3 maggio 2013

I DUE FANTASMI DELLA ROCCA DI GUSALIGGIO



di Paolo Panni





Fra le antiche, suggestive rovine di quella che, un tempo, fu la poderosa rocca di Gusaliggio, nel territorio del Comune di Valmozzola (Parma), si aggirerebbero non uno, ma ben due fantasmi.

Segnatevi innanzitutto una data: quella dell’8 maggio. Quel giorno, infatti, secondo la leggenda, e stando anche ai racconti che vengono tramandati dagli abitanti del territorio, potreste imbattervi nientemeno che nello spirito vagante, e tutt’altro che tranquillo, di Oberto VII Pallavicino Il Grande, una delle più eminenti figure ghibelline nell’Italia del XIII secolo. Fedele al casato svevo, fu Vicario Imperiale per la Lombardia e per la Lunigiana, signore di Piacenza, podestà di Pavia, capitano di Cremona. Sotto il proprio controllo ebbe anche le città di Parma, Brescia, Milano, Como, Lodi, Novara, Tortona ed Alessandria. Fu anche un nemico dichiarato di Dio e della Chiesa; questo, nel 1257, gli costò una scomunica che lo perseguitò poi fino alla fine dei suoi giorni, portandogli tutta una serie di nefaste conseguenze. Dopo l’invasione della Lombardia da parte di Carlo d’Angiò, e dopo il crollo del casato svevo, iniziò il declino di Oberto Pallavicino: gli si rivoltarono contro le sue città, i guelfi parmigiani assediarono e presero i suoi possedimenti, perse la vicinanza ed il sostegno di tante persone che gli erano state accanto. Ridotto quindi sulla difensiva si ritirò fra le mura del maniero di Gusaliggio, da lui fondato su un dirupo che si affaccia sul torrente Mozzola. Quelle terre furono date ai Pallavicino dall’imperatore Federico I nel 1189.




Il castello aveva sempre avuto una funzione soprattutto difensiva, e non certo di prestigiosa dimora. Non era certo il luogo preferito per un condottiero del calibro di Oberto Pallavicino. Ma di fronte ad un tale declino non ebbe altra scelta che quella di rifugiarsi su quei monti. Nonostante tutto non perse la sua superbia ed il suo forte temperamento. Ci fu anche un monaco, il modenese fra Gherardino, lettore in teologia nel convento dei Minori di Parma che, inviato tra le mura di Gusaliggio, cercò di indurre il nobile condottiero al pentimento. Ma, nonostante l’ormai grande declino, Oberto rispose seccamente: “Non ho rimorsi di coscienza di tener roba che sia d’altri”. In realtà è noto che in passato aveva ucciso e rubato. Ma di pentimenti non volle mai saperne. Fra quelle mura morì, vecchio ed amareggiato, difeso da pochi fidi, l’8 maggio 1269. Ecco che da allora, secondo la leggenda che fra queste vette si tramanda, nella notte della ricorrenza della morte, il fantasma inquieto di Oberto si aggirerebbe tra le mura, oggi in rovina, del vecchio, poderoso castello. Maniero di cui restano evidenti tracce, compresi alcuni locali ricavati nella roccia e scalini frutto delle abili mani di scalpellini locali.




Negli anni e nei secoli successivi, il castello fu poi dei Pallavicino di Pellegrino, dei Visconti (nella persona di Niccolò Piccinino), ancora dei Pallavicino, quindi degli Sforza Fogliani di Piacenza (e nel 1526 fu al centro di una faida di famiglia, tra due fratelli degli Sforza Fogliani, che assalirono un loro zio, proprietario della rocca di Gusaliggio, tal Pallavicino Sforza Fogliani, rapinandolo di 10mila scudi e mettendo a sacco il luogo) e della famiglia Conti.



Fra le ultime testimonianze scritte riguardanti la fortezza di Gusaliggio spicca quella del Molossi, datata 1840. Un documento in cui si evidenzia ciò che resta di quello che un tempo fu un poderoso castello. Si parla anche di un orticello il cui lato esteriore, da una grande altezza, scende a picco nel torrente Mozzola. Un particolare di non poco conto. Infatti, fra ciò che da sempre si tramanda, vi è il racconto di quanto accadde a due donne che un giorno erano intente a stendere il bucato. Cosa che erano solite fare, per poi ritirare il tutto verso sera, stirando quindi le lenzuola a colpi di braccia, prima di riporle. Si dice che, in seguito ad un colpo falso della donna più forte, che strappò un lenzuolo dalle mani dell’altra, provocò la caduta di entrambe, all’indietro, lungo il precipizio, fino al torrente. Morirono praticamente sul colpo, sfracellate sul greto del corso d’acqua, sfigurate.




