31 marzo 2013

I MISTERI DI DANTE ALIGHIERI


di Simona Gonzi



Ancora oggi ci sono cose che non sappiamo sulla vita di Dante. Dove nascose il manoscritto originale della Divina Commedia? Conteneva un codice segreto esoterico? E qual era il vero volto del poeta, che non firmava mai le sue opere e di cui non conosciamo la scrittura?




Nel bel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, chè la dritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura.



Sono le parole di apertura della Divina Commedia, l’inizio del viaggio di Dante attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Qualcuno afferma che i luoghi di cui il Sommo Poeta narra siano solo simbolici, ma ci sono dei precisi riferimenti sul territorio italiano. Dante Alighieri visse l’ultima parte della sua vita da esiliato, spostandosi da una città all’altra: Verona, Treviso, Forlì e forse Parigi. Non abbandonò mai l’idea di tornare a Firenze, ma dovette morire da straniero in terra straniera e insieme a lui furono sepolti i suoi segreti. Due in particolare: che fine ha fatto il manoscritto originale? E quale potrebbe essere il significato esoterico del poema? Il territorio parmense della via Francigena sembra essere una risposta al primo mistero. Tra codici miniati e antichi manoscritti, in archivi polverosi di antiche pievi e castelli potrebbero nascondersi gli originali mai trovati delle tre cantiche della Commedia dantesca. L’intuizione è di don Amos Aimi, archivista della Curia di Fidenza, in provincia di Parma:






Nel 1964 ero parroco a Contignaco, piccola frazione di Salsomaggiore Terme, e i vecchi del paese e la gente semplice del posto iniziarono a raccontarmi che nel castello aveva soggiornato Dante Alighieri in visita ai parenti. Ero molto giovane all’epoca e l’idea, subito mi fece sorridere.







Inizia cosi il viaggio di don Amos alla ricerca delle tracce del Sommo Poeta nelle terre verdiane. Gli anziani del luogo intanto indicavano al parroco anche un punto: il bosco davanti all’ingresso del castello, un tempo molto più irto e selvaggio, lasciandogli intendere che quello potesse essere la selva oscura. Don Amos a quel punto iniziò a convincersi e a cercare tra carte e documenti. Quella che sembrava essere solo una leggenda cominciò ad avere dei contorni storici. A Contignaco, infatti, vissero realmente i nobili e potenti Aldighieri, parenti del sommo poeta, che vendevano il sale al Comune di Borgo San Donnino, l’attuale Fidenza. Ma fu solo il primo indizio in una serie di riscontri che fanno pensare a Dante nel territorio emiliano. Nel 1315 venne combattuta una grande battaglia a Contignaco, vinta dagli Aldighieri contemporanei a Dante, che per un certo periodo si sarebbe dunque fermato qui. Un altro indizio Don Amos lo trova a Napoli:






In un viaggio di studio mi sono imbattuto nel codice miniato del 1411 a firma di tal Giovanni Dè Gambi, chierico nativo di Borgo San Donnino e quel codice una delle sette migliori versioni della Commedia tra le seicento esistenti.Io sono convinto che chi lo ha scritto possa aver avuto tra le mani l’originale della Commedia.





E poi un cardinale del Vaticano, Monsignor Fallani, presidente della Pontificia Commissione d’arte sacra, in visita a Fidenza su invito del vescovo di allora, Monsignor Zanchin. Fu lui a esortare Don Amos a cercare gli originali di Dante in Emilia: Dovete cercare qui nelle vostre terre. Dunque, addirittura una conferma di un alto prelato all’ipotesi di don Amos. Conferma che arriva anche dal mondo accademico. Che Dante fosse passato proprio da Borgo San Donnino lo sosteneva un importante studioso, il professor Mario Pietralunga, docente all’Università della California e fidentino di origine. C’è un ultimo elemento che don Aimi porta a sostegno della sua tesi: un versetto tratto proprio dalla Commedia:



Tu proverai si come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e’l salir per l’altrui scale.



Il sale: proprio la caratteristica di questo territorio, dove non a caso si trova anche Salsomaggiore, le cui prime saline vennero create dai romani. In quel verso tutta l’amarezza di Dante per il suo esilio, il peregrinare di un uomo che portava sempre con sé i suoi manoscritti senza mai firmarli. Perché? Anche questo è un mistero, come la sua scrittura autografa, che ancora non conosciamo. Ma se don Amos ha ragione, dove potrebbe essere nascosto di preciso il manoscritto? Forse proprio Contignaco? Sul retro del castello, dove un tempo si trovava l’ingresso principale, c’è ancora la ripida salita che nel medioevo era ricoperta da un’intricata vegetazione, proprio la selva oscura tramandata dai racconti degli anziani del paese. Gli attuali proprietari del castello non hanno mai compiuto ricerche approfondite: per quelle bisognerà attendere quando -e se- il luogo verrà ristrutturato. L’imponente e antica torre dell’antico maniero è forse il luogo più adatto a celare segreti. Sempre che… sempre che, come alcuni vecchi del posto testimoniarono a don Amos, fra le vecchie pergamene trovate nel castello e poi bruciate non ci fosse anche l’originale della Commedia. In quel caso, una delle più grandi opere letterarie dell’umanità, sarebbe finita letteralmente in cenere e non conosceremo mai eventuali annotazioni che il sommo poeta vi aveva apposto di suo pugno. Chissà, forse anche la chiave per interpretare un codice medioevale che nasconderebbe la dottrina segreta dei Fedeli d’amore. Costoro erano una Confraternita medioevale fiorentina che compiva studi di esoterismo -la trama nascosta della realtà- e metteva in relazione amore sacro e amore carnale, simboleggiato da un nome immortale quanto quello del poeta: Beatrice, la donna che Dante amò per tutta la vita ma che a causa dell’esilio non poté mai rivedere. O forse il codice più che esoterico era politico, come ipotizzato in un suo libro dal professor Francesco Fioretti, che ha indicato precise simbologie legate al Papa e all'imperatore in un suo libro di grande successo (Il libro segreto di Dante). Proprio la politica, lo scontro tra Guelfi -sostenitori del papato, come la famiglia Alighieri- e Ghibellini -sostenitori dell'imperatore- era del resto costata a Dante il doloroso esilio.



