30 marzo 2017

GRAMIGNAZZO , LA SPETTRALE CASA IN RIVA AL TARO. QUANDO DALLA STORIA NASCE LA LEGGENDA


di Paolo Panni




Una pagina tragica quella che vede protagonista la spettrale, umile casa che sorge nella golena del Taro, a Gramignazzo di Sissa Trecasali. Ma anche una vicenda dalle cui pieghe emergono contenuti misteriosi, dal sapore a tratti leggendario, e si fa largo la vicenda umana di un uomo buono, Bruno Pavesi, che, per la sua umiltà, forse non sarebbe mai passato alla storia. Doveva purtroppo bruciare vivo nella sua casa per finire, in qualche modo, tra le righe della storia. Ma, per chi lo ha conosciuto, anche se ormai sono passati più di quarant’anni, restano di esempio la sua straordinaria bontà e la sua fine intelligenza. 

Venendo agli accadimenti, si è appunto di fronte a un fatto di cronaca, realmente accaduto, molto nefasto. 

Chi percorre, a piedi o in bicicletta, l’argine del Taro da Gramignazzo di Sissa Trecasali in direzione Borgonovo non può non imbattersi in una modestissima e antica casa che sorge nella golena del fiume, a due passi da un piccolo agglomerato di altre abitazioni, comunemente “inquadrate” con il nome di “Località Case Vecchie”. Un edificio vetusto che non può non colpire per lo stato di degrado e abbandono in cui versa ma, soprattutto, per il grande ciliegio che si sprigiona letteralmente dalle sue mura. Una casa la cui storia è pressoché ignota anche se, per le fattezze, può sembrare soprattutto una torre d’avvistamento, edificata probabilmente sulle rive del Taro per controllare, in secoli passati, l’eventuale avvicinamento di truppe nemiche e difendere le popolazioni locali: ma queste non sono che pure supposizioni. 

In quell’umile dimora ha vissuto, per molti anni, Bruno Pavesi, originario della vicina Borgonovo . Si accontentava di vivere in quella piccola e disadorna abitazione perché era un uomo riservato che, a differenza di molti, badava più alle cose interiori che a quelle esteriori. Un povero tra i poveri, che non ha mai cercato né la notorietà né interessi particolari, amando profondamente la sua terra e la sua gente. Come ricordano i più anziani e anche qualche cronaca dell’epoca, si trattava di una persona dotata di profonda umanità e intelligenza, che ha trascorso una vita ricca di stenti, tribolazioni e difficoltà. Ma che, nonostante la sua umile condizione, cercava puntualmente di aiutare il prossimo, con un occhio di riguardo particolare per i più bisognosi, povero tra i poveri appunto, prodigandosi per loro, donando quello che poteva, compresa la legna che tenacemente e con grande sudore raccoglieva lungo il Taro, senza mai chiedere nulla di nulla in cambio. Aveva, come appunto, narrano i più anziani e le poche cronache di allora, un carattere sicuramente particolare, originale, riservato. Era normale vederlo in giro per le strade di campagna a piedi regolarmente nudi e col berretto girato su un lato. Un uomo sanguigno, cresciuto nella Bassa e con la Bassa nel sangue, capace di battute sagaci e pungenti, simpatiche e puntuali, ma anche di lunghe e appassionate arringhe così come di lunghi e imperscrutabili silenzi. 

A quelle umili mura dell’abitazione in riva al Taro era chiaramente affezionato e in quegli spazi ha purtroppo trovato la morte, sopraggiunta nel primo pomeriggio di domenica 5 gennaio 1975. Quel giorno, per cause tuttora non chiarite, ma senz’altro accidentali, ha cercato di riscaldarsi bruciando, pare, un vecchio trave. Ma purtroppo non è riuscito a domare il focolare e ben presto le fiamme si sono impadronite nella piccola casa. Alle 14.10 i Vigili del fuoco di Parma, dopo aver rimosso le macerie, ritrovarono anche i suoi poveri resti mortali. Era la fine materiale di un uomo nato, morto e vissuto da povero, ma da ricco dentro, rimasto vivo nel cuore dei suoi concittadini. 

