29 giugno 2013

CASTIONE MARCHESI – AVVISTAMENTO UFO SULLE CAMPAGNE DEL PARMENSE? ESCLUSIVA DI EMILIA MISTERIOSA



di Paolo Panni

 



28 Giugno 2013, ore 22.30: un oggetto circolare di colore rosso si presenta sui cieli di Castione Marchesi, frazione di Fidenza. E dopo una quarantina di secondi sparisce nel nulla. Questo, in estrema sintesi, quanto accaduto nella frazione fidentina. Un episodio al quale hanno assistito quattro testimoni oculari: Mattia Nasi, Fabiola Brambilla, Micol Orsi e Germano Meletti. Tutti ne sono rimasti impressionati, e turbati. Emilia Misteriosa, informata negli attimi immediatamente successivi, ha voluto vederci più a fondo, raccontando la loro esperienza, raccogliendo la loro testimonianza. Incontrandoli subito, la sera stessa per approfondire un episodio che, al di là di ogni spiegazione ed interpretazione, merita di essere illustrato e conosciuto.





Ecco come sono andati i fatti: è una normale sera di fine giugno, con temperature piuttosto fredde per il periodo (circa 15 gradi a quell’ora). Una di quelle sere che, in questi tranquilli e laboriosi borghi di campagna, scorrono tranquillamente. Solo un fatto improvviso può sconvolgere o, comunque, movimentare la vita di questi paesi.





Mattia, Fabiola e Micol, tre giovani del paese, si trovano nella piazza-giardino di Castione, tranquillamente seduti su una panchina a parlare del più e del meno. Li raggiunge Germano Meletti, simpaticamente definito il “sindaco di Castione”, di parecchi anni più grande, intento a fare una passeggiata col suo cane, “Birillo”, seguito anche da uno dei suoi inseparabili gatti. E’ quindi l’occasione per fare due chiacchiere anche coi ragazzi.





Ad un tratto ecco il fatto inatteso. Sopra i cieli di Castione, in direzione Nord-Est, si materializza un oggetto volante circolare, di colore rosso intenso. Il primo a notarlo è Mattia Nasi, che invita immediatamente gli altri presenti ad osservare. Tutti naturalmente lo fanno, restando colpiti da quanto si materializza sopra i loro occhi. Micol Orsi ha il tempo per estrarre anche il telefono cellulare, col quale proprio pochissimi istanti prima che l’oggetto volante scompaia nel nulla, realizza una immagine. Di scarsa qualità, com’è naturale che sia. Ma comunque fondamentale trattandosi, di fatto, dell’unica prova materiale di quanto accaduto. “Il tutto – raccontano – è durato circa 40 secondi, forse un minuto, non di più. Si trattava di un oggetto circolare di colore rosso. Dopo essersi presentato si è leggermente allargato, è rimasto quasi fermo effettuando solo piccoli spostamenti, quasi impercettibili. Per poi sparire improvvisamente nel nulla”. Gli animali presenti, un cane e un gatto come già sottolineato, come confermato dagli stessi testimoni, né prima, né durante né tantomeno dopo quel fatto hanno evidenziato comportamenti strani o diversi dal solito. I quattro testimoni hanno invece evidenziato una comprensibile curiosità, un chiaro stupore ma anche un a certa paura. Soprattutto Fabiola Brambilla, parlando dell’accaduto, è quella che ha mostrato il maggior spavento.






Come sottolineato, Micol Orsi è riuscita anche ad immortalare, seppur col semplice cellulare, l’accaduto. Ed ha accettato di metterci a disposizione l’immagine che qui proponiamo. Vi si nota, in effetti, un oggetto volante di colore rosso, come mostrano anche gli ingrandimenti che abbiamo realizzato, pur tenendo conto della bassa qualità della foto. Vi si noterebbe anche una specie di “coda” spingersi verso il basso, verso la terra quindi. Ma di cosa si è trattato? Questo è ciò che si chiedono non solo i testimoni. Un asteroide? Un meteorite? O un ufo? Difficile, al momento, dare una risposta plausibile. L’immagine sarà certamente mostrata ad esperti. Contiamo quindi di fornirvi aggiornamenti, interpretazioni e spiegazioni ulteriori. Ma, nel frattempo, era giusto, e doveroso, raccontare l’accaduto.




Fra l’altro, nell’occasione, è anche stato possibile raccogliere la testimonianza su un altro strano avvistamento accaduto, a pochi chilometri di distanza, ormai parecchi anni fa. Ne fu testimone Germano Meletti, insieme ad alcuni suoi amici, a Roncole Verdi, quindi ad una manciata di chilometri da Castione Marchesi. “Erano i tempi – ha detto – in cui facevo parte del Gruppo Attività Verdiane. Un giorno, all’imbrunire, mentre ci trovavamo di fronte ad un bar roncolese, si materializzò in cielo uno strano oggetto, a forma di sigaro, di colore bianchissimo. Rimase fermo in cielo per circa 5-6 secondi per poi spezzarsi in due. La parte più piccola sparì subito lasciando una scia di fumo. Qualche istante dopo sparì anche l’altra parte, più grande. Assistemmo a quel fatto in almeno una ventina di persone”. Tanti anni sono appunto passati da quell’episodio, rimasto praticamente nascosto nell’oblio. Ma è comunque importante conservarlo negli “archivi”, non solo della memoria umana. Perché anche questo contribuisce, nel suo piccolo, a fare ricerca sulla possibile esistenza di mondi a noi sconosciuti, e di forme di vita extraterrestri.



SI RINGRAZIANO MATTIA NASI, FABIOLA BRAMBILLA, MICOL ORSI E GERMANO MELETTI PER LA CORTESE COLLABORAZIONE E LA DISPONIBILITA’.


LE FOTO SONO DI PROPRIETA’ DI EMILIA MISTERIOSA E DI MICOL ORSI (PER QUANTO RIGUARDA L’OGGETTO VOLANTE). PER UN LORO UTILIZZO E’ NECESSARIO PRENDERE CONTATTO CON I DIRETTI INTERESSATI.


24 giugno 2013

L’ospitale longobardo di Calendasco. Nel 1200 ospitio francigeno gestito da romiti penitenti




di Umberto Battini

 




Lungo l’asse del Po, a soli 8 km dalla città di Piacenza al nord-ovest vi è il piccolo borgo padano di Calendasco (Kalendasco nelle carte longobarde). Oggi in questo luogo da ormai oltre un decennio vi è il porto francigeno per eccellenza cioè quello indicato da Sigerico che da qui transpadò verso Corte Sant’Andrea. In antiche carte del 1153 fino ad arrivare al 1184 ed oltre appare citata in capite burgi calendaschi la strata romea.