BOX


Simona Gonzi, laureata in filosofia e appassionata di cultura popolare, vive nelle vicinanze di Fidenza, l'antica Borgo San Donnino. Scrive per la Gazzetta di Parma, quotidiano che per primo riportò l'ipotesi della presenza di Dante a Fidenza.


Copyright Five Store – RTI Spa 2013.

L’articolo, dell’amica Simona Gonzi, è stato pubblicato sul primo numero della rivista “Mistero”. Protetto da Copyright (come evidenziato) viene pubblicato su questo blog per gentile concessione della redazione di “Mistero”, e degli amici Simona Gonzi ed Ade Capone.


Le foto della Cattedrale di Fidenza e del castello di San Giovanni in Contignaco sono di Paolo Panni. L’uso, solo di queste immagini, è libero.
La foto di don Amos Aimi è tratta da un fotogramma della trasmissione “Mistero”.
Le immagini di Dante Alighieri sono tratte dai siti parlital.it e esteri.it. Si prega di segnalare eventuali copyright delle immagini per una loro rimozione.


28 marzo 2013

LE FONTI MIRACOLOSE DI ARDOLA DI ZIBELLO


di Paolo Panni

 





Il settecentesco Santuario di San Rocco in Ardola di Zibello svetta nella campagna parmense con la sua facciata slanciata e con la storia, decisamente affascinante, che lo riguarda.
Il sacro edificio, pur con evidenti problemi strutturali, in buona parte risolti grazie all’iniziativa del locale Comitato San Rocco, rimane a testimoniare gli eventi prodigiosi accaduti nell’anno 1746 in occasione di una terribile epidemia di peste.








Il 15 luglio di quell’anno, mentre numerosi fedeli si trovavano davanti al vecchio oratorio di San Rocco (che sorgeva laddove oggi si trova il Santuario) per implorare il Santo ed impetrare benedizioni celesti affinché avesse finalmente termine la calamità, improvvisamente, davanti allo sguardo stupito dei presenti, in un piccolo fosso che correva, come corre ancora oggi, poco distante, in fregio alla strada comunale, scaturirono due sorgenti d’acqua, sul principio di colore “rossetto” per assumere poi una colorazione più naturale, come si legge nel prezioso diario lasciato dal parroco don Bartolomeo Zerbini.
L’evento in sé venne ritenuto subito come innaturale e straordinario, attesa l’aridità del suolo, la stagione estiva e la persistente siccità che si stava manifestando lì come altrove. La popolazione, conscia del fatto che si stava verificando un fenomeno soprannaturale, iniziò ad abbeverare gli animali colpiti da pestilenza, i quali immediatamente guarivano in maniera prodigiosa. Diffusasi ben presto la voce del fatto miracolosa, i fedeli d’ogni parte accorrevano numerosi per pregare, elargire elemosine e celebrare feste in onore del Santo protettore. Giungevano pellegrini anche dalla vicina Lombardia, e dalla provincia di Cremona in particolare, dimostrandosi particolarmente devoti alla popolarissima figura di San Rocco che si venerava in Ardola.




In appena pochi giorni venne raccolto tanto denaro da consentire l’edificazione di un nuovo e più ampio oratorio del quale, il giorno 24 settembre di quello stesso anno, si posero le prime pietre della fondamenta. Nel settembre di tre anni più tardi, il sacro edificio era già terminato ed il giorno otto del susseguente mese di ottobre veniva solennemente benedetto da Monsignor Missini, vescovo di Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza). Ancora nelle sue memorie don Zerbini scrive: L’Oratorio è quello che ora si ammira per la sua elegante costruzione d’ordine Corinto, lavoro senza dubbio di abilissimo architetto di cui non si conosce il nome.
Della comparsa delle sorgenti di acqua prodigiosa e degli effetti miracolosi per gli animali e per gli uomini, Monsignor Adeodato Volpi, Arciprete e Canonico della vicina parrocchia di PieveOttoville, nella sua qualità di Vicario Foraneo, venne incaricato dal vescovo Monsignor Missini di redigere una relazione. Nella stessa, redatta a stampa e tuttora conservata nell’Archivio Parrocchiale di Zibello, il sacerdote, non solo conferma gli eventi così come si sono manifestati, ma dà puntualmente conto delle guarigioni riportando nome e cognome, oltre l’infermità della quale erano colpite, delle persone delle quali riferisce. Monsignor Volpi conclude il suo resoconto riconoscendo la veridicità dei miracoli operati da Dio per intercessione di San Rocco. Va anche sottolineato che, in seguito agli eventi prodigiosi, la statua di San Rocco, che già si venerava nel vecchio oratorio, fu fatta oggetto di nuovi segni di gratitudine. I pronipoti di quel Matteo Boselli che la donò, la fecero impreziosire con ornamenti in argento e posero sulla sua base una targa, pure in argento, con una iscrizione che ne riassume la storia e le intenzioni. La statua, per ragioni di sicurezza, da alcuni anni è conservata nella parrocchiale di Zibello.
La costruzione della nuova chiesa, inoltre, non impedì di conservare le due fonti prodigiose ivi scoperte. Già all’indomani della comparsa delle due polle si era provveduto a trattenere l’acqua in due tini per evitare che si disperdesse nel terreno circostante. In seguito furono costruiti i due pozzi in muratura, tuttora esistenti. Per lungo tempo, almeno fino a metà Ottocento, la gente continuò ad attingervi acqua, specie in occasione di epidemie del bestiame ma anche di malattie sulle persone. Nel 1858, don Bartolomeo Zerbini fece controllare i pozzi, sia nella loro parte interna che in quella esterna e destò meraviglia il fatto che le pareti interne risultavano ricoperte da un nerume, una sorta di fuliggine di cui non si sapeva spiegare l’origine. Don Zerbini aggiungeva anche che l’acqua prelevata sul fondo aveva un odore “come d’ova fracide, odore simile a quella di Tabiano”. Il sacerdote iniziò quindi a pensare che tale acqua potesse contenere qualche elemento minerale o salubre, da cui far derivare le guarigioni avvenute un secolo prima. Fece anche analizzare un campione d’acqua a persone esperte in chimica e, a riguardo, scriveva “mi hanno assicurato che non può dubitarsi che contenga del solfo. Ho fatto purgare i pozzi, e ciò non ostante l’acqua conserva il medesimo odore. Se tale era quest’acqua quando scaturì nel 1746, le guarigioni che le si attribuirono, senza cessare d’esser vere grazie concesse ai devoti per l’intercessione di San Rocco, non sarebbero però miracoli nel senso rigoroso di questa parola”. Queste le conclusioni, obiettive e serene, cui giunse don Zerbini in ordine agli eventi del 1746. Come dire: se l’acqua possedeva principi curativi in grado di debellare la malattia non si può certo gridare al miracolo. Tuttavia, molte delle coincidenze che si verificarono in quel fatidico 15 luglio 1746, hanno ancora oggi dell’inspiegabile. La stagione estiva e siccitosa, la comparsa improvvisa in superficie di acqua nel luogo e nel momento in cui più fervente saliva la preghiera al Santo protettore per il perdurare di una epidemia che stava annientando il bestiame, l’affiorare di acqua che in seguito si sarebbe presentata di natura solforosa e quindi probabilmente munita di proprietà terapeutiche, del tutto anomale rispetto alle falde acquifere della zona, sono circostanze che risulta difficile attribuire soltanto al caso. Nel gennaio 2006, fra l’altro, uno dei due pozzi fu di nuovo oggetto di una ulteriore ispezione e, nuovamente, chi eseguì il lavoro fu sorpreso dall’odore acre, di uova marce, che improvvisamente si sprigionò. E le successive analisi dell’acqua della prima falda freatica, eseguite da un laboratorio chimico di Fidenza, non evidenziarono la presenza di alcun elemento chimico particolare, se non una certa ferruginosità: caratteristica che contraddistingue un po’ tutte le falde della zona.