Naturalmente nessuno è mai più tornato a vivere tra quelle vetuste mura e l’umile dimora, scoperchiata, non è mai stata sistemata o restaurata. Al suo interno è però cresciuto un grande ciliegio, che sembra letteralmente sprigionarsi dai ruderi, spesso meta, specie nella stagione primaverile, di fotografi che non vogliono perdersi quello che col tempo è divenuto un vero e proprio spettacolo. Tra l’altro è qui che emerge la leggenda; infatti agli abitanti della zona piace pensare che quel grande albero da frutto sia ciò che rimane dello spirito di quell’originale personaggio che è stato Bruno Pavesi.

Ma non è finita, perché c’è anche chi dice di aver più volte udito provenire, da quelle poche mura, rumori e lamenti, strani suoni, ombre aggirarsi tra i campi e il fiume Taro. Realtà o fantasia? La domanda, chiaramente, è sempre quella. Ma il fatto che diversi testimoni parlino di accadimenti anomali intorno a quel luogo e di strane sensazioni, rende il tutto meritevole d’interesse. 

Da evidenziare, tra l’altro, che la vecchia casa nella golena del Taro è stata, da qualche tempo, inserita in un circuito di promozione turistica e culturale territoriale, adatto soprattutto a coloro che amano il cosiddetto turismo lento sostenibile (spostandosi cioè a piedi o in bici), promosso dalla Consorteria Dimore Storiche Minori a cura dello storico Luca Grandinetti, a cui tutti possono accedere digitando dimorestoricheminori.eu. Un’iniziativa che valorizza un luogo rimasto a lungo dimenticato, riporta alla memoria la vicenda umana di una persona buona ed evidenzia un luogo in cui, ancora una volta, il mix tra storia, leggenda e mistero lo rende ancora più suggestivo.


FONTI SITOGRAFICHE


SI RINGRAZIA LO STORICO LUCA GRANDINETTI PER LA PREZIOSA COLLABORAZIONE 

LE FOTO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE E DELL’ASSOCIAZIONE EMILIA MISTERIOSA. PER UN LORO UTILIZZO E’ NECESSARIO METTERSI IN CONTATTO CON L’ASSOCIAZIONE.

14 marzo 2017

I SEGRETI DELL’ORATORIO


di Giovanna Bragadini



Borgo delle Colonne è, da secoli, la via di Parma che vanta la più lunga estensione di portici, costruiti in quella zona forse per la presenza di un antico ospitale, luogo di ricovero per malati e pellegrini. Quasi a metà del borgo le colonne si aprono brevemente per dare respiro alla facciata di una chiesetta, probabile riadattamento dell’ospitale, l’Oratorio della Beata Vergine della Pace. 

Poco resta dei suoi antichi fasti: dal 1669 – anno in cui fu posta la prima pietra, sconsacrato nel 1914, le alterne fortune lo hanno trasformato da punto di riferimento spirituale del quartiere a officina meccanica; ma una nuova vita lo attende come spazio culturale.

L’importanza dell’oratorio, sede della Confraternita del Santissimo Sacramento, era legata anche alla presenza di due dipinti miracolosi, la Madonna della Pace e la Madonna del Popolo, venerati dai cittadini e coinvolti nelle principali manifestazioni religiose organizzate dai confratelli. Il primo dipinto si trovava nell’abside ellittica dietro l’altare principale; una nicchia sottostante conteneva diverse reliquie (fra le quali un frammento della croce, un ritaglio del tabarro di San Giuseppe e uno del velo della Madonna). Lo si può ancora vedere a Marzolara, nel santuario della Beata Vergine della Pace. La Madonna del Popolo era situata nella prima cappella a sinistra, dove ancora appare la scritta “salus populi mei”.