Nel piccolo borgo divenuto nei secoli a passare un luogo contadino si conservano alla nostra vista 4 insigni monumenti: il piccolo eremitorio-ospitio, il castello del XIII secolo, il più antico ricetto del sec XII e ovviamente la chiesa della quale possediamo carte longobarde del VIII sec.

Questa volta presentiamo ai lettori una breve storia del romitorio perché fu da qui che prese avvio la conversione di San Corrado Confalonieri che fu penitente terziario poi pellegrino ed eremita del Terz’Ordine di San Francesco.

Nella parte più antica del conventino ospedale francigeno conserviamo la parte longobarda con un pozzo a camicia in cotto.





Nel 1200 era retto da una piccola comunità di terziari o penitenti quelli per l’appunto nati da S. Francesco e poi ben regolarizzati con la bolla del 1289 Supra Montem.
Nel 1280 reggeva il luogo il p. Aristide che qualche documento dà per Beato.
Fu lui che nel 1290 andò a Montefalco a costruire il convento di quella che divenne S. Chiara di Montefalco! Finito quel cantiere ritornò in Calendasco (questa storia è attestata addirittura da un antico storico montefalchese) e di questo noi abitanti del luogo andiamo fieri.
Ma lo stesso S. Corrado Confalonieri, nato nel 1290 nel castello del paese del quale la famiglia fu feudataria per oltre due secoli, è parte storica del piccolo convento-ospedaletto.
Difatti dopo l’incendio che causò nel 1315 fu da p. Aristide qui accolto e ci visse circa dieci anni partendo poi pellegrino verso Gerusalemme e fermandosi poi a vivere da eremita in una nuda grotta tra i monti della Valle di Noto in Sicilia!

Ma questa come detto è un’altra storia che vi proporrò a tempo debito.




Il romitorio-ospitio di Calendasco aveva una bella dimensione, se pensiamo che la sala capitolare è tutto sommato di notevole grandezza.
La piccola primitiva chiesetta annessa sorge lungo l’asse stradale, una mappa del 1500 conservata in archivio di Stato a Parma ci mostra il paese con la chiesa, il castello ed il convento-ospitio fornito di un apprezzabile campanile.
Appena sotto il portico si mostrano le tante piccole porticine che davano alle varie camere della foresteria mentre la parte conventuale ha una bella scala in cotto che sale due piani con le stesse caratteristiche che potete aver notato nei piccoli eremitori francescani umbri.
Possediamo documenti di vari secoli dell’edificio che veniva usato nel 1600 quale luogo di aggregazione della popolazione per riunirvisi previo campana pulsata.
Molti atti notarili del paese sono redatti proprio qui, perché il luogo aveva anche un carattere morale, e quindi il notaio rogava in hospitio dicti loci calendaschi a volte subtus portichii altre voltre in camera superiora. Anche gli storici del Terzo Ordine Regolare di S. Francesco della Curia Generalizia di Roma nei secoli hanno scritto di questo posto che dicono essere uno tra i più importanti, ricordando che nel 1280 proprio a Piacenza si tenne un Capitolo di Penitenti (fratres de penitentia nuncupati).
Questo luogo nel 1300 era appellato “del gorgolare” perché a circa 100 metri vi era un mulino (oggi ancora esistente ma chiuso) le cui acque del rivo macinatore di Calendasco facendo una curva a gomito proprio davanti al conventino creavano quindi quel perenne rumore delle acque detto gorgogliare.
In questi anni recenti il luogo è stato sapientemente restaurato in ogni parte dal proprietario – devotissimo al pari mio! Di San Corrado! – e sotto al grande porticato d’ingresso abbiamo potuto svolgere i primi due (di cinque) convegni di studi nazionali in onore di S. Corrado, orgoglio di Calendasco! In effetti noi ci vantiamo non solo di avergli dato i natali fisici nel castello ma anche quelli “spirituali” nel romitorio dei penitenti.
In breve eccovi dunque una sintesi storica del nostro monumento insigne che oggi viene custodito con amore e, posso aggiungere, anche con “venerazione”.

19 giugno 2013

LA MAGICA NOTTE DI SAN GIOVANNI: TRA LEGGENDE, MISTERI E STORIA. UNO DEI MOMENTI PIU’ ATTESI IN TUTTO IL PARMENSE




di Paolo Panni


Con l’avvio dell’estate si ripresenta puntuale, secondo il calendario cristiano, una delle feste più attese e sentite: quella di San Giovanni Battista, del 23 giugno. Una “notte magica”: magica in tutti i sensi, perché leggenda, mistero e storia si fanno largo, in tutto il Parmense, dalla Bassa alla montagna. Un evento che lega la terra emiliana a tante altre province e regioni italiane.

 



E’ usanza, in tutta la provincia di Parma, attendere la rugiada gustando i famosi tortelli d’erbette. Ed a proposito di erbe ed erbette, una su tutte, quella a cui sono legati non pochi aspetti leggendari e misteriosi è l’erba di San Giovanni, detta anche iperico ma anche “cacciadiavoli” (e per i cultori del mistero già questa è una denominazione in grado, senza dubbio, di cogliere l’attenzione). Nome scientifico Hypericum perforatum, era la pianta utilizzata per curare le ferite, usata dai Cavalieri di Gerusalemme, che secondo la “dottrina dei segni” utilizzavano piante dalla forma simile alle infermità da guarire. Era anche l’erba che nell’antichità scacciava gli spiriti del male e che ancora oggi è portatrice di buonumore, grazie ad una sostanza attiva che in Germania è tra gli antidepressivi più prescritti.





Abbiamo deciso di approfondire l’argomento parlandone insieme ad Angela Zaffignani, giornalista parmigiana, della Società Italiana di Birdgarden che, ben volentieri, ha accettato di affrontare questi argomenti.



Partendo appunto dall’Iperico, o erba di S.Giovanni o cacciadiavoli, ha spiegato che: “Durante le crociate, i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme erano soliti curare le ferite dei combattenti con questa pianta. Lo facevano basandosi sulla “dottrina dei segni”, secondo cui le infermità d’una qualsiasi parte del corpo possono essere curate con una pianta che di quella parte riproponga la forma. H.perforatum non sembra somigliare esteriormente a nessun organo del corpo umano: se, però, si osserva una della sue foglie controluce, essa apparirà costellata di ghiandole trasparenti simili a perforazioni, cioè a “ferite”. Secondo la citata “dottrina”, poiché la foglia sembrava perforata, poteva curare le ferite, specie quelle riportate in battaglia.
H.perforatum era ritenuto utile anche per scacciare i demoni e gli spiriti del male. Nel Medioevo, veniva appeso alle finestre e sulle porte per impedire a Satana e ai suoi emissari di penetrare nelle case. Quando una donna si riteneva impossessata dal demonio, e quando nemmeno le preghiere degli esorcisti erano riuscite a liberarla, non doveva far altro che mettersi in seno alcune foglie della pianta e sparpagliarne altre nella sua abitazione.
Diversamente da H.humifusum, H perforatum non predilige i terreni ricchi di calcare.
L’ Hypericum perforatum, più noto col nome popolare di “erba di San Giovanni” perché i suoi fiori giallo-oro sbocciano a fine di giugno in coincidenza con la festa del santo, contiene una sostanza attiva, l’ipericina, che ha un’azione psicoattiva di rasserenamento dell’umore. Indicato esclusivamente, l’hypericum agisce a livello cerebrale in modo simile ai più diffusi farmaci antidepressivi di sintesi, rallentando la distruzione di alcuni neurotrasmettitori, tra cui la serotonina e dopamina. In Germania, dove la fitoterapia è particolarmente seguita, oggi l’erba di San Giovanni è l’antidepressivo più prescritto, e anche negli Stati Unito si va diffondendo a macchia d’olio, aiutata dal fatto che è in vendita come prodotto da banco senza ricetta”.