Da evidenziare infine che, dopo un lungo periodo di declino, il Santuario, che anche al suo interno presenta numerosi “richiami” alle pestilenze, sta andando incontro ad una lenta ma significativa opera di valorizzazione e di restauro ed ancora oggi sono numerose le persone che si recano alle sue fonti per ottenere grazie.
E dei fatti accaduti non ci si è mai dimenticati perchè, pur nei periodi di declino e abbandono, la gente ha sempre tramandato la memoria di quanto accaduto indicando sempre come i due pozzi davanti alla chiesa, celino qualcosa di straordinario.








Ricerche archivistiche compiute da Gaetano Mistura, Paolo Panni e Sergio Panni per la stesura del libro “Ardola, un borgo, la sua chiesa”offerto nel 2009 da Costruzioni Coruzzi e Banca di Piacenza.


Le foto sono di proprietà dell’autore. Per un loro utilizzo è sufficiente citarne la fonte.


Danilo Arona, L’ombra del dio alato - Marco Tropea Editore


di Giovanna Bragadini




Non si può certo dire che Pazuzu, demone alato temuto e venerato dal popolo dell’antica Mesopotamia, sia una gran bellezza: più grande di un toro, ha testa tozza e deforme, occhi sporgenti, quattro ali talvolta d’aquila talvolta di pipistrello, corpo al tempo stesso umano e rettiloide ricoperto di piume e di scaglie, artigli taglienti a mani e piedi, coda di scorpione, pene dalla testa di serpente e testicoli decomposti. Con un aspetto del genere non può essere nemmeno tanto simpatico: personificazione del vento di sudovest, è il “signore dei demoni del vento malefico” portatore di tempesta, febbre, freddo, malattie, espressione simbolica di una visione del mondo dolorosamente incoerente, rigurgitante di divinità ostili da placare e tenere a bada. Personaggio che nessuno si augura d’incontrare, Pazuzu è il filo conduttore dell’indagine presentata da Danilo Arona (giornalista, saggista e scrittore) in un libro dalla bizzarra copertina, L’ombra del dio alato, edito da Tropea. Non fatevi sviare dal sottotitolo, “Fantastico e reale nei miti assirobabilonesi”: L’ombra del dio alato segue le tracce del demone toccando temi inerenti le discipline scientifiche non convenzionali, vedi archeologia dei misteri, clipeologia (la ricerca di manifestazioni di presenze extraterrestri nel passato), esobiologia (lo studio su presunte forme di vita aliena), criptozoologia (animali inesistenti o sopravvissuti), e poi archeoastronomia, ufologia, esoterismo, storia segreta, universi paralleli. L’ipotesi che emerge è decisamente particolare: l’Homo Sapiens, insieme ad altri esseri angelici e demoniaci, sarebbe frutto di manipolazioni genetiche operate da una razza extraterrestre atterrata sul nostro pianeta milioni di anni fa e di cui esistono testimonianze archeologiche soprattutto in Mesopotamia (l’odierno Iraq: come non collegare la furia bellica alla violenza distruttrice di un antico demone che “dal cielo si abbatte sulle case” spazzando via uomini e cose?). Pazuzu è forse Satana in persona, non soltanto illusione mitologica ma presenza reale testimoniata da avvenimenti che dimostrano l’esistenza di un luogo invisibile e da noi non raggiungibile, una dimensione parallela dalla quale il demone e gli altri ibridi creati dai progenitori alieni possono interagire con il nostro mondo attraverso feticci e amuleti, o tramite episodi di apparente possessione diabolica. Nell’articolato discorso rientrano anche lo scrittore Lovecraft e il film L’esorcista,colossale e involontario atto di magia nera nato da una serie di sincronicità junghiane. Come conclude Arona, “all’ombra del dio alato si può volare a trecentosessanta gradi, in un viaggio interdisciplinare che non risparmia le scienze esatte e, meno che mai, quelle “inesatte”. Però è un fatto che solo queste ultime riescano in qualche modo a guidarci sulla strada che porta all’indeterminatezza del reale e alla collisione sottile con altri mondi, ipotesi sulla quale più di un filosofo contemporaneo ha da tempo argomentato”. Ad ogni lettore è lasciata la propria personale conclusione, con un’ultima, inquietante considerazione su Pazuzu: “la sua forza è che nessuno può credere alla sua esistenza”. Se siete suggestionabili rischierete di dormire con la luce accesa…

26 marzo 2013

Messaggi dal mondo dello spirito: incontro con Renato Coppe e libro

 
di Giovanna Bragadini
 

 



