28 maggio 2015

TRA STRAGI E CONGIURE, TORTURE E LEGGENDE AL CASTELLO SALSESE DELLA GALLINELLA


di Paolo Panni



Oltre mille anni di storia accompagnano il castello della Gallinella, uno dei più antichi e rilevanti insediamenti militari ed economici del territorio della Val Stirone, con ogni probabilità edificato su una remota Via del Sale. 

Del maniero, posto a due passi da Contignaco, non rimangono che pochi ruderi, quasi introvabili, posti su un colle e “nascosti” dalla fitta boscaglia. Resti di antiche mura che, senz’altro, meriterebbero di essere salvate e valorizzate, per mantenere viva la storia del glorioso, movimentato passato di questo poderoso edificio. Al quale Roberto Mancuso, appassionato studioso e cultore di storia locale, un innamorato del suo territorio (e ce ne vorrebbero) ha recentemente dedicato una interessante monografia dal titolo “Il castello che non c’è. Storia del castello salsese La Gallinella”, frutto delle sue continue ricerche e di un appassionato approfondimento tra le pagine di una corposa documentazione bibliografica. 

Occupandoci, su questo sito, di misteri, dobbiamo evidenziare che su questo “capitolo” c’è materiale da vendere. Una volta tanto non si è di fronte a nomi e cognomi di ipotetici spiriti (o fantasmi) che si aggirerebbero fra i resti delle sue mura e non sono nemmeno state condotte, sul posto, indagini o sopralluoghi che abbiano fatto emergere anomalie. Ci si limita a prendere atto di quanto narrato da chi vive nei dintorni (e da chi ci si è trovato a vivere) che in più occasioni ha affermato di aver udito lugubri lamenti, inquietanti rumori e di aver visto strane luci. Come sempre fantasia e realtà si fondono e, secondo lo stile della nostra associazione, non si esprime alcun giudizio su questi fatti di cui si vocifera. 

Scavando però tra le pieghe della storia, che in questo caso è assai corposa, ecco emergere episodi sinistri ed inquietanti riguardanti questo antico maniero, nel corso dei secoli teatro di omicidi, torture e congiure. Anche per il fatto di essere stato di proprietà di nobili che, nel corso della loro esistenza, si sono macchiati di efferati delitti e, in qualche caso, ne sono anche stati vittime. 

Partendo dalla denominazione, “Gallinella” appunto, ecco emergere il primo mistero. Quale il motivo di questo nome? Probabile che derivi da terminologie legate al popolo gallico che, in passato, abitava queste zone. Un’altra ipotesi decisamente fantasiosa, da ascrivere probabilmente al mondo della leggenda popolare, è quella di una “dedica” ad una moglie di un Pallavicino chiamata “gallinella”, forse per il suo modo di atteggiarsi. Il castello, fondato da Adalberto Pallavicino, figlio primogenito di Oberto, ebbe tra i suoi signori anche Oberto VII Pallavicino Il Grande, vicario imperiale della Lombardia e della Lunigiana, morto, dopo essere caduto in disgrazia, nel 1269 nel castello di Gusaliggio di Valmozzola. Feroce avversario dei Guelfi, nemico dichiarato di Dio (nonostante i ripetuti solleciti, anche di un monaco, non volle mai saperne di pentirsi), fedele al casato Svevo, dopo il declino di quest’ultimo si ritirò proprio nel castello, da lui fondato, a Gusaliggio dove morì, vecchio, abbandonato e arrabbiato, l’8 maggio 1269. Come si può desumere in un precedente articolo dedicato alla Rocca di Gusaliggio (finita, come la Gallinella, in un cumulo di ruderi), si dice che l’8 maggio di ogni anno, per l’anniversario della morte, lo spirito di Oberto VII si faccia sentire tra i resti del maniero di Gusaliggio. 

La Gallinella fu al centro di lunghe contese e passaggi di proprietà. Fu dei De Lupis (diventati poi Meli Lupi), dei Petroni e poi, ancora, dei Pallavicino. Imponente maniero di confine, nel 1427 su al centro di una improvvisa, terribile strage. Venne infatti assediata dalle milizie della famiglia Sommi di Cremona e, memorie alla mano, in quell’occasione (ancora oggi ricordata come “la strage della Gallinella”) ci furono parecchi morti. 

