20 febbraio 2013

A DUE PASSI DALLA CASA NATALE DI GIUSEPPE VERDI, UNA NUOVA RAFFIGURAZIONE DELLA PESATURA DELLE ANIME



di Paolo Panni






La millenaria chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo in Roncole Verdi è famosa soprattutto per le memorie ed i fatti che la legano alla vita del sommo musicista e compositore Giuseppe Verdi, che a poche decine di metri dalla stessa ebbe i natali il 10 ottobre 1813. All’interno del sacro edificio, visitato ogni anno da un elevato numero di pellegrini, melomani e cultori verdiani, si conservano l’organo detto “di Verdi” ed il fonte battesimale nel quale il Cigno, ancora neonato, ricevette il battesimo. Senza dimenticare il campanile nel quale, come ricorda anche una lapide posta all’esterno del tempio, Luigia Uttini Verdi nascose il piccolo “Beppino”, quando questi non aveva ancora due anni d’età, per salvarlo dai massacri perpetrati dalle orde sanguinarie di Russia ed Austria che, al comando del generale Suvaroff, inseguivano i francesi in ritirata (dopo la caduta dell’Impero Napoleonico), seminando stragi e massacri.





Coloro che si recano in visita all’antica chiesa restano comprensibilmente colpiti ed incuriositi da queste “memorie verdiane”, ma anche dai tesori che in essa sono contenuti. 
Gli ultimi interventi di restauro, eseguiti a cura del Laboratorio Restauro Dipinti snc di Stefania Prosa e Paola Zucchi di San Prospero (Parma), hanno riportato in luce, in particolare, una serie di interessanti dipinti murali, tutti eseguiti nel 1525, in un arco temporale molto breve, durato presumibilmente, a detta degli esperti, tre mesi. Cosa, questa, per altro testimoniata dalle iscrizioni riportate sui dipinti stessi. Fa eccezione il ciclo raffigurato sulla parete del presbiterio, in cui si possono identificare stesure appartenenti ad epoche diverse, eseguite a partire dal Trecento ed entro l’inizio del Cinquecento. L’ipotesi finora portata avanti è che gli autori abbiano agito senza un preciso programma iconografico, dato che la maggior parte dei dipinti trae origine dalla devozione espressa in seguito a grazia ricevuta, come testimonia la costante presenza del nome del committente. Si ritiene che anche la navata sinistra, ad oggi non sottoposta a restauri, celi sotto l’attuale intonacatura chiara, a tinta unica, dipinti quantomeno cinquecenteschi: pertanto sarebbe auspicabile, anche in questo caso, provvedere a saggi e, quindi, anche a successivi interventi di restauro. 




 Va anche evidenziato che in alcuni casi, ed in particolare sul riquadro della prima campata, sull’arcata che divide la terza campata dalla cappella e sul pilastro a sinistra del presbiterio, sono stati ritrovati lacerti di decorazioni pittoriche sottostanti la stesura bianca “quattrocentesca”.






Tornando alla navata di destra, quella dove si trova anche il fonte battesimale, come si può desumere dalle iscrizioni riportate sulle varie scene, queste, come già sottolineato, sono state realizzate in un arco di tempo molto breve, ovvero nel trimestre compreso tra il settembre ed il novembre del 1525. L’analisi delle tecniche esecutive e della tipologia delle figure porta ad affermare che era al lavoro un’unica manovalanza, che lavorava con modelli diversi. L’uno utilizzato per la scena centrale e la parte alta della medesima parete della cappella, la “Madonna in trono con Bambino” raffigurata in alto sulla parete della terza campata ed il San Lorenzo della navata centrale. L’altro invece per le figure dei Santi Donnino e Michele Arcangelo, i due angeli musicanti inginocchiati e le pareti laterali della cappella, la Madonna raffigurata sul pilastro della terza campata della navata destra e la scena centrale della parete della stessa campata con Madonna e Santi francescani, la scena con la Presentazione dei Magi della seconda campata.