L’occasione, come evidenziato fin dall’inizio, è quella della “notte magica” di San Giovanni, il Battista. A riguardo, Angela Zaffignani ha iniziato il suo approfondimento con questa citazione:

“Un essere umano era disteso per terra, con lunghissimi capelli che si confondevano con il pelo quasi animale che ricopriva la sua schiena”. “Così – ricorda - Gustave Flaubert descrive in Erodiade, uno ei suoi racconti, a toni crudi e realistici, la figura del Battista, prigioniero di Erode. Egli sfinito dagli stenti e dalla sofferenza, non ha più nulla di umano, tuttavia continua a possedere una grande forza interiore, dovuta alla fede immensa, la stessa che , più avanti , gli fa gridare: “Siate maledetti Farisei e Sadducei, razza di vipere, otri gonfiati, sonagli chiassosi…” In effetti lo scrittore trasse ispirazione da ciò che è scritto nei Vangeli, per far di Giovanni una delle figure più drammatiche della sua opera.
Giovanni, cugino di Gesù, è detto il precursore per la sua vita spesa a preparare la venuta del figlio di Dio, annunziata dalla profezia. La sua nascita ha del miracoloso poiché ebbe luogo dopo che l’Angelo Gabriele l’annunziò ad Elisabetta, cugina della Madonna ed a Zaccaria , sacerdote del tempio, troppo anziano per divenire padre.
Da adulto Giovanni visse una vita raminga, di stenti, digiuni e preghiera. Si tramanda che, vestito di pelli di cammello, tenute insieme da una ruvida corda, si cibasse di locuste e si scagliasse con voce tonante contro gli infedeli, battezzando i convertiti sulla riva del Giordano. Qui attese Gesù che, partito da Nazareth, fu da lui battezzato; continuò poi la sua opera sino a quando fu fatto prigioniero da Erode su istigazione della convivente, Erodiade, moglie del fratello. Questa, condannata pubblicamente assieme al marito dalle invettive del Santo, fece chiedere la sua testa dalla figlia Salomè, che aveva irretito il vecchio sovrano con danze lascive; così cadde la testa del Battista portata in trionfo su di un piatto d’argento sulla mensa dei potenti.
Figura centrale nella storia del Cristianesimo, San Giovanni è rappresentato da una ricca iconografia: Andrea del Sarto (1486-1531), 10 scene della vita; Filippo Lippi (1406-1469), affreschi del coro del duomo di Prato; Grunewald (1475-1528), nel museo di Colmar; Correggio (1494-1534) in San Giovanni di Parma. Il culto del Santo, il cui nome in ebraico in ebraico significa “a Dio propizio”, è molto diffuso in tutta Europa ma soprattutto in Italia, dove è patrono di Parma, Torino, Genova e Firenze.

La sua festa cade il 24 giugno, giorno magico, destinato sin dall’antichità a riti esoterici, forse perché coincide con il solstizio d’estate. Proprio in un’epoca lontana va ricercata l’usanza che vede la notte tra il 23 ed il 24 “la notte delle streghe”.

Nelle campagne piemontesi, lombarde ed emiliane, molti erano i riti propiziatori, caduti ormai in disuso; ad esempio i sacerdoti in Piemonte solevano benedire i fuochi accesi dai contadini, immagine del sole, atti a propiziare i raccolti e la buona salute. Di tale vecchia e suggestiva tradizione troviamo tracce anche nella letteratura, come nella famosa opera letteraria di Cesare Pavese La luna e i falò. Altra credenza vuole che una talea di geranio legata ad un manico di scopa, strumento che accompagna sempre le streghe, esposta alla rugiada, fiorisca per tutta l’estate senza bisogno di terra o di acqua o che le noci tenere che servono per fare il nocino siano buone solo se colte la mattina del 24.

Comunemente si crede che la rugiada di San Giovanni faccio bene alla salute; lo credono soprattutto gli abitanti di Parma che usano fare le ore piccole in lunghe tavolate all’aperto, consumando i tortelli di erbette, annaffiati con abbondante malvasia bianca.

Molti sono i proverbi dialettali legati alla vita contadina del nostro paese, ricordiamone alcuni:

“Se piove al dì de San Zuane se suga le fontane” (Veneto); “Par San Giuàn as cave li sigòli e l’ai” (Bassa padana), “Chi compra ai dè d’San Zvan è pùvratt tot l’an” (Bologna).

San Giovanni, a ricordo della sua tragica morte, è invocato contro l’emicrania”.





Parlando di nuovo di erbe, e specificatamente di quelle dello stesso San Giovanni, Angela Zaffignani ha quindi evidenziato che:

“Secondo un’antica credenza nella notte del 21 (solstizio d’estate) la luna si sposa con il sole e da questo sposalizio si riversano energie benefiche sulla terra.
Secondo tutte le antiche tradizioni la notte tra il 23 e il 24 giugno tutte le piante e le erbe sulla terra vengono bagnate dalla rugiada del santo e intrise da una potenza nuova”.

Ecco l’elenco delle erbe di San Giovanni, messo a disposizione dalla stessa giornalista della Società Italiana Birdgarden:

1)  Artemisia (Aremisia vulgaris)
2)  Rosmarino (Rosmarinus officinalis) – rugiada del mare protegge dalla negatività
3)  Iperico (Hipericum perforatum) – ovvero “caccia diavoli
4)  Prezzemolo (Petroselinum sativum) – purifica e protegge
5)  Lavanda o spighetta (Lavandula officinalis) – la sua spiga èè considerata un amuleto che protegge da disgrazie, ossessioni e demoni
6)  Aglio (Allium sativum) – che respinge streghe e vampiri. Plinio la cita come guaritore di molti mali.
7)  Menta (Mentha spp.) – erba santa
8)  Ruta – detta anche “erba allegra” perché è un efficace talismano contro il maligno
9)  Verbena – simbolo di pace e di prosperità
10) Salvia – (Salvia officinalis) lingua vegetale

C’è poi “L’incantesimo delle noci”. “E’ proprio durante la Notte del 23 giugno – ricorda l’esperta giornalista - che si devono raccogliere dall’albero le noci dette appunto di San Giovanni.
L’utilizzo del mallo di noce come ingrediente per medicinali o liquori risale a tempi antichissimi, notizie sull’origine non sono però precise.

