letto e nel sonno lo pugnalò a morte. Colto sul fatto, lo scudiero fu braccato ed arrestato; pochi giorni dopo, a fronte di un processo sommario, venne giustiziato con impiccagione pubblica in Piazza Cittadella a Piacenza (1514). La giovane Agata, depredata del suo amore e coperta di vergogna si tolse la vita gettandosi dalla torre del Castello. Lo spirito “eternamente innamorato” della giovane, secondo la leggenda, dimora tutt’oggi tra le mura del quattrocentesco maniero. Cosa che sarebbe per altro confermata da alcuni video e testimonianze di sensitive. Le sue rare apparizioni, sempre registrate in concomitanza di un evento nel quale si celebra l’amore puro, sarebbero pacifiche. E pare che fra le mura dello stesso maniero si aggiri anche lo spirito del conte Barattieri.





Nella poco distante Monticelli d’Ongina, all’interno della Rocca Casali, ecco, protagonista, un’altra giovane donna, Giuseppina, assassinata nel 1872 da Giuseppe Modesti. La colpa della giovane fu quella di aver rifiutato le avances dell’uomo che riuscì anche a sottrarsi alla pena capitale con una rocambolesca fuga dalle prigioni di Parma, finendo poi come ufficiale nell’esercito francese.


Mantenendosi nel cuore della pianura, tra la Val d’Arda e le rive del Grande fiume, ecco una delle più “fresche” segnalazioni, riguardanti l’abitato di Soarza di Villanova d’Arda. Qui, nel 2000, un pensionato, di nome Egidio Cerioli, affermò di aver fotografato i fantasmi che, da 15 anni, si muovevano fra le mura della sua casa. Presenze a quanto pare nocive dato che l’uomo ebbe problemi alla vista, così come ebbero problemi analoghi le sue cagnette. Le foto scattate fanno emergere delle macchie biancastre (simili ai classici Orbs). Il pensionato le ha sempre attribuite alla presenza di misteriose forze capaci di palesarsi di giorno e di notte. Nella poco distante Croce Santo Spirito di Castelvetro Piacentino, invece, all’alba, è stata più volte notata una misteriosa dama aggirarsi per i campi.

A poca distanza dalla via Emilia invece, a Saliceto di Cadeo, il mistero riguarda il castello Zamberto dove, più volte, sono state avvistate ombre e sono stati uditi suoni delle campane, nonostante queste fossero prive di battacchio. Anche una recente indagine condotta da un gruppo di esperti ha permesso di riscontrare diverse anomalie, con variazioni dei campi elettromagnetici e registrazioni audio in cui si udirebbero strane voci e rumori.

Passando ora alla Val d’Aveto, splendida area appenninica che ebbe fra i suoi estimatori, così si dice, lo scrittore Ernest Hemingway, va evidenziato che anche qui misteri e leggende non mancano. A Torrio Val d’Aveto, per esempio, si trova un prato in cui dall’imbrunire in poi nessuno ha mai voluto lavorare dopo che due mulattieri furono uccisi da un fulmine. Vi era infatti il timore di incontrare i loro spiriti inquieti. Tra Selva e Rovereto di Cerignale si trova invece un altopiano erboso denominato “Scramezzàn” e, stando ai racconti dei vecchi, in quell’area una volta “ci si sentiva e ci si vedeva” e così di notte nessuno vi passava. In particolare sarebbero state notate, in passato, ombre, luci e sarebbero stati uditi curiosi rumori.


Altri fatti riguardano Cerignale dove un tempo, alcune donne di Cariseto, a ridosso del mulino incontrarono, a loro dire ovviamente, lo spirito di una donna che sollevò, di fronte a loro, il coperchio del cassone che avrebbe dovuto contenere la farina, ma in realtà vi si trovava solo sterco di topi.

A Cariseto invece sembrano essere rimaste le tracce di un uomo che, in vita, aveva spostato un termine nei campi a proprio vantaggio. Il confinante che aveva subito l’imbroglio ogni notte udiva una voce che gli diceva “Tèrmine a lògu” ed una volta decise di affacciarsi alla finestra rispondendo “Da parte giusta sègnaghe”. Il giorno seguente, al mattino, nel punto in cui doveva essere riportato il termine era segnato da una chiara striscia di fuoco.

Tornando in pianura, direttamente sulle rive del Po, da molti anni si parla di una chiesetta (ma la località non è nota) in cui ogni sera suonava un organo, da solo, per tutto il tempo del Rosario. Un fatto molto curioso che cessò in inverno per riprendere d’estate, a mezzanotte, con la luna piena, con l’organo che, tuttavia, suonò da morto. Si dice anche di un contadino che, di giorno, andando a lavorare accanto alla chiesetta, scomparve nel nulla. Allora la gente iniziò a pensare che l’edificio fosse stregato o invaso dal maligno, e così lo distrusse ricostruendolo al cimitero.

Ed infine anche la città di Piacenza non è certo esente da vicende inquietanti e misteriose. Una delle più popolari riguarda quella di Palazzo Landi dove sarebbe apparso, nel Cinquecento, il fantasma di Giulia Landi. Vi è anche una testimonianza scritta, a riguardo, firmata dal conte Agostino e datata 1551. Si tratta di una lettera in cui descrive di aver assistito a varie apparizioni della moglie Giulia, deceduta nel 1546 a causa di una febbre puerperale. La donna gli aveva dato qualcosa come 12 figli in 13 anni di matrimonio. Agostino Landi morì poi nel 1555, avvelenato da un sicario del duca Ottavio Farmese. Fatti recenti, in città, riguardano invece Palazzo Mercanti dove, in più occasioni, sarebbe stato visto aleggiare lo spirito di un uomo con indumenti d’inizio Novecento.

Ecco qui, quindi, la “mappa dei fantasmi” di Piacenza e provincia. I misteri riguardano almeno 25 diversi comuni e le segnalazioni sono, in tutto, una quarantina. Con un primato di “presenze” che va al comune di Gazzola. Un numero, nel complesso, davvero elevato. Che appunto potrebbe conferire a Piacenza il titolo di “provincia più infestata d’Italia” o portarla, comunque, ad essere annoverata tra le più infestate. Con un indubbio richiamo sia per gli esperti ed i cultori di mistero e di paranormale, ma anche per i semplici turisti e gli amanti di una gita fuori porta che, dalla Bassa alla Montagna, possono trovare nel territorio piacentino, suggestive realtà di assoluto richiamo.



FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

 
www.valtaro.it

www.villaggiomedievale.com

www.castellodirivalta.it

www.castellodiagazzano.com

www.grazzanovisconti.it


www.daltramontoallalba.it


www.castellidelducato.it


il paranormale.wordpress.com



www.croponline.org


www.liberta.it


www.piacenzasera.it



L. Cafferini, “Piacenza e la sua provincia – Guida Turistica”, Odranoel Design, Piacenza. Triennio 2010, 2011, 2012.



C.Artocchini, “Tradizioni popolari piacentine. La fede, il mistero, l’occulto”, Volume 4- Tep Edizioni d’arte, 2006.



FONTI FOTOGRAFICHE


Le foto di Bobbio sono state gentilmente concesse dalla fotografa Monika Rossi. Per un loro utilizzo è necessario contattare l’interessata.

Le foto di Grazzano Visconti sono state estrapolate dai siti piacenzamusei.it e castellodigrazzanovisconti.it.


Le altre fono sono di proprietà di Emilia Misteriosa. Per un loro utilizzo è necessario contattare l’associazione


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