Si ritiene utile soffermarsi, a questo punto, sulla piccola cappella laterale destra dove, in una mirabile sintesi, si esprime tutta la devozione roncolese. Qui spicca il grande affresco che occupa tutta la parete di fondo sopra l’altare. Vi sono raffigurati la Vergine Madre, con i santi Donnino, Sebastiano, Rocco e Michele. Per quanto riguarda San Donnino, patrono della città e della diocesi di Fidenza, questa si tratta dell’unica raffigurazione del Martire presente in diocesi, al di fuori del contesto urbano di Fidenza. Popolari, nella nostra campagna, sono le raffigurazioni di San Rocco e San Sebastiano, invocati come protettori contro le pestilenze. In alto, a sottolineare la grandezza della Maternità Divina di Maria, ecco la colomba dello Spirito Santo.





Ma è sulla figura di San Michele che occorre soffermarsi. L’arcangelo, al quale la chiesa di Roncole è dedicata, viene infatti rappresentato con una bilancia in mano. Quindi un nuovo caso di “pesatura delle anime”, o “Psicostasia” in provincia di Parma.







Il terzo nel giro di poche decine di chilometri, dopo quelli già conosciuti di Cabriolo e di Talignano. Un fatto che ha del clamoroso se si considera che questo tipo di raffigurazione, in chiese cattoliche della Penisola, è assai raro. Si tratta di una simbologia presente in svariate religioni e che affonda le sue radici al culto egizio. E’, di fatto, una parte del giudizio divino in cui l’anima del defunto viene pesata su una bilancia, per il successivo controllo dei suoi meriti. Dall’Antico Egitto provengono varie documentazioni, sia scritte che figurative. In quel tipo di culto, come si evince dal Libro dei morti, la pesatura avveniva in presenza di Osiride, per opera del dio Thot: in un piatto della bilancia si poneva l’anima e, nell’altro, un’immagine di Maat, la giustizia. La “pesatura delle anime” è presente anche nello Zoroastrismo (per il quale si svolge in presenza di Mitra), e nell’islam. Così come è presente nell’ebraismo antico-testamentario e, solo dalla letteratura apocalittica in poi, appare con valore escatologico. In questa forma passa anche nella religione cristiana, in cui l’Arcangelo San Michele si incarica nell’operazione, mentre Satana spesso cerca di togliere peso al piatto dei meriti. La stessa psicostasia è presente anche nella mitologia greca, come commisurazione dei destini.