Spiritualità e spiritismo: nella ricerca di risposte alle grandi domande esistenziali, qualcuno cerca di comunicare con chi dovrebbe saperne più di noi. Ma attenzione a non turbare la Vita Celeste con evocazioni a sproposito, perché sono le Entità stesse a stabilire quando e con chi mettersi in contatto – sui rischi più o meno possibili c’è una vasta casistica di film horror. Fra i prescelti c’è la medium bolognese Marzia Manuelli, che ha come spirito guida un nonno amatissimo, Amek, al quale era legata durante una vita precedente nell’Antico Egitto. Il gruppo formatosi intorno a Marzia si chiamava «A7» e dalle registrazioni delle sedute sono nati quattro libri; il primo, uscito trent’anni fa e appena pubblicato da Armenia in edizione totalmente rinnovata, s’intitola «Messaggi dal mondo dello Spirito» (pp 269, euro 15,50). Il curatore di questo e degli altri volumi è Renato Coppe. Nato in provincia di Treviso, arriva a Parma da Milano negli anni Settanta come responsabile marketing della Tanara/Italgel; passato all’editoria, oggi cura la collana regionale delle province lombarde ed emiliane oltre a varie altre pubblicazioni. Il suo interesse per lo spiritismo, causato dalla morte di due persone a lui vicine, lo porta a frequentare un gruppo di ricerca medianica reggiano, dal quale si distacca presto; per un caso non casuale entra poi in contatto con il gruppo A7 di Bologna. E’ il 1982, e Renato resta con loro per quasi trentacinque anni, un lungo tempo pieno di domande: chi o cosa è Dio, cos’ha creato, quando e perché; qual è il ruolo della Natura nella Creazione, e qual è il reale ruolo dell’essere umano; la presenza di vita su altri pianeti; se esiste il diavolo, o se esistono i fantasmi (e qui si possono trovare delle sorprese). O ancora, interrogativi sulla struttura dell’aldilà, sul rapporto tra la condizione immateriale e il mondo umano, sul senso degli orrori che ci circondano. Sulla vita, e sulla morte. 
Partendo dall’assunto per cui «i misteri non esistono: esiste solo la nostra incapacità, all’attuale livello di coscienza, di comprendere», spiegare l’inspiegabile non è sempre facile per le Entità – identificabili anche con gli Angeli – ma l’Universo da loro delineato mostra una certa logica. I messaggi parlano spesso di vite precedenti, di karma, ricordando a tratti le filosofie orientali; i colloqui con le Entità evidenziano notevoli differenze rispetto ai dogmi, agli insegnamenti e ai concetti su cui si basa la religione umana: la realtà metafisica da loro descritta è qualcosa di diverso dalle tradizioni religiose, dalle strutture sociali e politiche create dagli esseri umani e da sempre parti integranti della religione stessa.
Quali benefici porta il credere in queste rivelazioni? Renato Coppe, che non ha mai voluto far parte di cerchi spiritici dove apporti ed ectoplasmi sono all’ordine del giorno ma ha sempre e solo voluto ascoltare, dice: «mi sento molto più sicuro di me, non ho più paura della morte e cerco sempre di aiutare gli altri, perché nell’aldilà la cosa più importante è dare». Se l’effetto è questo, qualche seduta spiritica potrebbe far bene a molti.

A SAN SECONDO L’INCONTRO CON LO SCIAMANO NEPALESE BHOLA NATH BANSTOLA

di Paolo Panni

SAN SECONDO- Incontrare uno sciamano nella Bassa Parmense non è certo cosa di tutti i giorni. E’ successo a San Secondo, grazie all’iniziativa dell’amica Mariella Calcagno, Coach Emozionale specializzata in Kinesiologia Applicata e Writer Coach. Nella sua sede di San Secondo, Mariella ha promosso questo evento che ha visto la partecipazione di un buon numero di persone, oltre che dei fondatori di Emilia Misteriosa Alessandro, Giovanna e Paolo.

 






Protagonista dell’incontro, Bhola Nath Banstola, uno sciamano nepalese per tradizione famigliare (da 27 generazioni, per la precisione). Laureato in antropologia culturale all’Universita’ di New Delhi, ha trascorso lunghi periodi con gli sciamani dell’area himalayana (Nepal, India, Bhutan, Tibet) rielaborando tecniche sciamaniche che gli permettono di essere un <ponte> fra l’antica cultura sciamanica e la visione moderna. Partecipa da tempo a congressi internazionali, tiene conferenze e corsi in Italia, Usa, Nepal. Collabora inoltre con importanti psicologi e antropologi americani e italiani ed è membro della Society of shamanic practitioners con sede in California. Insieme a lui c’era la moglie Mariarosa Genitrini, detta Mimì, insegnante e studiosa della cultura e delle tradizioni orientali, che da più di 20 anni frequenta l’aera himalayana per una ricerca sulla tradizione sciamanica. La sua esperienza le permette di essere un valido collegamento tra la cultura occidentale e quella orientale. Insieme al marito Bhola conduce i corsi sullo sciamanesimo e partecipa a congressi internazionali. I due accompagnano anche gruppi in Nepal, India, Tibet, mettendo a disposizione le loro conoscenze per far in modo che il viaggio sia un momento di incontro con culture diverse.







Lo sciamanesimo, come spiegato nel corso della serata, è la più arcaica pratica di guarigione che si può datare a più di centomila anni fa ed utilizza stati alterati di coscienza per contattare spiriti ed entità. L’essenza dello sciamanesimo è la visione animistica della natura, dove tutto è riconosciuto come vivo, manifestazione del divino e poiché tutti gli aspetti del cosmo sono percepiti interconnessi, lo sciamano viene riconosciuto come intermediario tra i vari piani dell’esistenza, capace di percepire ed interagire con il mondo degli spiriti, di viaggiare tra essi, consapevole della fragilità umana, dei pericoli di forze energetiche che possono causare malattie e disgrazie. Caratteristica di ogni cultura sciamanica è la visione <spirituale> della malattia dove la manifestazione fisica, esterna, è solo la rappresentazione di un disagio interno, di una “frattura” interna. Per lo sciamano l’aspetto “spirituale” della malattia è di determinante importanza e va alla ricerca, durante il “viaggio”, di un’anima persa o rapita, con riti appropriati la restituisce, cioè restituisce al paziente l’energia vitale. E’ la prima disciplina spirituale che conduce all’immediata conoscenza del “sacro”, è la radice dalla quale si sono sviluppate le altre discipline spirituali.