Immaginiamo di entrare nell’oratorio nei suoi momenti di massimo splendore: ricoperto di stoffe, di ex voto (coroncine di paglia, borsette, una canna rotta di pistola…), quadri nelle nicchie di fianco all’ingresso e altrove, una balaustra in legno davanti all’altare, un crocefisso e un busto di Ecce Homo nella prima cappella a destra, rosoni decorativi per i lampadari, un Bambin Gesù in cera, la Via Crucis, i legati. A destra e a sinistra, prima dell’altare centrale, esistevano due cantorie in legno; in quella di sinistra era collocato un organo – resta visibile un affresco che lo riproduce – mentre quella di destra era su più piani, sull’ultimo trovavano posto i cantori, e inoltre ospitava la tribuna dei Lalatta, che permetteva l’accesso diretto del marchese dal suo palazzo fin dentro la chiesa. Una torre campanaria è diventata un’altana, conteneva una campana con il nome del fondatore, mentre un vicoletto che separava la chiesa dalla casa adiacente è stato inglobato nell’oratorio.

Come già accennato, l’oratorio di Borgo delle Colonne era sede della Confraternita del Santissimo Sacramento, fondata nel 1444; i confratelli erano obbligati a indossare una cappa simile a quella dei frati, di colore fra il turchino e l’azzurro. La sagrestia si trovava al piano terra; salendo al piano superiore si raggiunge la sala dove la confraternita si riuniva per le decisioni più importanti. Fra le varie attività c’era la “ vestizione della zitella”: durante la festa della Beata Vergine si estraeva a sorte il nome di una zitella, poi abbigliata con un abito appositamente confezionato, probabilmente turchino come le divise dei confratelli; la donna si presentava quindi a pregare davanti alla Madonna, in una sorta di benedizione.



Ma vediamo i “segreti” più curiosi.

Nell’Ottocento si rese necessario rifare la pavimentazione della chiesa: le mattonelle in cotto erano intrise di umidità e occorreva sostituirle. Durante i lavori di restauro furono ritrovate in prossimità dell’altare diverse sepolture, quattro tombe collocate agli angoli dell’altare più un vano sotterraneo: si trattava di confratelli. Secondo uno storico di fine ‘800 fra i morti figurerebbe il Poncini, autore di un trattato musicale utilizzato durante la festa della Beata Vergine, e Suor Lucia Doralice Ferrari, trasportata da Reggio (dove aveva fondato il convento delle Cappuccine, poi soppresso nel periodo napoleonico) a Parma e riseppellita nell’oratorio nel 1810. Per rispetto i resti furono lasciati in loco: raccolti in uno stesso vano sotto l’altare, le ossa poste a fare da base ai corpi meglio conservati, ancora contenuti nelle proprie casse; il tutto infine ricoperto con terra e calcinacci. La sepoltura rivide la luce durante i lavori di trasformazione della chiesa in officina, senza subire spostamenti, e i confratelli vegliano ancora sul loro oratorio, nascosti da uno strato di cemento.

Più misterioso è l’ovale sul muro di una casa vicina all’oratorio, visibile dal cavedio: si tratta di un quadro, sul quale fino a vent’anni fa si distingueva il volto di una donna. Non è dato sapere cosa sia né perché si trovi lì.

L’ex oratorio della Beata Vergine della Pace si chiama oggi BDC28, e in occasione della festa di apertura sarà presentato un prezioso libro sulla storia dell’edificio, frutto di ricerche condotte dallo storico Giacomo Galli su documenti, materiali edili e interviste agli abitanti di Borgo delle Colonne in occasione delle ultime campagne di restauro.


Per informazioni e approfondimenti:


2 marzo 2017

UNA GRAZIA DI SAN PIO DA PIETRELCINA DIETRO LA GUARIGIONE DI UNA DONNA PIACENTINA?


di Paolo Panni




La domanda è una di quelle capaci di sollevare, fin da subito, emozioni e dubbi, speranze e continui interrogativi. Alla ricerca di una risposta sempre difficile da dare. Che Emilia Misteriosa, secondo lo stile che da sempre la caratterizza, non intende dare, limitandosi a descrivere i fatti e, in questo caso, riportando la testimonianza diretta di una delle persone coinvolte. La domanda in questione è: dietro alla guarigione da tumore di una donna della Bassa Piacentina si cela un prodigio operato da San Pio da Pietrelcina?