L’Arcangelo Michele nell’Antico Testamento compare con il suo nome nel libro di Daniele (Dn 10,13.21; 12,1), dove è indicato come difensore del popolo ebraico e capo dell'esercito celeste che difende i giusti nella battaglia finale contro il Drago nell'Apocalisse: nell'iconografia viene rappresentato come un combattente, con la spada o la lancia nella mano (come nel caso della chiesa di Roncole Verdi) e, sotto i suoi piedi, il drago sconfitto nella battaglia. L'Arcangelo viene anche riconosciuto come guida delle anime al cielo e questa funzione, tipica del Nuovo Testamento, è evidenziata nella liturgia romana, in particolare nella preghiera all'offertorio della messa dei defunti. La tradizione gli attribuisce un ruolo di psicopompo e contemporaneamente di giudice nella psicostasia, vale a dire che ha il compito della pesatura delle anime dopo la morte, tanto che in alcune rappresentazioni iconografiche porta in mano una bilancia, come nel caso sempre di Roncole. Il suo culto, palesemente sincretizzato si sviluppò nei primi secoli del Cristianesimo, specie presso i Bizantini, che lo ritenevano non solo un combattente ma anche un medico celeste e veniva popolarmente invocato per guarigioni e malattie. Già da qui si evince il legame malattia-morte-Michele. Ma se si va ad analizzare le chiare origini pagane del culto angelico, che trasforma Michele da un angelo guerriero che combatte contro Satana in un guaritore-medico e taumaturgo pesatore delle anime, non si può non trovare un paragone clamoroso con uno degli dei più importanti e interessanti del pantheon egiziano: il Dio Thot infatti vanta esattamente le stesse caratteristiche di Michele, essendo egli il misuratore del peso del cuore del defunto (che deve essere leggero come una piuma) nella cerimonia della Pesatura del Cuore che avviene dopo la morte al cospetto del Dio Osiride. Il ruolo di psicopompo, di accompagnatore delle anime, era svolto presso di Egizi da Anubi e in effetti Michele riprende anche alcuni suoi attributi, così come è palese il paragone nelle vesti e nelle armi con un altro importantissimo Dio egizio, Horus. Si potrebbe pertanto affermare che Michele va a riassumere le caratteristiche di queste tre divinità ed in effetti, attraverso l'Alessandria neoplatonica, la religione egiziana influenzò fortemente l'Impero Romano d'Oriente da cui discendono i Bizantini: in particolare la figura di Ermete Trismegisto rappresenta questo connubio tra religioni classiche ed orientali e africane, tutte accomunate da una comune base ancestrale preistorica che rendeva i confini tra di esse solo terminologici e legati al significato del nome del Dio. Tuttavia in Occidente non è possibile rivenire molte tracce bizantine, perché il dominio di Costantinopoli sull'Italia ebbe termine con l'invasione longobarda nel VI Secolo CE. E' chiaro che il grande influsso micheliano si ebbe principalmente con i Franchi, particolarmente devoti all'Arcangelo, e con gli stessi Longobardi da cui prende il nome la Lombardia e il perchè è semplice: anche nelle mitologie norrene, quella celtica in particolare, esiste la figura archetipica del Dio curatore e medico, prototipo del druido sacerdote che anticamente gestiva gli affari medico-spirituali delle tribù. Gli irlandesi in particolare veneravano un Dio della salute, medico e guaritore, Diancecht, legato alla stirpe dei Tuatha de Danaan, che aveva anche un ruolo di guerriero protettore dei suoi devoti. Spesso le divinità avevano connotati misti, in un tendenziale monoteismo o biteismo (Dio-Dea) la divinità assumeva anche altri attributi non legati al suo ambito e così capitava che un dio guaritore assumesse anche valenze guerresche o solari o magiche. Nella mitologia germanica questo ruolo sincretizzato lo assunse Odino, che era il principale Dio venerato dai Longobardi, vero e proprio mito e ispiratore della popolazione scandinava che tanta importanza assunse per il nostro Paese. Odino non era solo il capo degli Asi, ma anche un mago, che si sottopose a prove estenuanti e sovrumane per ottenere l'alfabeto runico e in questo è assai simile a Thot, che allo stesso tempo era inventore dei geroglifici e della scrittura.



L’arcangelo, come accade anche a Roncole, è comunemente rappresentato alato in armatura con la spada o lancia con cui sconfigge il demonio, spesso nelle sembianze di drago. È il comandante dell'esercito celeste contro gli angeli ribelli del diavolo, che vengono precipitati a terra. Sulla base del libro dell'Apocalisse ne vennero scritti altri dedicati a Michele che finirono per definirlo come essere maestoso con il potere di vagliare le anime prima del Giudizio. L'iconografia bizantina predilige l'immagine dell'arcangelo in abiti da dignitario di corte rispetto a quella del guerriero che combatte il demonio o che pesa le anime, più adottata invece in
Occidente.



Secondo vari studiosi, tra cui lo scrittore scozzese Robert J. Stewart, San Michele e
San Giorgio sono eredi dell'immagine dell'eroe radioso che uccide un drago, parte della fase solare del mito della creazione il cui prototipo fu il dio babilonese Marduk. In epoca ellenistica l'equinozio autunnale, come quello primaverile, era consacrato a Mitra-Sole considerato demiurgo e cosmocrator, signore e animatore del cosmo, la cui funzione era simboleggiata da una sfera che teneva in mano; ma anche mediatore cosmico e dunque, per tanti aspetti, analogo a Hermes-Mercurio. Molte funzioni equinoziali e mediatrici di Mitra-Sole-Hermes vennero ereate da san Michele la cui festa cade in Occidente nel periodo subito successivo all’equinozio.



Quindi un nuovo caso di “Psicostasia” in terra Parmense, dopo quelli già ampiamente noti di Cabriolo e di Talignano, che meritano comunque di essere approfonditi. 




