29 gennaio 2015

BARDI: NON SOLO MOROELLO E SOLESTE. “VIAGGIO” TRA I FANTASMI E I MISTERI DELLA VAL NOVEGLIA SULLE ORME DELL’EREMITA DISPERSO

di Paolo Panni



Se uno dice “Bardi” e parla di misteri e di paranormale, la mente di tutti, anche di chi muove i primi passi nel campo dell’ignoto, corre immediatamente alla leggendaria (in tutti i sensi) vicenda di Moroello e Soleste. Una delle tante, antiche storie d’amore che aleggiano tra le mura dei manieri italiani, finite tragicamente. Con gli spettri dei due innamorati che, secondo la credenza popolare, ancora oggi vagherebbero tra le mura della splendida fortezza costruita su uno sperone di diaspro rosso. Fortezza dove, in effetti, come dimostrano anche i risultati di indagini e attività compiute da esperti e da gruppi che si occupano di paranormale, le anomalie non mancherebbero e, anzi, sarebbero piuttosto frequenti. 



Ma oggi ci vogliamo occupare di alcune vicende misteriose, e meno note, che interessano gli immediati dintorni di Bardi, comune che, a conti fatti, può considerarsi, per numero di fatti, di storie, di leggende e di luoghi, fra i più misteriosi dell’Emilia e, forse, d’Italia. 



In questo servizio ci si concentra, in modo particolare, su tre borghi abbandonati (o quasi) della Val Noveglia e sui loro misteri, antichi, affascinanti, singolari. 


Passata la piccola località di Venezia (naturalmente nulla a che vedere con la città lagunare veneta), si giunge a Pareto, modesto villaggio composto da un gruppo di case in pietra, disabitato da almeno trent’anni, posto ad una quota di oltre mille metri. Osservando gli edifici, in gran parte crollati, non è difficile capire che un tempo era abitato da laboriosi contadini. Oggi divorato dalla vegetazione, trova in una vecchia fontana, rimasta attiva la testimonianza singolare delle vite passate. 

Proseguendo poco oltre si giunge a Pianelleto, borgo che si avvia ormai ad entrare, a sua volta, fra i “paesi fantasma” del nostro Bel Paese. A tenerlo “in vita” sono tre persone, due donne e un uomo. Il più giovane di loro ha più di 80 anni. Messi insieme, con le loro età, superano abbondantemente i due secoli di vita. Fra quei monti sono cresciuti e da quei monti non se ne sono mai voluti andare. E’ gente cortese, che sembra provenire da un’altra epoca e che accoglie con curiosità, e cordialità, i pochi visitatori che decidono di avventurarsi fin lassù. 
Si dice, e da qualche parte è anche stato scritto, che Pianelleto sia un paese di “guaritrici”, le cosiddette “madgone” per attingere al vernacolo locale. Quando chi scrive questo reportage è stato sul posto ha tentato vanamente di sapere, dalle due donne, se fossero loro le “guaritrici” non è stato possibile avere alcuna conferma. La diffidenza, in questi casi, è naturale, specie nei confronti di uno sconosciuto, arrivato dalla pianura, che cerca di sapere cose tanto riservate. 
Solo una delle due donne ha deciso di “lasciarsi andare” facendo sapere che la figlia, che vive in un altro paese dell’Appennino Parmense, fa la guaritrice “segnando” le storte. E già aver saputo questo è stato tanto. E, se da una parte, non è stato possibile avere certezze sugli eventuali “poteri” delle due anziane (o di altre persone che un tempo vivevano a Pianelleto) dall’altra è possibile affermare che la cordialità e il sorriso di questi semplici, laboriosi montanari sono già un bel mezzo di “guarigione” per chi arriva dalla frenesia di tutti i giorni. 
Una delle due anziane donne ha anche accennato ad un altro fatto misterioso che si sarebbe verificato in passato da queste parti, analogo ad altri casi simili accaduti, qua e là, fra le colline e le montagne parmensi e piacentine. 
Ha riferito cioè che, in passato, si diceva che i folletti che vivevano nel bosco entravano di notte nelle stalle in pietra di quelle povere case per fare la treccia ai cavalli: cosa che, per altro, si ripeteva più e più volte. E, l’indomani, più volte, i cavalli con la treccia sarebbero stati notati dai loro proprietari che, oltre a non trovare spiegazioni, non potevano fare altro che mettersi pazientemente a sciogliere le trecce. Azione, questa, in seguito alla quale i folletti dispettosi, nelle ore successive, avrebbero poi preso a botte gli sfortunati cavalli. Si dice anche che in diverse occasioni, in tutta la zona, i contadini disperati per questa situazione si rivolsero più volte ai parroci locali, per ottenere benedizioni con l’acqua santa. E, dopo queste benedizioni, i fenomeni non si sarebbero più ripetuti. 