Quando si affrontano e narrano casi particolari come quello che si va a descrivere, fondamentale viene chiaramente ritenuta la testimonianza delle persone direttamente coinvolte. Come nel caso di Carmen, che la nostra associazione ringrazia per la disponibilità e la sensibilità dimostrata. Persona, va aggiunto, di grande serietà e affidabilità. 

Il caso è uno di quelli che, pur col trascorrere degli anni, rimane indelebilmente scolpito nel cuore e nel ricordo, capace di sollevare emozioni anche ad anni di distanza. 

Venendo ai fatti, bisogna tornare ai primi mesi del 2001. A Luisa, una pensionata di San Pietro in Cerro viene diagnosticata una grave forma tumorale allo stomaco. Un tumore maligno, con poche speranze di vita. I familiari della donna, tra loro la figlia Carmen, a quel punto si attaccano a tutto, prendono contatto con medici e ospedali, nella speranza, seppur flebile, di trovare una soluzione. Alla fine si opta per il ricovero nell’ospedale di Cortemaggiore, il nosocomio in cui il tumore era stato riscontrato. Esami e controlli naturalmente abbondano e le speranze restano invariate: pochissime. L’unica via di scampo, per i sanitari, è quella di tentare l’intervento chirurgico, che viene fissato per il primo marzo. 

“La sera precedente – racconta Carmen – mentre ero nella mia stanza, a casa, completamente disperata, decido di pregare. Era chiaramente un momento molto delicato e non sapevo a chi o a cosa attaccarmi e così ho pensato a Padre Pio, di cui conservavo una immaginetta sul comodino. Mi sono affidata a Lui, pregando intensamente, per alcuni minuti. Ero soprattutto terrorizzata dal fatto che mia madre potesse soffrire”. 

Ad un tratto, stando appunto al racconto di Carmen, accade qualcosa di clamoroso. “All’interno della stanza – ricorda – mi appare una figura simile a quella di un animale. Era un mostro bruttissimo che mi fissava con occhi colmi di cattiveria, di colore rosso. Io ne ero terrorizzata ma ho sentito qualcosa che mi faceva capire che, pur nel terrore, non dovevo abbassare lo sguardo ma, anzi dovevo fissarlo a mia volta. Non ho mai staccato gli occhi dai suoi e dopo qualche minuto si è afflosciato, fino a sparire completamente dirigendosi verso l’alto, sprigionando del fumo bianco”. 

Dopo quella visione Carmen cade in un sonno profondo e il mattino seguente di buon ora si precipita verso l’ospedale, totalmente priva di forze. “Avevo una stanchezza addosso mai provata prima – racconta – ma dovevo a tutti i costi andare visto che era il giorno dell’intervento. Una volta giunta all’ospedale ed entrata nella stanza di mia madre guardo verso di lei e sul comodino noto un vasetto di viole, di quelle non profumate e con le foglie grasse. A poca distanza delle riviste e una immaginetta di Padre Pio, che mia madre aveva ritagliato proprio da uno di quei giornali. E’ in quel momento che mi racconta di aver notato, la sera precedente, un fatto molto strano. Infatti mentre si trovava a letto aveva sentito distintamente un chiaro profumo di fiori che non trovava alcuna spiegazione visto che di fiori profumati non ce n’erano e il solo odore che entrava in quella stanza era quello del caffè che le infermiere si preparavano durante la notte”. Da dove giungeva, dunque, quel particolare ed evidente profumo? A questo riguardo va detto che spesso e volentieri, in caso di manifestazioni da parte dei santi, si avvertono profumi e odori particolari di fiori. Si tratta di un fenomeno definito osmogesi, un carisma posseduto da alcuni Santi che in determinate circostanze consente loro di far percepire a distanza o a chi si trova loro vicino, profumi particolari. Tali profumi vengono definiti odori di santità. Padre Pio era in possesso di questo carisma e tali fenomeni erano così frequenti per lui, che la gente comune era abituata a definirli come i Profumi di Padre Pio. Spesso il profumo emanava dalla sua persona, dagli oggetti che toccava, dai suoi indumenti. Altre volte il profumo era percepibile nei luoghi in cui passava. Ecco dunque che quanto accaduto a Cortemaggiore può essere considerato particolare e inusuale. 