Partendo da Cabriolo, è certamente di grande fascino la piccola pieve, dedicata a San Tommaso Becket, che in secoli passati fu una mansio templare, collegata a Cerro di Toccalmatto, ora fondo agricolo con una piccola cappella attualmente in uso agli attuali templari (templarioggi.it). La tradizione vuole che San Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, passò da Cabriolo nel 1167, fondandovi una cappella, quattro anni prima quindi di morire martire a causa della condanna attribuita da Enrico II d’Inghilterra. Nella Rationes Decimarum del 1230 la “ecclesia de Cacobrolo in plebe Burgi S.Donnini” è “sub templo de altra mare” mentre nel 1299 è citata non più come chiesa ma come “domus de Carobiolo”, collegata all’ospedale di San Giovanni in Parma, gestito dai cavalieri ospitali eri, ai quali erano passati i beni confiscati all’ordine templare. Ormai quasi un secolo fa, sul lato sinistro, furono riportati alla luce importanti affreschi risalenti alla prima metà del Quattrocento. Dapprima è rappresentata la Trinità, con tre persone uguali che si apprestano a consumare un pasto.










Uno di loro è l’Arcangelo San Michele, intento proprio a pesare le anime. Quindi ecco la Crocifissione ed alcuni santi, coi due committenti dell’affresco inginocchiati di fianco a S. Giovanni Battista. La particolare raffigurazione della Trinità trova riscontro nell’episodio biblico dell’apparizione del Signore ad Abramo nel deserto così come narrato nella Genesi, quando il patriarca ha anche la visione di tre uomini che stavano presso di Lui, tre “viri” letti come figure angeliche con la funzione di anticipare il mistero trinitario. Si tratta di un modo di rappresentare la Trinità che, in Occidente, è considerato assai raro a differenza di quanto accade in area ortodossa, dove si tratta di un modello ben seguito. A tale significato si somma, comunque, quello del dovere dell’ospitalità. Abramo, infatti, nel momento in cui vede i tre angeli, domanda alla moglie Sara di preparare il pranzo di focacce e pane, ed un capretto viene ucciso per l’occasione.






Le mani giunte che si possono osservare non vogliono mostrare solo il classico atteggiamento orante ma sono anche un segno di ringraziamento dal momento che sono, più spesso, le mani con le palme rivolte al cielo che attestano l’invocazione. Va anche ricordato che ai pellegrini che giungevano a Costantinopoli si mostrava il desco sul quale aveva pranzato la Trinità, i tre uomini angelicati. L’iconografia trinitaria è tipica della cultura templare, alla quale si lega anche la figura dell’Arcangelo Michele che pesa le anime andando a sottolineare la “miles Cristi”, cioè la funzione militare dei cavalieri, ma anche l’evidente ruolo di mediatore per la salvezza del cristiano. Nello specifico di Cabriolo, questa scena si affianca al Crocifisso, con Maria e San Giovanni che svolgono un ruolo di intercessione. Da evidenziare anche che del periodo templare rimane solamente la parte absidale, visto che nel 1309, in seguito allo scioglimento dell’ordine dei Templari, l’antica mansio fu saccheggiata e data alle fiamme. Destino, questo, al quale andò incontro anche l’adiacente ospedale templare. Alcuni decenni più tardi la chiesa fu quindi ricostruita ed affrescata dai Gerosolomitani, Ordine monastico-cavalleresco fondato a Gerusalemme alla fine della prima crociata con compiti di assistenza ospedaliera, che si trasformò rapidamente in ordine cavalleresco.





Successivamente fu quindi gestita dai Cavalieri di Malta (fino alla soppressione napoleonica). Attualmente è di
proprietà della Diocesi di Fidenza ed ha il titolo di parrocchia. E proprio a due passi dalla pieve, spicca la maestosa villa Guastalla-Guareschi, ricostruita nel 1860 ampliando l'antico ospedale dei Cavalieri di Malta (e prima dei cavalieri Templari), a cui avevano lavorato probabilmente i maestri frà Girolamo e Francesco Magro (1589).




Passando ora alla suggestiva pieve di Talignano, dedicata a San Biagio, questa è celebre proprio per la lunetta, posta appena sopra il portale d’ingresso in cui spicca la pesatura delle anime.