E’ una pratica attuale, grazie alla saggezza psicologica, sociale ed ecologica che le permette di sopravvivere nella cultura tecnologica attuale. Lo sciamanesimo parla, attraverso rituali, alla nostra essenza spirituale, per insegnarci ad ascoltare la voce interiore, per indicarci la strada della realizzazione. Non è esclusivamente un fenomeno legato a società tribali, è invece una nostra tradizione che è stata distrutta e che andrebbe ripristinata, un ritorno alla nostra vera natura, un riconnetterci con il potere delle piante, degli animali, dell’universo, un percorso spirituale di crescita, un “viaggio” fra l’ordinaria realtà e quella non ordinaria; è il ritorno ad una visione mitologica del mondo, per mostrare l’incongruenza dell’apparenza.



Lo sciamanesimo, come è stato evidenziato ancora nel corso dell’incontro, nasce di fatto dall’esigenza di comunicare con il divino (che viene riconosciuto in tutta quella che è la natura, al di fuori delle cosiddette religioni “istituzionali”). E lo sciamano non è un maestro ma un facilitatore. Semplifica, in pratica, il “cammino” verso l’incontro con quelle energie che tutti noi abbiamo dentro, quelle che potrebbero essere definite “zone d’ombra”. La sua è una spiritualità che parte dal basso e, aspetto molto importante, la sua figura non si sostituisce assolutamente a quella del medico (cosa che, invece, alcuni falsi sciamani hanno spesso cercato di fare). Si tratta di un guaritore che opera nel campo energetico, in un concetto di salute inteso come armonia del corpo, armonia energetica, armonia mentale: da vivere nella quotidianità.





Agisce entro un suo spazio rituale (che non è un altare) interagendo con i cinque elementi della natura. Il suo strumento per eccellenza è il tamburo, il cui suono ci mette in comunicazione con il magnetismo della terra e modifica le onde cerebrali. Il tamburo è, di fatto, la rappresentazione del cielo e del mondo sotterraneo, e il suono è un suono divino, il battito del cuore della Madre Terra. Durante il rituale, lo sciamano, che è un viaggiatore cosmico capace, in un volontario stato alterato di coscienza e con l'aiuto del tamburo, di entrare in altre sfere dell'esistenza per sottomettere gli spiriti della malattia per entrare nel mondo degli antenati e degli dei, per acquisire informazioni, rivelazioni e potere per aiutare gli altri. Questo stato alterato di coscienza non va confuso con la classica trans. Lo sciamano si trova, in pratica, in una situazione di borderline, avendo il pieno controllo delle energie che fa entrare e, attraverso le sue tecniche, va a risvegliare, nelle persone, la cosiddetta parte retti liana, vale a dire l’istintività.



Con la sua opera aiuta a vivere meglio e ad osservare con occhi diversi la realtà.
Altro “strumento” di cui fa uso è la coda di Yack ( un tipico animale dell’Himalaya) con la quale effettua la purificazione.



A San Secondo abbiamo potuto assistere ad un rituale sciamanico nel corso del quale Bhola Nath Banstola si è dapprima preparato con canti e col suono del tamburo, immaginando di trovarsi su un cuscino d’oro. Ha quindi “aperto” il suo corpo proteggendolo con tre sfere in oro, argento e ferro. Ha ringraziato gli antenati e gli spiriti del luogo ed ha chiamato energie dall’Himalaya rivolgendosi prima a Nord (la terra), quindi a Ovest (l’acqua), a Sud (il fuoco) e ad Est (l’aria), ma anche verso il mondo sotterraneo e verso l’alto. Nessuna magia e, soprattutto, come ha tenuto a precisare e ribadire Bhola, nessuna sostituzione alla figura del medico. L’obiettivo finale è quello del benessere, dell’armonia, del gusto per le belle cose. Per questo viene definito un “facilitatore”, che ha comunque una grande responsabilità nell’aiutare ad individuare diverse chiavi di lettura della nostra vita e della nostra quotidianità.



I presenti hanno seguito con molto interesse, e attenta partecipazione, la serata, avanzando anche diverse domande e curiosità. Per un mondo, quello dello sciamanesimo, ricco di fascino e, allo stesso tempo, di mistero.



TESTO E FOTO DI PAOLO PANNI



Per approfondimenti si consiglia di consultare i siti
www.nepalese.it

www.ramieradici.com


LE FOTO SONO DI PROPRIETA’ DEL GRUPPO EMILIA MISTERIOSA. SI POSSONO UTILIZZARE LIBERAMENTE CITANDO LA FONTE.

22 marzo 2013

METEORITE SU FIDENZA - "STORIE DA UNA SCATOLA DI SASSI"


di Davie Persico





Il giorno 19 Aprile 1808 a Borgo San Donnino, antico nome di Fidenza, cittadina in provincia di Parma, il mezzogiorno venne stravolto da due fortissime detonazioni.




Nel documento originale redatto dal Giovanni Battista Guidotti, Professore di Chimica e di Storia Naturale dell’Università di Parma [Memoria fisico-chimica sulle pietre cadute dall’atmosfera nel circondario di Borgo-San-Donnino, 1808. Documento conservato presso la Biblioteca del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Parma (Inv. Ric. Gb1, N. G2/538)] , egli afferma:

”Il desiderio di avere una Storia esatta dell’accaduto, e di dare un testimonio alle scienze della sua Protezione, determinò il Signor Amministratore Prefetto ad invitarmi a passare sui luoghi dove cadute erano tali pietre, a raccogliere dalla bocca di quegli abitanti le circostanze dell’avvenuto, a tesserne la storia, e ad istituire la necessaria, ed indispensabile Analisi della Pietra.
Mi recai dunque li il 5 dello scorso Maggio, colla compagnia del Sig. Prof. Sgagnoni, nelle Ville di Cella-di-Costamezzana, Pieve-di-Cusignano, e Varano-dè-Marchesi, che al Sud-Est si trovano di Borgo-San-Donnino. Le prime due sono distanti da esso Borgo circa 12 Kilometri, e Varano pressochè quindici; e tra loro formano un triangolo, che gira di circuito nove Kilometri, o in quel torno.
Le persone che a Cella da me vennero a questo proposito esaminate, furono il sig. Don Pietro Fedeli Cappellano di detta Villa; Michele Grassani che dissotterrò una delle Pietre cadute, e che conficcata la trovò nel suolo alla profondità di otto centimetri; ed Alessandro Tanzi della stessa Villa. A Pieve-di-Cusignano interrogai sopra ogni altro Marco Orlandelli, che fu testimonio oculare della caduta di una Pietra, che in seguito estrasse dal terreno, e che era quella che ricevuto aveva il Sig. Amministratore per messo del sig. Sottodelegato di Borgo, una parte della quale è stata in seguito da me sottomessa all’analisi, come vedrassi in appresso. Finalmente raccolsi nella Villa di Varano le deposizioni del sig. D. Antonio Stradoli Cappellano, di Cristoforo Mezzadri possidente, e di molte persone, che ad una voce ripetevano le stesse cose.
Dalle deposizioni concordi adunque delle citate persone chiaro discopersi, che il giorno 19 del passato Aprile, il cielo essendo ammantato da nubi cenerine, rare, e spezzate, per cui tratto tratto ne trapelava il sereno, e l’aria essendo tranquilla, ad un’ora circa dopo il mezzogiorno, d’improvviso, e senza lampi, quegli abitanti sentirono in alto due fragorosi scoppj, che rassomigliarono due forti spari di cannone. A questi tennero dietro una serie continuata di colpi, siccome una scarica di mortaretti, per la durata di un minuto o poco più, e che in continuando si fecero più frequenti. Successe a questi un rumor cupo, che da molti fu paragonato ad una rapida corrente di aria, o a quella specie di muggito, che mette un cammino in fiamme, e che durò tre o quattro minuti. Nel tempo di quest’ultimo rumore caddero le Pietre, e in cadendo producevano un fischio nell’aria simile a quello di un sasso scagliato dalla fionda, che alla vista degli spettatori sembravano striscie di fumo, le quali da molti furono a prima giunta credute folgori.
Il resto della giornata continuò il medesimo nuvolato, senz’alcun altro fenomeno, o cangiamento.
Gli abitanti di Varano assicurano che nella loro Villa è caduto il maggior numero di pietre che altrove, benchè malgrado l’averne ricercato non ne abbiano ancora trovato una sola.





Il nominato Michele Grassani, alla distanza di quasi cinque metri dal quale cadde una di tali Pietre, assicurò che nessun odore fu da lui sentito, non vide globo di fumo né di fuoco, e né meno lampi. Lo stesso depose pure Marco Orlandelli, di cui merita riferire le stesse parole; omettendo però il racconto dei fenomeni che precedettero la caduta delle Pietre, perchè appuntino si accorda cogli altri.

= Io lavorava in mezzo ad un campo, detto la Vignabora, in luogo detto Gabiano, posto nei confini della Pieve verso quelli di Varano, dove, alla distanza di circa quaranta passi da me, vidi cadere un corpo della grossezza di un pugno, che mi parve fumo, e vidi a sollevarsi la polvere nel luogo dove cadde. Io lo credei una saetta; e mandai subito mio figlio, che poco distante da me lavorava, a vedere che cosa eravi caduto. Accorse questi, ed introdotta la mano nel foro trovato, sentì scottarsi, e disse che vi era un ferro infuocato. Io allora vi andai colla vanga, e alla profondità di mezzo braccio (che corrisponde al metro a 0,27258 poco più) ritrovai un sasso nero, che era ancor caldo. Io posso assicurare di non aver sentito alcun odore di zolfo; di non aver veduto, globo di fumo o di fuoco, né lampo alcuno.=





Le tre ville nominate di Cella, Pieve e Varano da me esplorate minutamente, non mostrano il benché minimo indizio di nuova apertura o voragine; anzi siccome il sig. Arciprete di Varano aveva deposto nella riferita sua relazione che tra il Castello di Varano, ed il Monte Grolo aveva veduto durante il rumore un denso globo di fumo che si sollevò in aria, e poi scomparve, così io divisai di recarmi, per espiare se pure vi era fenditura, o pietre congeneri, oppure per escludere all’opposto qualunque sospetto di pretesa Vulcaneità. In compagnia adunque del sig. Maire di Medesano, il quale sempre mi fu gentilissimo Duca, mi aggrappai su quelle orride balze, attorniate i fianchi da altissimi precipizj in paurose profondità, dove per tutto fu mestieri quel penosissimo faticare di Dante, quando rampicava per su le scoscese vie di uno de’ più profondi gironi del suo inferno:

“E proseguendo la solinga via
“Fra le schegge, e tra rocchi de lo scoglio,
“Lo piè senza man non lo spedia.

 Ma per quanto io mi studiassi quelle erte rupi, per quanto aguzzassi le ciglia,


“Come vecchio sartor fa nella cruna,
espiando palmo a palmo que’ dintorni sassosi, non mi fu mai dato di rinvenire o fresche aperture, o sostanze bituminose, o piritiche, o ammassi petrosi che relazione avessero alcuna colle Pietre cadute, nè con la parte più notabile dei loro componenti.

Dietro le quali relazioni, che assicurano piucchè abbastanza le circostanze, e la verità del fenomeno, passerò a dare i Caratteri Fisici delle Pietre cadute, i caratteri Chimici e l’Analisi”.

Fotografie di D. Persico (Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra "M. Melloni" - Università degli Studi di Parma).

Il presente saggio è parte integrante del libro “Storie da una scatola di sassi” di Davide Persico

20 marzo 2013

QUANDO UN EFFETTO OTTICO CREA IL MISTERO

di Paolo Panni




La foto che oggi proponiamo all’attenzione dei lettori è data 9 agosto 2007. Era una tranquilla mattina d’estate quando un pensionato, ex artigiano ed esperto fotoamatore di Zibello, l’ha realizzata.
Si trovava, precisamente, lungo le campagne di Motta Baluffi, dirimpettaio centro del Cremonese, posto a breve distanza da Casalmaggiore. Doveva essere una normale foto panoramica della piccola borgata casalasca (più famosa per altri argomenti a carattere “misterioso” come quelli legati all’esistenza di un ex convento, ancora oggi ben visibile, a lungo officiato dal soppresso ordine dei Frati Umiliati).
Due anni più tardi, facendo una catalogazione ed una sistemazione delle tante immagini realizzate, il fotoamatore al quale mi legano da tempo vincoli di amicizia e di stima, decise di inviarmi questa foto, colpito da ciò che, con una netta evidenza, compare nei cieli posti al di sopra dell’abitato.
Nell’immagine sembra infatti di scorgere tre oggetti volanti non identificati, i cosiddetti Ufo.