Proseguendo nel racconto, Carmen spiega quindi che dopo aver dato un bacio a sua madre, prima che questa entrasse in sala operatoria, la sua sola richiesta è stata “Signore se deve soffrire, fai che rimanga là”. L’intervento, durato alcune ore, riesce perfettamente al punto che Luisa, pochi giorni dopo, viene dimessa: con tre quarti di stomaco in meno, ma in forma. E’ dal successivo controllo però che esce la grande sorpresa: infatti, come riferito dai medici, quello che doveva essere un tumore molto pericoloso e aggressivo, era invece molto circoscritto; non c’erano cellule né metastasi in giro e non si ravvisava la necessità di alcun ciclo chemioterapico. Anche i successivi esami hanno confermato tutto questo. 

Luisa, non appena saputa la buona notizia, il giorno del primo controllo, tra l’altro, come ricordato sempre dalla figlia, presa dall’emozione non ha potuto fare altro che abbracciare in lacrime il chirurgo che l’aveva operata. Ma la risposta del professionista è stata “Non deve ringraziare me. Vada in chiesa e accenda un bel cero”. Parole che lasciano intendere chiaramente la stessa sorpresa del professionista, ad oggi del tutto ignaro delle preghiere di Carmen.

Da evidenziare, tra l’altro, che quello eseguito nei confronti di Luisa è stato l’ultimo intervento chirurgico della storia dell’ospedale di Cortemaggiore, finito come tanti altri ospedali di provincia nella scure di una sanità italiana sempre più lontana dalle reali esigenze dei cittadini, capace di ragionare solo sulla base di meri (e discutibili) calcoli economici, di visioni politiche quantomeno miopi, senza valorizzare quelle eccellenze che, per tanti anni, hanno dimostrato di essere strutture com’era, appunto, l’ospedale piacentino. 

Tornando agli accadimenti, Luisa non ha mai fatto un solo giorno di chemioterapia e, convinta lei stessa di essere stata miracolata, in occasione della Pasqua di quello stesso anno, in segno di gratitudine decise di addobbare, a sue spese, la chiesa di San Pietro in Cerro con ortensie azzurre: i suoi fiori preferiti. Tra l’altro, per lei, quello di marzo è un mese particolare. Infatti, pochi anni prima, il 7 marzo 1994, ha improvvisamente perso uno dei figli. Il 2 marzo è invece nato il marito, deceduto ormai da diversi anni. Comprensibile quindi immaginare il suo stato d’animo quando si apre il mese che conduce alla primavera. Ma, dopo la guarigione avuta, le piace pensare che anche il figlio, insieme al marito (scomparso anche lui diversi anni prima), dal Cielo, le abbia dato un grande sostegno. La donna, va aggiunto, solo parecchi mesi dopo è venuta a sapere, dalla figlia, gli accadimenti di quella notte e le particolari coincidenze avvenute. “La sua risposta – ricorda Carmen – è stata ‘Mi hai salvata’. Da allora – aggiunge – non ha mai più avuto alcuna conseguenza data da quel male e io personalmente, nel mio animo, sono convinta del fatto che qualcosa di straordinario sia accaduto e posso solo dire Grazie al Signore, e Grazie a Padre Pio”. 

Il celeberrimo cappuccino stigmatizzato, come noto, è stato al centro di un numero molto elevato di fatti miracolosi. E’ possibile supporre che parecchi siano ancora celati nell’intimo di persone che ne hanno beneficiato. 

Carmen, che di nuovo Emilia Misteriosa ringrazia per la disponibilità, ha deciso di rivelarli non per la volontà di apparire né tantomeno per qualche smania di protagonismo. Lo ha fatto perché è giusto, come lei stessa evidenzia, che la gente sappia e non perda mai la speranza, perché si conosca, una volta di più, la forza e l’importanza della preghiera intensa e convinta.

Se, aggiungiamo noi, non è facile stabilire se gli accadimenti siano stati realmente prodigiosi o meno, è altrettanto vero che la vicenda ha risvolti e contenuti singolari e misteriosi, meritevoli di attenzione.