Verità o affascinante leggenda montanara tramandatasi da un villaggio all’altro e da una generazione all’altra? Difficile dare una risposta, e forse non è nemmeno giusto farlo, lasciandosi trasportare semplicemente dalle emozioni che queste vicende sanno suscitare. Da evidenziare che, prima di Pareto e di Venezia c’è un bosco che chiamano Serbùiu (“casino”, nel senso di confusione), dove, secondo la leggenda, di notte si ritrovano e fanno festa gli spiriti. A volte, stando sempre alla leggenda e ai racconti popolari, ci va anche il fantasma del cane del cavaliere nero, che ogni tanto accompagna chi cammina al buio quando ci sono le nuvole basse, ma bisogna far finta di niente altrimenti diventa pericoloso. Bisogna trattarlo come un cane normale, insomma. E, se prende fiducia verso il visitatore, può portare anche nella zona delle trincee oltre Pianelleto, nella costa alta verso Lavacchielli. Altro borgo fantasma, questo, e dove i misteri non mancano di certo. In tutto poco più di venti case, in larga parte diroccate. Qui gli ultimi abitanti se ne sono andati addirittura negli anni Cinquanta, oltre mezzo secolo fa. E si vede. 


Le case, anche qui, sono tutte in pietra ed il borgo, come i predenti due, è privo sia di edifici religiosi che del cimitero. E proprio vicino alle sorgenti di Lavacchielli si sentirebbe ancora pregare il vecchio che, oltre un secolo fa, era andato a vivere da eremita in quel borgo (vivendo proprio in una delle case in pietra) e che è scomparso dai primi del Novecento. Di lui, quindi, non si hanno notizie né tracce da oltre un secolo, ed è altrettanto vero che nessuno lo ha mai trovato morto. E, stando sempre, ai racconti che si tramandano in zona, un tempo dalle parti di Lavacchielli viveva anche un rabdomante che divise le acque del Rio della Fontana della Lite (è segnato in mappa così). 
Stando sempre sia ai racconti che alle testimonianze raccolte, lo spirito di questo rabdomante apparirebbe, ancora oggi, all’improvviso, nel bosco vicino ai rivi. Fra i borghi ed i villaggi abbandonati dell’Appennino, Lavacchielli è senza dubbio quello di maggiori dimensioni e più suggestivo. Completamente immerso nel bosco è “attraversato” da questi misteri: quello dell’eremita sparito nel nulla e quello del rabdomante che vagherebbe tra gli alberi e i modesti corsi d’acqua. Dove, ancora una volta, leggenda e realtà, memoria popolare e mistero si fondono in un singolare, affascinante ed inquietante mix. 



FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE


Beppe Conti, “Leggende Bardigiane”. 

Centro Studi della Val Ceno, “Leggende della Val Ceno”, curato da Beppe Conti, 2014



www.valcenoweb.it

appennino.blogspot.it

misteridiparma.myblog.it


Per la realizzazione del reportage si ringraziano:

Davide Galli: preziosissima “miniera” di notizie e di conoscenze storiche legate a Bardi e alla Valceno 

Giuseppe Conti: già sindaco di Bardi, per le indicazioni e le notizie fornite 

Stefano Panizza (curatore del blog misteridiparma.myblog.it), esperto conoscitore del nostro Appennino, guida indispensabile per giungere alla scoperta di Pareto, Pianelleto e Lavacchielli. 

Senza il loro aiuto, questo servizio non sarebbe mai stato realizzato. 


LE FOTO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE E DELL’ASSOCIAZIONE EMILIA MISTERIOSA, PER UN LORO UTILIZZO SI CHIEDE DI CITARE LA FONTE.

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