Inutile negare che, sulle prime, anche il sottoscritto rimase colpito da quanto si poteva notare.
Grazie alla disponibilità e all’attenzione usata nei miei confronti dal pensionato di Zibello, è stato possibile pubblicare la foto, in anteprima, sui quotidiani “Gazzetta di Parma” e “La Cronaca di Cremona”. Contemporaneamente, anche a fronte del fatto che si tratta di un’immagine a scarsa definizione (pertanto è alquanto difficile effettuare i doverosi approfondimenti e le necessarie valutazioni tecniche che in questi casi servirebbero), decisi di mostrarla all’amico Giorgio Pattera, del Centro Ufologico Nazionale di Parma col quale avevo avuto modo di collaborare per un altro caso, facilmente “risolto” in quel di Pieveottoville (ed anche nell’organizzazione di una conferenza a tema ufologico a San Daniele Po).

Fin dall’inizio, da una prima analisi compiuta, il dottor Pattera, che da molti anni porta avanti studi e ricerche di carattere ufologico, non ebbe alcun dubbio nel sottolineare che, nell’immagine in questione, erano stati immortalati semplici volatili: probabilmente cornacchie, che al momento dello scatto fotografico, avevano “dato forma” a quello che, ad una prima e superficiale immagine visiva, poteva sembrare un avvistamento Ufo.
Mistero, quindi, del tutto risolto. Proponiamo tuttavia l’immagine per la curiosità che, tuttora, la stessa è in grado di offrire.


L’USO DELLA FOTO, CONCESSA DALL’AUTORE, E GIA’ PUBBLICATA DA DIVERSI ORGANI DI STAMPA E SITI, E’ LIBERO.
 

15 marzo 2013

MISTERIOSE PRESENZE E SIMBOLI ESOTERICI AL CASTELLO DI PADERNA (PC)


di Paolo Panni










Adagiato nella pianura Piacentina, il suggestivo castello di Paderna è il tipico complesso castrense di pianura. Le prime notizie certe di questo luogo portano la data del primo dicembre 817, ma la struttura attuale è frutto dei poderosi rimaneggiamenti e rifacimenti avvenuti nel corso dei secoli. Appartenuto a lungo ai monaci benedettini del poco distante monastero di San Savino (cacciati poi dal complesso monastico, da papa Alessandro IV, a causa della loro condotta poco ortodossa), presenta una forma quasi trapezoidale orientata secondo i punti cardinali ed è diviso da un muro trasversale in una parte residenziale più antica ad est e in una parte agricola ad ovest.
E’ interamente circondato da un vecchio fossato alimentato dall’acqua risorgiva della Fontana del Giudeo, esattamente come nell’antichità e presenta elementi di particolare interesse come la torre d’ingresso quadrata, munita alla sommità di apparato a sporgere e sui quattro lati di archibugere, dotata di duplice ponte levatoio di cui restano le sedi dei bolzoni; la poderosa torre quadrata cosiddetta nell’acqua, eretta nel fossato esternamente al castello, che si sviluppa su quattro piani collegati da una scala ricavata nel muro ma, soprattutto, la Chiesa di Santa Maria, unica testimone del “castrum” del IX secolo, in origine isolata e poi inglobata in altri edifici.








  

L’oratorio, da tempo sconsacrato e dedicato a S.Maria, ha pianta quadrata a croce greca, divisa da quattro colonne centrali in nove campate coperte da altrettante crociere; le colonne risultano composte da segmenti di colonne romane. Si tratta di un luogo ricco di fascino in cui vi sono simboli e tracce che richiamano, in modo anche piuttosto evidente, al mondo dell’esoterismo. Da evidenziare che una delle colonne ha come base un capitello corinzio rovesciato di epoca imperiale, un’altra poggia su di una pietra miliare dell’epoca di Massenzio. E già questi elementi richiamano a significati esoterici.







Ma non è finita. Infatti va notato come la chiesa in questione sia, a tutti gli effetti, un cubo perfetto iscritto in un cerchio secondo le regole di Marco Vitruvio Pollione (l’autore dell’enciclopedico trattato “De Architectura Libri Decem” e la cui influenza sulla storia dell’architettura è universalmente riconosciuta), con l’orientamento ad Est, volto quindi, al solstizio d’inverno con misure che sono tutte multipli di 3. Al centro della stessa è inoltre stato misurato, più volte, un potente campo magnetico naturale. Il “3” , come noto, proprio per il suo alto valore esoterico ha sempre occupato un posto molto rilevante sia nei diversi culti religiosi che nella tradizione iniziatica occidentale ed orientale. Presente sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, è il numero sacro e filosofico per eccellenza, simbolo dell’Essere supremo e della Sintesi spirituale. Gli antichi ritenevano fosse il simbolo della perfezione; addirittura Dante, attorno a questo numero, e sui suoi multipli, costruì nientemeno che la Divina Commedia. Nel Cristianesimo assume inoltre vari significati. Va ad indicare sia la Sacra Famiglia di Nazareth che, ovviamente, la Trinità. E tre sono anche, come risaputo, le Virtù Cardinali su sui si fonda la perfezione della vita umana, vale a dire: fede, speranza e carità. Senza dimenticare che tre sono anche i principi fondamentali su cui si fonda l’opera della trasmutazione: zolfo, sale e argento vivo, ossia mercurio. Il tre, lo ricordiamo, è il simbolo del ternario, la combinazione di tre elementi. Ed il ternario è proprio uno dei simboli maggiori dell’esoterismo. Primo numero dispari, poiché l’uno non è considerato un numero, il tre è profondamente attivo e possiede una grande forza energetica (da qui, la presenza, al centro della chiesa, di un potente campo magnetico naturale?). È il simbolo della conciliazione per il suo valore unificante. Infatti tanto il due separa, quanto il tre riunisce. La sua espressione geometrica è il triangolo, simbolo esemplare del ritorno del multiplo all’unità: due punti separati nello spazio, si assemblano e si riuniscono in un terzo punto situato più in alto.