Si racconta che la ricetta sia di origine francese”

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La “Notte delle streghe” – di Giorgio Batini


La Noce di Benevento la discoteca delle streghe.


Dicono che fosse Diana a guidare veri e propri stormi di vecchie che a cavallo delle loro scope arrivavano in volo da tutto il mondo per ritrovarsi in una notte fatidica, quella del 24 giugno, festa di San Giovanni Battista, e celebrare il gran sabba annuale.
Non è chiaro perché le streghe avessero scelto, in tutto il globo, proprio Benevento per il grande sabba, e cioè per il grandioso summit orgiastico ch celebravano la notte del sabato, festa di San Giovanni, ma si dice che riti pagani si svolgevano da tempo immemorabile sotto un grande noce esistente sulle rive del Sabatus quando la città campana si chiamava ancora Malavento.
I riti pagani continuarono a lungo, fino alle invasioni barbariche, ma dopo la caduta del regno longobardo quando il Cristianesimo prese il sopravvento in tutta la penisola, la pianta infernale fu abbattuta per ordine di un Vescovo, fu addirittura sradicata, e nel luogo dove sorgeva, fu alzato una specie di monticello. Però, così racconta la leggenda popolare, il noce di Benevento rinacque come niente fosse e tutto tornò come prima, a parte il cambiamento dei riti e la diversità degli ospiti, che non si celebravano più le orgie in nome degli dei dell’Olimpo, ma in omaggio al gran principe delle tenebre, il quale, fra l’altro, prendeva parte ai festini delle streghe, insieme alla sua corte di diavolacci.
Insomma anche le streghe e i demoni avevano il loro weekend non diversamente dagli uomini. Dopo una faticosa settimana di fatture, filtri, malocchi, incantesimi e sortilegi, le fattucchiere sentivano il bisogno di rilassarsi e di trascorrere un sabato notte di bagordi, bevendo, cantando e lanciandosi in danze sfrenate fino alle luci dell’alba quando risalivano sulle loro scope e sparivano in tutte le direzioni.
In un certo senso tutte le fattucchiere e i diavoli passavano la notte del sabato in discoteca, che in quel tempo lontano, e per i loro gusti, era il noce di Benevento. Che le autorità religiose cercarono di “chiudere”, ma che veniva continuamente, e magicamente, riaperto e che viveva la festa più straordinaria e affollata la notte del 24 giugno. (questo pezzo è tratto dal libro di Gorgio Batini “Le radici delle piante”)


SI RINGRAZIA ANGELA ZAFFIGNANI PER LA CORTESE COLLABORAZIONE


Fonti fotografiche

 
www.spicesmedicinalherbs.com

www.floracyberia.net

www.italianostra-milano.org



Si prega di segnalare eventuali copyright nelle foto, al fine di una loro cancellazione.



11 giugno 2013

ALL’ANTICA PIEVE DI SERRAVALLE, TRACCE DEL CULTO DI DIANA E DELLA PRESENZA DEI TEMPLARI




di Paolo Panni



 

Più di mille anni di storia e di affascinanti misteri, che spaziano dal culto di Diana alla possibile presenza dei Cavalieri Templari, si susseguono nel Battistero della Pieve di Serravalle, piccolo nucleo, di remotissima origine situato poco a monte di Varano dè Melegari (Parma), a due passi dal torrente Ceno e dalla Via Francigena.

Serravalle è l’antica “Valium”, citata nei documenti del 953 ed alcuni ritrovamenti tradiscono precedenti insediamenti liguri e celti. Quella dedicata a San Lorenzo, la cui esistenza è accertata fin dal 1005, è una delle più remote pievi del Parmense, la sola per altro ad avere un edificio indipendente, ed apposito, per la celebrazione del Battesimo: sacramento che, nel medioevo, era amministrato fra tutte le chiese di un determinato territorio (detto pievato), solo dalla pieve. Ed è proprio il Battistero, di forma ottagonale, in pietre squadrate, con copertura del tetto in piane, a meritare una particolare attenzione.

 



Risalente al X-XI secolo (ma secondo alcuni studiosi e storici è ascrivibile addirittura ai secoli VIII – IX, è caratterizzato da due portali di accesso ed è illuminato da quattro monofore. L’ottagono della pianta, comune a molti battisteri costruiti nell’Italia centro-settentrionale tra il V e il XIII secolo, è ritenuto da Sant’Ambrogio la forma ideale per questo tipo di edifici, in quanto il numero sette indica la vita terrena (con i sei giorni della creazione e il giorno del riposo di Dio) e il numero otto indica invece l’ottavo giorno, ovvero il mondo ultraterreno, quello della risurrezione a cui il battesimo inizia.





Ma l’Ottagono cela, nel suo significato, anche altri aspetti. L'Ottoade, o Ottonario, è l'entità numerica e simbolica rappresentata dal numero Otto. Numero, questo, che evoca il doppio quaternario, uno attivo ed uno passivo, e riassume l’equilibrio costruttivo delle forme, dei temperamenti e delle energie cosmiche. Nella tradizione esoterica, sono parecchi i simboli sono ispirati dal numero otto.
Ed il caso più semplice è proprio quello costituito dall’Ottagono, figura geometrica regolare ad otto lati, che funge da base di derivazione grafica di tutti i simboli discendenti ed è stata spesso utilizzata per la Geometria Sacra delle costruzioni architettoniche. Spesso l’Ottagono è ottenuto, graficamente, rappresentando due quadrati sovrapposti e ruotati l'uno rispetto all'altro di 45°.
Uno degli esempi più chiari, ed evidenti, in questo senso, è certamente quello dato dall’architettura di Castel Del Monte, in Puglia, fatto costruire da Federico II di Svevia, ma si possono citare anche numerosi altri esempi. La torre che affianca la simbolica Abbazia di Collemaggio, a L'Aquila, fatta realizzare da Papa Celestino V, presenta l’insolita forma ottagonale, e tutti i battisteri cristiani, come appunto quello di Serravalle, presentano la stessa forma. Il battesimo è un rito fondamentale del credo cristiano che è fortemente connesso con l’acqua. Oltre tutte le considerazioni simboliche sulla purezza e sulla fonte di vita, non bisogna dimenticare, come chiave di lettura nascosta, che l’acqua è anche associata ai riti di fertilità ed ai culti della
Grande Madre.