Ma, come si evidenziava, all’inizio, sarebbero due i fantasmi di questo luogo. A quello di Oberto Pallavicino si deve infatti aggiungere quello della bellissima Richilda, bellissima, pura e perseguitata fanciulla, alla quale è dedicata una novella di Carlo Malaspina del 1841. In tanti luoghi sono passate alla storia le vicende di soprusi, prepotenze e violenze, da parte di nobili castellani, nei confronti di belle ragazze del contado. Così fu anche per Richilda di Gusaliggio. La bellissima ragazza, figlia prediletta di Bernardo da Rivalta, viveva in una delle case poste sui piani scavati nella roccia, vicino ad un mulino a vento, a due passi dalla turrita rocca. Rocca sulla quale vigilava tal Federigo Malchiavello. A guardia del maniero lo aveva messo proprio Oberto Pallavicino, mentre era impegnato a guerreggiare altrove. Federigo Malchiavello è ricordato come uomo di grande ferocia, padre di cinque figli maschi. Tre di questi erano stabilmente al seguito di Oberto. Uno sorvegliava invece il vicinissimo castello di Landasio ed il quinto, Eccellino, aiutava il padre a Gusaliggio. In un normale, caldo mattino di agosto, avvenne il dramma, nato da una partita di caccia col falcone alle Bratte, decisa da Malchiavello che invitò, per l’occasione, un gruppo di amici. Fra questi anche il cavaliere Mariano, figlio del castellano della non lontana Specchio. Mariano, proprio sulla strada per la rocca di Gusaliggio, vide la bellissima Richilda, che si trovava sulla soglia di casa. Il cavaliere ne rimase profondamente affascinato, al punto da volerla conoscere, chiedendola in sposa, offrendo amicizia e potenza. Ottenne però un chiaro rifiuto e, quindi, se ne andò, profondamente arrabbiato, minacciando Bernardo e la figlia Richilda. Durante la discussione, il padre della ragazza si lasciò sfuggire un particolare tutt’altro che irrilevante. Infatti al figlia era fidanzata con Olivotto Cambiatori di Parma. Ma era noto che i parmigiani erano nemici dichiarati del signore di Gusaliggio, Oberto Pallavicino Il Grande. A quel punto Richilda fuggì in fretta e furia nascondendosi dal pievano nell’Abbazia di San Martino. E lo fece appena in tempo perché i bravacci, tornati per rapirla, trovarono solo il padre. Furiosi, lo legarono e lo rinchiusero fra le segrete del castello. Da quel momento, per Richilda non vi fu più pace. Ci fu prima un altro tentativo di rapimento, scongiurato dal pievano dell’Abbazia di San Martino brandendo crocifisso e stola, minacciando morte e dannazione eterna nei confronti di coloro che volevano violare quelle sacre mura, che quindi se ne andarono. Ci fu poi la fuga a Parma, con tutta una serie di ulteriori vicissitudini, fra guerre civili e continui attentati alla virtù della casta fanciulla, che non si diede mai pace per quanto era successo al padre. Da allora si dice che i gemiti ed i sospiri della bella ragazza si odano fra le spettrali rovine del maniero. Gemiti che, secondo quanto tramanda la leggenda, non sono altro che le pene d’amore della sventurata fanciulla.


TESTI E FOTO DI PAOLO PANNI

FONTI BIBLIOGRAFICHE, STORIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

G.Capacchi, “Castelli Parmigiani”, Silva Editore, 1997.

G.Finadri, “Castelli sconosciuti del Parmense”, Stamperia Scrl 2012.

M.Calidoni, M.C.Basteri, G.Bottazzi, C.Rapetti, S.Rossi, M.Fallini, “Castelli e Borghi”, Mup Editore, 2009

T.Marcheselli, “Fantasmi e Leggende dei castelli parmensi”, Umberto Nicoli Editore

 
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