 Inoltre il rapporto della triade con l’unità può essere espresso da un triangolo equilatero, ovvero dall’identità del tre, dove in ognuno dei tre angoli diversamente indicati è data ogni volta la triade intera. È il primo numero di armonia, di soluzione del conflitto dualistico, ed è per questo considerato un numero perfetto. Il tre apre la strada della mediazione e permette di uscire dall’antagonismo, superando la visione parziale e riduttiva del dualismo, poiché due elementi non possono essere conciliati che con l’ausilio di un terzo elemento. La triade sintetizza i poli opposti della dìade. Il tre è dunque numero simbolo di vitalità e radice di ogni ulteriore estrinsecazione delle operazioni dell’Uno nell’alterità del molteplice. Nella mitologia e nel culto è l’espressione della Trinità (una riunione di dèi in gruppi di tre), come simbolo dell’unità sostanziale.



Sembra inoltre, da quanto si è potuto appurare, che questa ultramillenaria e minuscola chiesa sia stata fatta costruire da Giovanni Filagato greco nato a Rossano Calabro: borgo in cui esiste un’altra chiesetta identica. Ma questa di Paderna è appunto ricca di materiale insolito come il capitello corinzio rovesciato e la pietra miliare dell’epoca di Massenzio. E proprio in merito alla figura di Giovanni Filagato occorrono alcune considerazioni dal momento che si tratta di un personaggio che ha scritto importanti pagine di storia e, allo stesso tempo, potrebbe essere anche all’origine dei misteri che riguardano la chiesetta di Paderna. Dilagato fu il primo maestro dell’Imperatore Ottone III e dell’Imperatrice Teofano. Fu Abate di Nonantola e Vescovo di Piacenza ma, soprattutto, fu nientemeno che antipapa col nome di Giovanni XVI, dal 997 al 998 (eletto dall’aristocrazia romana, in contrasto col legittimo Gregorio V, cugino dell’imperatore Ottone III). Deposto poi dal concilio e spogliato delle insegne pontificali, fu messo su una giumenta e spinto per le vie di Roma sotto gli insulti del popolo. Nel maggio del 998 cadde nelle mani dei soldati imperiali e fu gettato in prigione, mutilato, accecato e seviziato in tutti i modi. Morì in carcere, dove rimase 15 anni, nel 1013.






Tornando alla chiesetta (dove è lecito supporre che, durante il suo episcopato a Piacenza, Giovanni Filagato mise i piedi e, forse, celebrò), nelle pareti sono inoltre incavate dodici (altro multiplo di tre) nicchie semicircolari e rettangolari alternate ed una nicchia ad est è decorata con un affresco del 1400 raffigurante la Madonna col Bambino. Il famoso critico d’arte Vittorio Sgarbi l’ha identificato come un gotico fiorito,collocabile intorno al 1380. Da evidenziare che l’opera contiene anche croce, una palese croce templare. Ma chi avrebbe osato a quell'epoca? E perchè? E’ lecito supporre che se tutto l’insieme venisse “decifrato” e approfonditamente studiato da qualche esperto ne emergerebbe un forte messaggio esoterico.





E in questo antico complesso castrense non sembrano affatto mancare le presenze misteriose. Da sempre si narra di un Confalonieri rinchiuso proprio qui, dopo esservi stato trasportato dal Castello di Turo. In favore di questo Confalonieri, nel 1317 venne addirittura portata un’istanza al Papa. Secondo la leggenda pare che, per ottenere la libertà, egli dovesse rivelare i termini di una congiura di cui era a conoscenza , ma venne sgozzato prima di riuscire a rivelare alcunchè e le sue urla si udirono “a un tiro di balestra....”. Qualche anno fa, nel corso di scavi effettuati nel castello, venne rinvenuto uno scheletro, completo, ma privo proprio della testa. Che fosse quello del Confalonieri? Da secoli si dice che la sua ombra vaghi fra le mura del castello e più volte sia i proprietari che i loro ospiti ed inquilini hanno chiaramente udito urla strazianti, rumori di passi e cigolii di porte. In qualche occasione è stata notata anche una figura alta, vestita con una tunica. Forse un monaco? Potrebbe anche essere dal momento che questo luogo, nei secoli passato, fu dei benedettini del monastero di San Savino prima di passare, nel 1453, al nobile Melchiorre Marazzani di Rimini.




Da sottolineare che, anche recenti indagini di carattere paranormale, compiute da gruppi di esperti del settore, sia nelle torri, che nei sotterranei (dove si trovavano le prigioni) ma, soprattutto, nella vecchia chiesa sconsacrata, hanno fatto emergere situazioni inquietanti. Con l’ausilio di sofisticate e moderne attrezzature sono state chiaramente segnalate forti energie. Nella vecchia chiesa si sono registrati i fenomeni più inquietanti, con energie in movimento, specialmente attorno alle colonne, ma anche accanto all’altare e alla navata. Da moltissimo tempo il vecchio oratorio non è officiato e qui, sempre nel corso delle indagini eseguite, sono state segnalate anche torce e videocamere che si sono scaricate improvvisamente e luci che si sono spente da sole. Non è affatto escluso che, come spesso accade nei luoghi infestati, l’energia presente nelle apparecchiature sia stata assorbita dalle presenze inquietanti di questo luogo ricco di fascino: e di mistero.





FONTI BIBLIOGRAFICHE, SITOGRAFICHE E STORIOGRAFICHE


darkgothiclolita.forumcommunity.net

www.castellodipaderna.it


www.castellidelducato.it

www.ghosthuntersteam.it 

 
www.centrostudivetruviani.org

www.romanoimpero.com

www.treccani.it

www.wikideep.it

www.sapere.it

www.maremagnum.com



LE FOTO DEL CASTELLO SONO TUTTE DI PROPRIETA’ DI PAOLO PANNI. PER UN LORO UTILIZZO E’ NECESSARIO PRENDERE CONTATTO CON L’AUTORE.

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