La Dea è tradizionalmente associata al pianeta Venere che compie il suo ciclo di fasi in otto anni terrestri. Per questo, uno dei suoi attributi più frequenti è laStella Polare, che presenta otto punte e che sempre dall’ottagono deriva. Ed anche i Cavalieri Templari, nel loro complesso simbolismo, avevano particolare predilezione per il numero otto: la Croce delle Beatitudini, che soprattutto nei primi tempi fu il loro emblema ufficiale, è derivata proprio dall’ottagono.

Senza dimenticare poi che molti altri simboli hanno per base l’ottonario: oltre alle già citate Croce delle Beatitudini e Stella Polare, vanno ricordate la
Rosa dei Venti, la Ruota della Vita (o Ruota ad Otto Raggi), il Centro Sacro e la Clavicola di Phu-Hi, contenente gli otto trigrammi dell'I-Ching. Più volte rimaneggiato e restaurato (le due stesse porte d’accesso sono state realizzate in tempi diversi) ha un diametro di 7 metri e mezzo ed una lunghezza di 5; è spoglio e culmina in una copertura lignea a capriate che ne riprende una analoga più antica.

Originariamente le pareti dovevano essere dipinte e sono caratterizzate da una muratura a corsi, scandita negli angoli da semicolonne alternati a pilastri, culminanti in semplici capitelli. Uno soltanto di questi è scolpito e vi sono raffigurati un volto e un uccello: probabilmente simboli degli evangelisti Luca e Giovanni.





 

In particolare, il volto è caratterizzato da occhi rimarcati con la pupilla definita a piombo; è incorniciato da una capigliatura aderente al capo in strisce parallele e ondulate che si dipartono da un ciuffo centrale, sormontata da un copricapo. Sia il volto che i tratti dell’aquila dal piumaggio molto ben definito fanno ricondurre il capitello al XII secolo.

La pieve ed il battistero, così come altri edifici analoghi di queste vallate, insiste sull’area di un antico insediamento romano. Questo è confermato anche dal ritrovamento, avvenuto ormai anni orsono, di un’ara votiva in marmo bianco dedicata al culto di Diana, ritrovata murata in una parete del Battistero, ora conservata al Museo Archeologico di Parma.

Come si evince dall’iscrizione: L.VIBULLIUS PONTIANUS DIANAE V.S.L.M. (sciolta in Votus solvit libens merito) era stata dedicata alla dea Diana da un membro della gens Vibullia, la cui presenza nel territorio è confermata nella Tavola velleiate.



 
Da sempre l’edificio richiama l’attenzione degli studiosi e, per la presenza dell’ara e di altri reperti romani, si ritiene che fosse, in precedenza, un luogo sacro per i pagani, dedicato appunto a Diana. Da evidenziare che l’adiacente chiesa plebana di San Lorenzo, fu ricostruita completamente dopo il crollo avvenuto nel XIV secolo e restaurata nel 1796, nel 1814 e nel 1927. La chiesa ha oggi pianta ad aula con abside semicircolare e cappelle laterali.


IL CASTELLO SCOMPARSO

Ed a Serravalle di Varano dè Melegari si trovava, anticamente, anche un castello, costruito dai Pallavicino nel 1141 sullo “sperone” alla sinistra del torrente Ceno, che chiude la media valle.
Distrutto, presumibilmente, fra il 1195 e il 1197 dai “Collegati” del Comune di Parma in lotta contro Obizzo d'Este e i Pallavicino, non fu più ricostruito. Oggi ne rimangono ben poche tracce, ma dal luogo si ha una veduta straordinaria sulla Val Ceno.



FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE


M.Fallini, M.Calidoni, C.Ratetti, L.Ughetti, “Terra di Pievi”, Mup Editore , 2006


www.luoghimisteriosi.it

www.prolocovarano.it

www.romanoimpero.com

www.treccani.it

www.antika.it

www.beniculturalionline.it

www.valcenoweb.it

www.angolohermes.com

www.templarioggi.it


SI CHIEDE DI SEGNALARE EVENTUALI COPYRIGHT AI FINI DI UNA CANCELLAZIONE O MODIFICA DEI TESTI.

LE FOTO SONO DI PROPRIETA’ DI EMILIA MISTERIOSA. PER UN LORO UTILIZZO E’ SUFFICIENTE CITARNE LA FONTE.

5 giugno 2013

L’ATTRICE FRANCA RAME NACQUE A PIEVEOTTOVILLE?



di Paolo Panni





E se Franca Rame fosse natale a Pieveottoville? L’interrogativo, che da decenni circola, più o meno insistentemente, nel borgo rivierasco, ha ripreso quota in seguito alla recente morte della celebre attrice e drammaturga milanese. Per l’anagrafe, Franca Rame è nata a Parabiago il 18 luglio 1929, ma da sempre, nella Bassa, laddove scorre il Grande fiume, c’è chi ipotizza che il primo vagito lo abbia emesso proprio sulle rive del Po. E’ storia che i genitori di Franca Rame erano guitti ambulanti, quindi attori che si spostavano da una località all’altra per presentare i loro spettacoli. Lo facevano a bordo di un carrozzone verde e giallo con la scritta “Famiglia Rame – Venghino signori a divertirsi”. A Pieveottoville non solo hanno messo in scena le loro rappresentazioni, ma per un periodo hanno anche vissuto (forse per una intera stagione), prendendo in affitto una casa posta nelle immediate vicinanze della scuola materna. E sembra, secondo quanto tramandato da diversi anziani del paese, che quella che è diventata poi una delle principali attrici italiane del Novecento, sia nata proprio in quella casa. Non c’è però alcuna prova materiale a riguardo, nessun documento che ne attesti la nascita. Che quindi, ufficialmente, è avvenuta in quel di Parabiago. Ma nel centro della Bassa, che ha dato i natali a non pochi ed importanti personaggi, continua ad aleggiare questo che è, a tutti gli effetti, un “mistero”. Non è un mistero, invece, il fatto che la famiglia Rame sia sempre stata molto stimata nella Bassa. E’ tra l’altro recente il ritrovamento di un documento, da parte dello storico ed ex sindaco Gaetano Mistura, legato alla stessa famiglia Rame. Si tratta di una lettera, firmata dal maestro Bontempi della scuola materna, in cui si attesta un contributo dato alla stessa scuola,dalla famiglia Rame, in seguito ad uno spettacolo andato in scena nella stessa Pieve. La lettera, insieme ad altre interessanti documentazioni, sarà esposta, sabato 8 giugno 2013, in occasione della mostra, curata dallo stesso Mistura, che sarà aperta al pubblico (dalle 16) per celebrare i 100 anni della scuola materna di Pieveottoville.