Il piccolo sacro edificio, intorno al 1230 dipendeva dal Monastero della Rochetta, situato a metà strada fra Fornovo e Bardone, sul monte Prinzera. Dalle seconda metà del 1300 passò quindi al pievato di Collecchio, ed infine divenne parrocchiale. Nella lunetta posta, come anticipato, sulla facciata, sopra il portale d’ingresso, ecco ancora una volta San Michele. La devozione nei suoi confronti, nel periodo medioevale, ha avuto una vastissima diffusione in tutta Europa, non solo perché si trova all’inizio e alla fine di un lungo percorso che la attraversava da Mont Saint Michel in Normandia, fino a San Michele in Val di Susa e San Michele al Gargano, da dove ci si imbarcava con destinazione Terra Santa, ma anche perché era il santo longobardo che aveva portato alla vittoria il duca di Benevento Grimoaldo contro i Saraceni, nel 663. Michele è da sempre il santo guerriero che lotta per la fede, che vince il male ed assicura l’anima a Dio introducendola al Suo cospetto. Non a caso, anche oggi, nelle preghiere di esorcismo, fin dall’inizio, una delle prime invocazioni viene fatta proprio a San Michele Arcangelo. Anche in questa raffigurazione scultorea, l’Arcangelo Michele viene rappresentato mentre è intento a difendere le anime che vengono pesate per il giudizio finale, mentre il demonio tenta, utilizzando un uncino, di far pendere il piatto dalla sua parte. La lastra posta nella lunetta, molto probabilmente, per un periodo è rimasta nascosta. Infatti, andando ad attingere ai documenti d’archivio, ecco emergerne uno, datato 1578, relativo alla visita apostolica di monsignor Castelli in cui si legge “Imago St.Blasij supra portam pingatur”. Non occorre certo un esperto di latino per capire il significato, vale a dire che nella lunetta sopra il portale si trovava l’immagine del santo titolare (San Biagio), posta in sostituzione di una immagine preesistente, giudicata inadeguata. Secondo le voci che, da tempo, si rincorrono in paese, pare che in epoche passate la lunetta sia stata rimossa su indicazione di un Vescovo che la considerava, appunto, inadeguata. Probabilmente don Botti, a cui va il merito di importanti restauro che hanno riportato la pieve all’antico splendore, potrebbe aver ritrovato la lunetta della psicostasi, rimasta per diversi secoli all’interno della chiesa, facilmente utilizzata per la chiusura di un forno. Grazie all’iniziativa di Don Botti, potrebbe quindi essere stata ritrovata agli inizi del Novecento e riportata nella sua posizione originaria. Notizia, questa, che il sacerdote non ha mai né confermato né smentito. E’ comunque importante che sia tornata ad avere la giusta evidenza, anche per la valorizzazione e la promozione di un luogo che, da sempre, è meta di numerosi pellegrini.



Per chiudere, quindi, sono ben tre, nella sola provincia di Parma (di cui due nella diocesi di Fidenza), le raffigurazioni della Psicostasia. Cerimonia questa, che nello scorrere dei secoli, va a legare culture e religioni assai differenti fra loro.



FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE:

Marco Fallini, Mario Calidoni, Caterina Rapetti, Luigi UGhetti: “Terra di Pievi”, Mup Editore, Parma 2006

Isabella Dalla Vecchia,
www.luoghimisteriosi.it


Luca Belforti,
www.roncoleverdi.it

 
www.treccani.it

www.pbmstoria.it

www.romanico-emiliaromagna.com

www.satorws.com



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2 commenti:

  1. Ricevo da Claretta Ferrarini e lo giro aggiungendo i miei personali complimenti: "Beh, caro Ambrogio! È molto bello il servizio di Paolo Panni che hai condiviso e ti prego di fargli i miei complimenti. Non ti nascondo, però, che quando sento parlare di "pesatura delle anime" e soprattutto quando ne vedo le immagini, mi scappa un sorriso. Non sapevo che vi fossero i dipinti nelle chiese menzionate e, mi rendo conto sempre più di essere un'ignorante patentata in questo campo. Sè föss morta jêr l'aress mîa sävì. Pensa l'ironia: tutto ciò, nonostante io sia sommersa da libri d'arte di Carli-Dell'Acqua e dell'Argan, poichè uno dei miei figli si è diplomato al TOSCHI."

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  2. Ringrazio sia Ambrogio che Claretta, aggiungendo che spesso e volentieri nel nostro territorio abbiamo, oltre a tesori d'arte e di cultura, anche aspetti magari meno conosciuti ma di evidente valore....Grazie ancora

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