Appartenne anche a Niccolò Pallavicino e, per diversi anni, anche ad uno dei più insigni protagonisti del medioevo italiano, il grande condottiero umbro Niccolò Piccinino, tra l’altro raffigurato nel celebre affresco dedicato alla “Battaglia di Anghiari” di Leonardo Da Vinci. Sepolto nel Duomo di Milano, Niccolò Piccinino si macchiò naturalmente di diversi fatti di sangue, compresa l’uccisione della moglie Gabriella Da Sesto, in quanto accusata di adulterio. Altro proprietario della Gallinella fu Rolando Pallavicino, accusato di numerosi soprusi e angherie, arrestato insieme alla figlia (e ad altre sette persone) nel 1599 dal capitano Massimiliano Scuttelari e dalle sue truppe (tutti furono imprigionati a Parma su provvedimento di Ranuccio I Farnese). A quel punto il castello venne confiscato dalla Camera Ducale e affidato all’antica e potente famiglia gentilizia piacentina dei Paveri Fontana. Qualche decennio più tardi fu di nuovo dei Pallavicino, e in particolare di Alessandro, ucciso nel 1654, all’età di appena 24 anni, per una questione di interessi, dall’arciprete della vicina pieve di San Giovanni in Contignaco. Secondo quanto riferito dalla storia l’arciprete in questione era don Claudio Dellaguardata e qui ecco emergere un altro mistero perché i conti non tornano. Infatti stando alla cronologia dei parroci di Contignaco pubblicata sull’ “Enciclopedia Diocesana Fidentina”, don Dellaguardata morì nel 1630: come avrebbe potuto allora uccidere il Pallavicino nel 1654? Anno, quest’ultimo, in cui era invece arciprete don Angelo Maria Lamberti, il primo di quattro sacerdoti Lamberti che si avvicendarono alla guida della parrocchia fino al 1780. Dopo don Angelo Maria Lamberti ci furono due don Lorenzo Lamberti e, infine, di nuovo, un don Angelo Maria Lamberti. Tutti nel giro di circa 150 anni. E’ lecito supporre, ma non ne abbiamo le prove, che qualcosa in questa cronologia di parroci non quadri. Fatto sta che il marchese Alessandro, figlio di Rolando e di Margherita Malaspina, è l’ultimo dei Pallavicino, dopo seicento anni, a possedere il castello della Gallinella. In seguito alla sua morte fu seppellito nella vecchia chiesa della vicina San Vittore da dove, si dice, reclami ancora oggi i suoi diritti sulla zona. 

Il maniero passò di nuovo alla Camera Ducale e, per pochi decenni, fu della famiglia Santi e, quindi, del Podestà Bernardini (nel XVIII secolo), padre di Giandomenico Romagnosi. Appartenne anche al conte Cesare Ventura, primo ministro di Parma dal 1789 al 1800. Nel 1807 (quando su provvedimento napoleonico fu soppresso il titolo di feudo) ne era invece proprietario il conte Giovambattista Ventura, uno dei fondatori del Nuovo Ordine dei Cavalieri Templari. Morì, il Ventura, nel 1826, anno in cui il maniero era già disabitato e in stato di incuria. Da lì iniziarono i primi abbattimenti, con parti murarie e affreschi che vennero portati nella vicina pieve di San Giovanni. Pieve che conserva anche una tela seicentesca raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Sebastiano e Agnese, proveniente dallo scomparso oratorio della Gallinella, chiuso definitivamente nel 1744. 

Importanti demolizioni ci furono nel 1828 e negli anni Settanta del Novecento quando, sul colle della Gallinella, venne avviata un’attività estrattiva che ebbe anche uno strascino giudiziario non indifferente. Il colle fu anche al centro anche dei combattimenti tra partigiani e truppe tedesche sul finire del secondo conflitto bellico. Nuove violenze e nuovo sangue, dunque, dopo la strage del 1427. 