STORIA E MEMORIA DEGLI EBREI A BUSSETO



di Paolo Panni


“Storia e memoria degli ebrei a Busseto” sono stati al centro di una serata culturale che si è tenuta nel Salone Barezzi di Busseto, nell’ambito della quarta edizione de “I martedì della storia” (rassegna promossa dal Movimento culturale per la Bassa Parmense). Relatrice dell’incontro, la professoressa Lisetta Long Muggia, di fatto l’ultima esponente della comunità ebraica di Busseto. Ad introdurre la serata sono stati il professor Corrado Mingardi e Giorgio Yehuda Giavarini, presidente della Comunità ebraica di Parma. Quest’ultimo ha sottolineato che “la presenza ebraica in provincia di Parma riguarda soprattutto la Bassa e, in particolare, Busseto, Soragna, Colorno, Borgo San Donnino ed i vicini centri piacentini di Cortemaggiore, Fiorenzuola, Monticelli d’Ongina”.




Nessun mistero, lo anticipiamo subito, accompagna la storia degli ebrei a Busseto. Tuttavia, trattandosi di una pagina di storia decisamente poco conosciuta, con tanti aspetti inediti emersi nel corso della serata, abbiamo deciso di dar spazio all’evento su questo blog. Perché tra le finalità di Emilia Misteriosa c’è anche quella, non secondaria, di far luce su pagine di storia rimaste celate nell’ “ombra”.



Aprendo il suo intervento, Lisetta Long Muggia ha subito evidenziato la vastità dell’argomento, invitando, per approfondimenti, al volume “Ebrei a Parma” di Lucia Masotti ed al libro sulla storia di Busseto di Manfredo Cavitelli. Entrambi i testi sono disponibili nella Biblioteca della Fondazione Cariparma di Busseto.







“Io – ha detto Lisetta Long Muggia – sono l’ultima esponente della comunità ebraica di Busseto e la cosa mi mette molta malinconia. Mi pone inoltre di fronte ad un problema morale: quello di consegnare documenti e ricordi a qualcuno che li porti avanti oltre la mia vita”.

Entrando quindi nel tema della serata ha ricordato che “i primi ebrei si stabilirono nelle province di Parma e Piacenza all’inizio del Quattrocento. Provenivano sia dall’Italia Meridionale che dalla Germania. Dall’Italia Meridionale perché occorre ricordare che nel 1492, nell’Italia del Sud, Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia mandarono via gli ebrei dalla Spagna e dal territorio che faceva capo al Governo Spagnolo. Ecco così che risalirono la Penisola. Alcuni si fermarono nello Stato Pontificio, dove esiste la comunità ebraica più antica di tutta la Diaspora. Altri invece arrivarono dalla Germania, dalla Polonia e dall’Europa Centrale. Erano gli Ashkenaziti che, nell’antichità viaggiavano molto. Nel tempio di Busseto, che era situato in via Del Ferro, il rito era Ashkenazita”. E questo è già un fatto singolare visto che nella vicina Soragna, dove si trovano ancora la Sinagoga ed il Museo Ebraico, il rito era Sefardita (proprio degli ebrei provenienti dai territori che erano sotto il dominio iberico).

Sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza, gli ebrei non ebbero mai problemi di sorta. Le cose cambiarono nel 1555, esattamente a partire dal 14 luglio, quando Papa Paolo IV (Gian Pietro Carafa) pubblicò una bolla “Cum Nimis Absurdum” (“Poiché è oltremodo assurdo”) con la quale vennero istituiti i ghetti. Gli ebrei furono così cacciati via da molte città, trasferendosi di conseguenza in borghi di provincia, trovando condizioni di vita meno disagiate. Nel Parmense si stabilirono, come sottolineato, tra Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza), Busseto, Colorno, Roccabianca, Sissa, San Secondo, Soragna, Torrechiara. Nel Piacentino, a Cortemaggiore, Fiorenzuola e Monticelli d’Ongina. “Erano tutte piccole comunità – ha spiegato la professoressa Long Muggia – che non superavano mai le 200 persone. A testimoniarle sono rimasti i cimiteri. A questo riguardo, ricordo che l’ebreo quando viene sepolto non può più essere toccato . La sepoltura esclude l’incenerazione, ma deve essere soltanto una inumazione, il più possibile vicino alla terra secondo il motto “polvere sei e polvere ritornerai”. Ecco quindi che i cimiteri sono i testimoni di queste comunità. In quegli stessi anni – ha aggiunto – vennero istituiti i banchi d’impegno, visto che per la religione cattolica dare denaro a prestito o pagare interessi negativi era un peccato. Di conseguenza si domandava volentieri agli ebrei che, dai cattolici, erano considerati dei senza Dio. Del resto non dimentichiamoci che persiste sempre, su di loro, l’accusa di Deicidio: cioè l’ebreo è quello che ha ucciso Gesù Cristo. Vennero così istituiti i banchi federatizi. Col tempo ci si accorse che, tutto sommato, con questi banchi gli ebrei prosperavano. Si cercò allora di provvedere istituendo il Monte di Pietà. Ed anche il Monte di Pietà di Busseto è di fatto una risposta al problema del prestito ad usura che gli ebrei concedevano. Queste piccole comunità – ha proseguito – tutto sommato vivevano abbastanza tranquillamente. L’unica seccatura era quella di dover posizionare sul vestito un contrassegno che poteva essere una stella gialla, un cerchio, un berretto giallo per gli uomini, o un foulard giallo per le donne. Successivamente, con la Rivoluzione Francese vennero istituiti i principi di libertè, egalitè e fraternità che rifluirono anche in Italia e così si abbatterono le mura dei ghetti”.




