1 giugno 2014

Il mistero nella vita di Francesco Scaramuzza


di Silvia Ragazzini Martelli






Chi non conosce Francesco Scaramuzza? Dovrei affermare che tutti sanno chi sia. Invece, nonostante le sue spiccate doti pittoriche e la suacletticità, sino a quando l’illustre critico Vittorio Sgarbi, nel 2003, cercò di rivalutarlo al pari, o forse più ,del pittore francese Gustave Doré, maggiormente conosciuto e osannato, il nostro artista rimase, non dico sconosciuto, per carità, ma un po’ sottotono. Forse più un artista minore, legato all’ambiente in cui nacque e visse, nel 19° secolo e cioè Sissa, situata nella Bassa Padana, in provincia di Parma, nell’umida e nebbiosa terra , adagiata sulle sponde del Taro e del Po.

Dunque, perché non raccontarvi in breve la sua storia? Storia intinta, a tratti, nel mistero, in quanto lo stesso Scaramuzza era una persona particolare, originalissima e, sotto certi aspetti, misteriosa. Sotto altri aspetti più quotidiani, era un semplice cittadino sissese, che amava esprimersi anche in dialetto e che polemizzava spesso sulla sua povertà e sui sacrifici che dovette affrontare per tirare avanti la propria numerosa famiglia. Era un artista che, come Socrate, non disdegnava confondersi col popolo e con la povera gente dei campi o, addirittura, coi primi rivoluzionari dei moti risorgimentali. Frequentava ambienti di alto rango, ma viveva anche in mezzo ai più bassi ceti sociali. Nacque il 14 luglio 1803, un anno prima del Piccio, altro artista legato sotto certi aspetti alla nostra zona. Fu battezzato come Francesco, Antonio, Bonaventura, figlio di Nicolò e di Marianna Benedetta Frondoni. I genitori avrebbero desiderato che studiasse materie umanistiche, ma in lui prevalse l’indole pittorica. Si iscrisse alla Regia Accademia di Parma, sotto la guida dei maestri Antonio Pasini e Biagio Martini .Si segnalò subito come ottimo giovane artista. Si qualificò in numerosi concorsi e vinse un premio di perfezionamento a Roma, come allievo più meritevole. Dalla Capitale spedì a Parma bei dipinti, tra i quali Silvia e Aminta (ora alla Galleria Nazionale di Parma) e altri. Rientrò a Parma a ventisei anni e si distinse ancora ,eseguendo bei quadri e affreschi. Alcuni li troviamo nella chiesa della Beata Vergine del Quartiere e di San Rocco a Parma ,o nella Galleria Nazionale. Sarebbe lungo l’elenco. Amò tanto Napoleone, da dipingerlo e denominarlo San Napoleone. Lo fece per l’Oratorio di San Lorenzo. Un bozzetto si trova al Museo Lombardi. Altri suoi dipinti sono reperibili a Noceto, nella chiesa di San Michele a Parma e in altre numerose località. Nel 1836 si presentò con un’immagine del Conte Ugolino all’Esposizione di Milano. Fu questa la prima volta che si accese in lui la convinzione di poter illustrare la Divina Commedia di Dante. Fu altresì abile disegnatore, oltre che pittore, e, a Selvapiana di Reggio Emilia, è ricordato per aver affrescato la volta del piccolo tempio petrarchesco. L’opera che ci commuove di più, essendo la più bella e la più celebre, si trova ora nella Galleria Nazionale di Parma ed è il Baliatico, così come l’Assunta in cielo di Cortemaggiore che, dicono, abbia ispirato Giuseppe Verdi ,quando compose il celebre brano la Vergine degli Angeli. Ma altre numerose opere ce lo ricordano, come Rosa Mistica in San Leonardo di Parma o La discesa al Limbo, nel Castello di Moncalieri. Inoltre, famosi affreschi in vari palazzi della propria città (Palazzo Dalcò, Chiostro Benedettino, Sala del Medagliere del Museo Archeologico di Parma ) e altre opere a Monticelli d’Ongina… Disegni, affreschi, dipinti, bozzetti…Tanto e bene lavorò. Nel 1840, a 37 anni, iniziò a pensare seriamente di portare a termine un lavoro immane, cioè di illustrare tutte