Tornando ai Pallavicino, uno dei proprietari fu anche il marchese Francesco, signore di Scipione, colui che insieme al cugino Niccolò, nel 1374 tramò e diede vita ad una sanguinosa congiura ai danni dello zio Giacomo, signore di Bargone. I due cugini si fecero invitare, a Bargone appunto, per un banchetto al termine del quale Francesco sfoderò la spada ed il pacifico zio Giacomo morì decapitato. Ci furono altri morti e altre violenze (anche ai danni di donne) in quella occasione. Fu “risparmiato”, si fa per dire, solo Jacopo, capitano delle guardie di Bargone, trasportato e torturato con ferri roventi al castello della Gallinella col fine, da parte di Francesco, di farsi dire dove erano nascosti i documenti dello zio Giacomo. Francesco Pallavicino, dopo quei fatti, non rispettò i patti col cugino Niccolò e si stabilì tra le mura del maniero di Bargone dove, un paio di anni più tardi, fu trovato morto, bocconi, sul letto con gli occhi sbarrati. Una morte misteriosa che non ha mai trovato una spiegazione. Secondo la leggenda gli potrebbe essere comparso lo spettro dello zio decapitato oppure potrebbe essere stato avvelenato dal cugino Niccolò. Ma le morti misteriose ed i fatti cruenti non finiscono qui, visto che lo stesso Niccolò e la moglie, Maria Attendolo, sempre a Bargone vennero trovati misteriosamente morti qualche anno dopo. Tra i documenti dell’archivio parrocchiale ne spicca anche uno in cui si legge che nel 1557, essendo feudatario il tiranno marchese Francesco Pallavicino, “si ebbe una grande lite coi sudditi e si fecero processi gravissimi”. 

A Salsomaggiore, Francesco morì nel 1581 e a Gallinella gli succedette il figlio Rolando che, dalla moglie Margherita Malaspina, tra il 1575 e il 1594 ebbe qualcosa come quindici figli, tutti battezzati nell’orario dei santi Fabiano e Sebastiano in Gallinella. I loro nomi erano: Susanna; Caterina; Splendiano; Giovanni Francesco, Giulio Cesare, Galeazzo Pirro (questi ultimi tre erano gemelli); Susanna Teodolinda; Belisario, Zenobia; Francesco; Galeazzo; Artemisia; Belisario Giulio Cesare; Alessandro Sforza e Caterina. L’area della Gallinella, probabilmente “casa” per un certo periodo anche dell’eremita Rolando (Orlando) dè Medici, anacoreta che visse per 26 anni proprio nei boschi fra Tabiano e Salsomaggiore (morendo nel 1386), e del probabile passaggio di Dante Alighieri (gli Aldighieri, nome originario della famiglia alla quale chiaramente apparteneva Dante, erano proprietari del vicino castello di Contignaco) , è oggi caratterizzata da una fitta boscaglia, all’interno della quale rimangono, come anticipato, i pochi, poveri ruderi del glorioso, antico castello. Tra i resti anche quelli di un’ampia cisterna per la raccolta dell’acqua, Si dice vi fosse anche un pozzo dei tagli, cosa di cui si parla in una miriade di antichi castelli e borghi e di cui, quasi mai, si è trovata traccia e quindi lasciamo questa ipotesi, più che mai, nella sfera della leggenda. Passando invece a quella della storia si può ricordare che a livello civile ed amministrativo, Contignaco e Gallinella costituirono sempre, in passato, due distinte località come emerge anche nel decreto 19 giugno 1820 della granduchessa Maria Luigia d’Austria, che ne confermava la dipendenza, quali frazioni, del Comune di Salsomaggiore, eretto, in base ai nuovi ordinamenti introdotti da napoleone, il 15 giugno 1814. Successivamente Gallinella scomparve come frazione, assorbita da Contignaco.


FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

T.Marcheselli, “Fantasmi e leggende dei castelli Parmensi”, Umberto Nicoli Editore

R.Mancuso, “Il Castello che non c’è. Storia del castello salsese La Gallinella”, Pro loco Salsomaggiore e Associazione Cartoline da Salsomaggiore, 2015. 

M.Calidoni, M.C. Basteri, G.Bottazzi, C.Rapetti, S.Rossi, M.Fallini, “Castelli e Borghi. Alla ricerca dei luoghi del Medioevo a Parma e nel suo territorio”, Mup Editore, 2009. 

G.Capacchi, “Castelli Parmigiani”, Silva Editore, quinta edizione 1997

G.Finadri, “Castelli sconosciuti del Parmense”, Stamperia s.c.r.l., 2012

D.Soresina, “Enciclopedia Diocesana Fidentina. Vol. III. Le Parrocchie I Parroci Le Chiese”, Agraf 1979

D.Soresina, “Enciclopedia Diocesana Fidentina. Vol.II Città e paesi”, Agraf 1974









Le foto sono di proprietà dell’autore e dell’associazione Emilia Misteriosa. Per un loro utilizzo è necessario prendere contatti con gli stessi. 

Si prega di voler segnalare eventuali copyright nei testi al fine di una loro cancellazione o modifica.

Nessun commento:

Posta un commento