A questo punto è intervenuto il professor Corrado Mingardi ricordando che “i Monte di Pietà sono stati fondati dai Francescani: in un certo senso contro gli ebrei. Quello di Busseto nacque nel 1537 e, al momento della costituzione, non solo si serve del denaro dei tre marchesi Pallavicino e di altre donazioni, ma tra i donatori c’è anche una famiglia di ebrei. E questo certamente stupisce. Gli studenti di Busseto potevano accedere ad una borsa di studio istituita da questo Monte di Pietà. Lo stesso Giuseppe Verdi ne ha goduto. Anche il padre di Isacco Gioacchino Levi (divenuto poi un importante pittore), chiese una borsa di studio perché il figlio frequentava l’Accademia di Belle Arti a Parma. I reggenti del Monte di Pietà di Busseto si riunirono quindi per esaminarla e nei verbali è scritto che non viene concessa, con uno dei presenti che fa mettere a verbale che non si è mai sentito che una borsa di studio del Monte di Pietà sia stata concessa a un ebreo (la famiglia Levi lo era). Ma sappiamo che gli italiani sono di una grande elasticità e, siccome il nostro Monte di Pietà doveva completare la serie dei ritratti ei sovrani di allora, e visto che Gioacchino Levi studiava belle arti, a lui fu affidata la realizzazione, ogni anno, della copia di un ritratto di un Duca di Parma e così, in questo modo, gli furono sovvenzionati gli studi. Inoltre – ha fatto sapere Mingardi – il quadro con cui Gioacchino Levi vince il Pensionato di Maria Luigia per andare a Roma a perfezionarsi, ha come soggetto la fondazione del Monte di Pietà e vi compaiono i tre marchesi Pallavicino che ascoltano, il notaio che legge il rogito di fondazione, padre Majavacca dei Minori Francescani di Busseto che ha lanciato l’idea del Monte di Pietà a Busseto e c’è anche un altro personaggio che è il primo degli autoritratti di Levi”. Levi che, come aggiunto quindi da Lisetta Long rappresenta “una figura estremamente interessante e controversa. Era ebreo infatti, ma sposò una cattolica e sulla lapide, nel cimitero di Busseto, è scritto “Voglia iddio Misericordioso concedere quella pace che mai trovò in vita”. Va detto che i matrimoni misti, tra ebrei e cristiani, davano vita chiaramente a problemi, a cominciare dall’educazione degli figli perché chi vuole essere religioso deve seguire numerose norme ebraiche che si scontrano con quelle di religioni diverse. Il Levi ha sicuramente fatto i conti con questi problemi ed ha vissuto fuori dalle righe”.

Lisetta Long ha quindi fanno notare che a Busseto vi era stata una bella integrazione degli ebrei, al punto che un rabbino arrivò a concedere il permesso di suonare l’organo di sabato: cosa assolutamente straordinaria.




“Busseto – ha detto Lisetta Long – è stato un centro ebraico estremamente importante. E’ stato un centro di studi: pensate che ben 25 documenti che fanno capo a Busseto si trovano in musei sparsi in tutto il mondo: a Londra, New York, Kyev, Mosca, Gerusalemme. C’è anche una splendida Ketubah (vale a dire un contratto nuziale, visto che per gli ebrei il matrimonio non è un sacramento ma, appunto, un contratto che si stipula tra uomo me donna, con la presenza di testimoni e si può celebrare ovunque) ritrovata a Busseto”.

Parlando del tempio ha precisato che “questo non è una ‘chiesa’ ma è la casa della comunità. L’ambiente maschile e femminile è rigorosamente diviso ed in alcuni templi vi è una sorta di matroneo, cioè un corridoio, nella parte alta. Altri, come quello di Busseto, non essendovi le possibilità, erano costituiti da una stanza separata da bellissime grate in legno intagliato. Personalmente – ha ammesso – ho un rimorso: quello di essere stata la causa indiretta del trasferimento del nostro tempio in Israele. La sinagoga di Busseto, infatti, oggi è a Gerusalemme, in una scuola religiosa, lungo quella che viene definita ‘strada degli amanti di Sion”. Io – ha raccontato – avevo 16 anni e parlando con un’amica mi vantavo del fatto che si aveva questo tempio a Busseto. Questa amica ha fatto venir giù in gran fretta un rabbino, di cui taccio il nome, hanno imballato tutto in fretta e furia mandato tutto in Israele. Era il 1964 e la cosa mi fa ancora piangere. Sono stata là a vederlo ed è tenuto nella polvere: mi chiedo come si faccia a tenere dei legni settecenteschi impolverati. Almeno, però, è usato. Durante la guerra – ha ricordato ancora – è stato affidato al due signore della famiglia Orsi, Caterina e la figlia Elena, che lo hanno preservato dai nazifascisti. Questi si erano presentati e volevano raggiungerlo ma le due signore hanno ceduto la loro casa, trasferendosi nel tempio e lasciando la loro abitazione ai militari. In questo modo la sinagoga si è salvata e direi che quella di Caterina e Elena Orsi è stata un’opera meritoria e straordinaria. Del resto – ha affermato parlando del periodo della Shoah – la mia famiglia può soltanto essere grata a Busseto. Dopo l’8 settembre mia madre è stata avvisata, da Giorgio Vernizzi, sul fatto che io giorno successivo la sarebbero venuti a prendere. Così è scappata, con mia nonna, aiutata dai signori Cannara che le hanno portate a Milano. Inoltre, la mia ‘dada’ ha dato la sua carta d’identità a mia madre che così, per due anni, si è chiamata ‘Annalice Michelazzi’: le due donne tra l’altro si somigliavano. Sicuramente, in comune, qualcuno all’epoca ha falsificato le carte d’identità, a costo della sua stessa vita, per salvarci. In quel periodo si sono salvati anche molti quadri: di 11 totali ne sono tornati 6. La mia famiglia – ha ribadito – ha una grande e profonda riconoscenza verso Busseto, che ci ha aiutati molto. Ricordo che quando mia madre morì era presente tutto il paese, ed una delle lettere più belle me la scrisse don Tarcisio Bolzoni”. Da sottolineare, purtroppo, che 11 parenti dell’ultima esponente della comunità ebraica di Busseto sono morti nei campi di concentramento, tra cui alcuni cugini di Cremona (compresa una bambina che, all’epoca, aveva due anni).




Lisetta Long ha quindi ricordato che l’ultimo Barnizvah (cerimonia che si effettua per il raggiungimento della maggiore età religiosa) nella sinagoga di Busseto è stato quello di suo zio Flaminio, nel 1917. “Busseto – ha poi fatto sapere – non ha mai potuto avere un rabbino stabile perché la comunità non era molto ricca. Questo a differenza di Soragna, dove la comunità era molto più ricca e quindi era presente un rabbino stabile. A Busseto c’è però stato un passaggio di rabbini estremamente importante, specie tra il Seicento ed il Settecento”.
Per quanto riguarda le famiglie, ha ricordato i Levi, i Muggia, i Vigevani, i Monselice ed i Padoa (queste ultime due, però, solo di passaggio). “Una figlia dei Monselice – ha ricordato – si convertì al cattolicesimo e il padre, per il dispiacere, se ne andò. Del resto qui alcune conversioni di cono state, celebrate sempre con grande pompa, con padrini e madrine di alto lignaggio, e col paese e le chiese impavesate a festa”. Ha poi citato altre famiglie ebraiche come i Finzi, i Fano, i Fontanella ed i Foà. Di molte di queste famiglie resta traccia evidente nel cimitero posto appena fuori dal centro storico, lungo la vecchia strada per Bersano. Scomparso invece il vecchio cimitero che si trovava nei “Prati della monta”, ancora più vicino al centro storico.




La sinagoga, come evidenziato, aveva sede in via Del Ferro, ma per un periodo anche di fronte al Monte di Pietà. “Tra i documenti che ci sono ancora qui in Biblioteca a Busseto – ha spiegato – c’è una copia del Vessillo Israelitico, il giornale che aveva diretto il mio bisnonno a Casale Monferrato, dove era Rabbino Capo”.,

C’è poi il capitolo Giuseppe Verdi. Il Cigno, come dichiarato da Lisetta Long “fu sempre un grande amico degli ebrei. Il mio bisnonno lo incontrò una prima volta in treno a Cremona, poi alle Terme del Tettuccio a Montecatini. Parlando col pittore Levi venne anche a conoscenza di un episodio legato ad un canonico cattolico, fanatico ed antisemica, che perseguitava un ebreo. Questi si lamentò col pittore Levi, che lo riferì a Verdi che pare pronunciò queste parole: “che diavolo! In Italia di questa roba?”. Si dice che fu quindi Verdi stesso a parlare col canonico ed a sistemare la cosa. Credo altresì che il maestro Verdi si sia interessato di musica ebraica, ma non ho documentazioni a riguardo”.




Lisetta Long si è infine soffermata su alcune regole che, nella religione ebraica, contraddistinguono cucina ed alimentazione ed ha parlato delle principali feste relgiose. Infine, in attesa di mettere a disposizione ulteriori carte, ha donato al professor Mingardi, a favore della Biblioteca della Fondazione Cariparma, tre storici manifesti, del periodo della prima guerra mondiale, firmati dal nonno Achille Muggia, che di Busseto fu sindaco in quegli anni.


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2 giugno 2013

EMILIA MISTERIOSA AI MURONI DI SANGUINARO



di Paolo Panni

 


Il 29 maggio ricorre uno storico anniversario: quello della sanguionosa Battaglia di Legnano, che nel 1176, vide le forze della Lega Lombarda, sotto la benedizione di Papa Alessandro III, annientare le truppe dell’imperatore Federico Barbarossa. Uno scontro epico, al quale fa riferimento anche l’Inno di Mameli, ed al quale è legato anche uno dei misteri più affascinanti, ed inquietanti, della terra parmense. Quello dei fantasmi dei Muroni. La località è quella di Sanguinaro di Noceto: toponimo, questo, che sembra risalire proprio al tempo del Barbarossa con riferimento alla tragica battaglia in occasione della quale, secondo quanto si tramanda, il sangue dei combattenti era così abbondante da finire nel principale canale del paese facendo girare più volte le pale del mulino. Acque che ancora oggi, quasi mille anni dopo, sono rossastre: fenomeno che, a detta degli esperti, sarebbe tuttavia da attribuire, alla presenza di agenti ferruginosi all’interno dei terreni posti a monte del corso d’acqua.






La battaglia di Legnano si spinse dunque fin qui, in un’area dove un tempo sorgeva un poderoso maniero. Maniero di cui non rimangono che pochissime ed umili tracce; semplici resti di mura posti lungo la strada “dei Muroni” che da Sanguinaro porta a Noceto. Sono detti “muroni” proprio per il loro spessore. Da tempo, secondo la leggenda, l’antico e non più percorribile sotterraneo che collega l’antica e vicina chiesa dei santi Simone e Giuda (fondata tra il 1080 ed il 1095) all’area dell’antico castello, sarebbero infestati da spettri, anime ed entità dei soldati del Barbarossa. E, sempre stando a quanto viene tramandato, in occasione della ricorrenza della Battaglia di Legnano del 29 maggio 1176, si udirebbero ancora i fragori della lotta, il cozzare delle spade e le urla inumane, in una lingua sconosciuta, dello scontro che vive appunto la disfatta dei soldati di Federico Barbarossa, decimati dalle truppe della Lega Lombarda. Da secoli si dice inoltre che, sia residenti che passanti (addirittura dalla vicina via Emilia), specie in concomitanza con la data del 29 maggio, avrebbero visto fantasmi guerrieri, vestiti di cuoio, aggirarsi intorno alla via dei Muroni e nell’area del maniero, dove oggi sorgono campi e alcune abitazioni. Tra l’altro, come già anticipato in un articolo appositamente dedicato a questo mistero, e pubblicato su questo blog, pare che poco prima della battaglia i signori del castello abbiano nascosto il loro inestimabile tesoro in un vano delle fondamenta della chiesa, murandolo insieme ai soldati che lo avevano celato. Di questo tesoro, più volte cercato, non è mai stata trovata traccia. Nel 1890, durante una esplorazione ai sotterranei compiuta da alcuni coraggiosi abitanti del luogo, vennero ritrovati non tesori ma, bensì, scheletri di soldati che indossavano ancora le armature. Emerse anche una galleria che portava ad una cripta, chiusa da una frana. Si dice anche che sul luogo gravi una maledizione, visto che due persone della squadra che aveva partecipato all’esplorazione, morirono nel volgere di poche ore. Alcuni anni più tardi, un altro ricercatore tentò di mettersi sulle tracce del tesoro nascosto. Per lui fu la fine; infatti venne ritrovato morto proprio accanto ai “muroni”. Il suo volto, secondo quanto riportato, era impressionante, con gli occhi sbarrati dal terrore e la bocca contorta. Un fatto certamente inquietante.




Il 29 maggio 2013, in occasione quindi della ricorrenza, Emilia Misteriosa, con soci e collaboratori, si è recata sul posto per una breve indagine e per verificare, quindi, eventuali anomalie. Nell’area dei “muroni” sono state piazzate fotocamere e videocamere; sono state effettuate registrazioni e sono stati posizionati un paio di rilevatori di campi elettromagnetici (comunemente definiti K2). In questa occasione, almeno dal nostro gruppo, non è stato rilevato alcunché e non sono state notate anomalie di sorta.




Trattandosi di un’area aperta abbiamo dovuto fare i conti, inoltre, con numerose fonti di disturbo: il rumore causato dal passaggio dei veicoli, dal continuo cinguettio di uccelli che nidificano in una lunga siepe posta a confine dell’area e diversi altri rumori che, normalmente, si possono udire in un ambiente aperto (teniamo anche conto del fatto che l’area è situata nelle vicinanze della via Emilia). Anche a livello di immagini e di pure sensazioni personali, non sono state segnalate o riscontrate anomalie.

Ci ripromettiamo, in successive occasioni, di tornare sul luogo aggiornando i nostri lettori di eventuali novità.

A coloro che, nel tempo, avessero riscontrato situazioni particolari in quest’area, chiediamo inoltre di inviarci le loro segnalazioni o testimonianze.

Nel frattempo il mistero dei “muroni” continua.

LE FOTO, REALIZZATE DA ALESSANDRO APPIANI E PAOLO PANNI, SONO DI PROPRIETA’ DI EMILIA MISTERIOSA. PER UN LORO UTILIZZO E’ NECESSARIO PRENDERE CONTATTO CON GLI AUTORI.

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