le cantiche dantesche della Divina Commedia. Opera summa, di grande impegno, che richiedeva enorme preparazione, grandissima passione e infinita pazienza. Purtroppo richiedeva anche un notevole e, per lui, inarrivabile supporto economico, che osò chiedere come sovvenzione al Barone Mistrali, allora Ministro, per poter affrescare i Corridoi universitari di Parma ,con soggetti danteschi. Il permesso non gli fu concesso e dovette accontentarsi della Sala della Biblioteca ,che istoriò in varie riprese. Dal 1831 fece parte anche dei moti risorgimentali e, nel 1859, durante la seconda Guerra d’Indipendenza, si recò sino in Piemonte ,da Camillo Benso Conte di Cavour, per portare l’adesione di Parma allo Stato Sardo. Ricordiamo che varie sue opere furono apprezzate anche dall’Arciduchessa Maria Luigia e alcune non restarono a Parma. Di tutta la sua produzione l’opera più famosa e impegnativa restò sempre l’illustrazione della Divina Commedia. Quasi cinquant’anni di lavoro, di studi, di soddisfazioni mai pienamente riconosciute e raggiunte. Solo il Professor Scarabelli, dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, ne fece uso per le proprie lezioni e osò paragonarne l’autore al grande e più noto Gustave Doré. Giunto dopo di lui nell’ideazione, ma prima di lui nella pubblicazione. L’uno portò a termine le illustrazioni a grafite, lo Scaramuzza, a penna. Il sissese portò sì a compimento ben duecentoquaranta cartoni, settanta sull’inferno, centoventi sul purgatorio e cinquanta sul Paradiso, con, in aggiunta, il suo famoso autoritratto, sempre eseguito a penna. Ma non arrivò ad illustrare tutte le cantiche, come si era proposto, per mancanza di aiuti economici e perché fu battuto sul tempo e con immediato successo dall’artista francese. La sua propensione al mistero, oltre che essere innata, prese vita da un suo personale e profondo dolore. Riuscì a vivere con la consorte solo brevissimo tempo e costei gli premorì molto presto, lasciandogli la responsabilità di allevare ben quattro figli. La lettura di Dante parve, almeno in parte, confortarlo di questa dolorosa perdita. Si sfogò col potere carismatico e liberatorio dell’arte, incidendo sui cartoni con puntini e linee e disegnando a penna, tanto che l’inchiostro, così ben distribuito, con luci e ombre, parve incisione. Grafiche, le sue , di altissimo livello. Nel 1870 una parte di queste opere fu esposta a Parma e il tutto fu definito un capolavoro. Specialmente Alberto Rondani lo apprezzò, per la tecnica sopraffina e per l’interpretazione. Perciò fu giudicato, anche se non molto noto, il più grande, il più filosofo tra gli illustratori del divino poema, già nel 1874, dalla stampa. Nel 1872 espose ,con meritato successo , quarantasette dei suoi cartoni, a Firenze, poi a Roma. Dopo la sua morte, furono esposti di nuovo a Firenze. Ne parlarono Ruggeri, così come Ugo Ojetti. Aristide Barilli lo definì pregevolissimo, come pittore. Ma quando se ne resero conto, per lui era già troppo tardi. Il suo stile pareva ormai far parte del passato. Erano stati eseguiti prima di quelli a matita del Doré, ma quest’ultimo, anche se con merito, gli rubò in anticipo ogni onore. E qui inizia un suo profondo cammino misterioso. Ormai vecchio, quasi un Socrate con la folta barba bianca e le lunghe vesti, si consolò, dialogando con gli spiriti. Amò lo spiritismo. Addirittura affermò di essere anche poeta, però “sotto dettatura dei grandi spiriti “come Metastasio, il Petrarca, l’Ariosto, il Tasso, il Goldoni, il Leopardi, Angelo Mazza, Ada Corbellini, il Pascoli, il Giusti, Eleonora Pimentel, l’Alfieri… Basti pensare che scrisse ben 26 canti di un poema sacro, con 2691 stanze, in ottave ariostesche o commedie in stile goldoniano. Senza contare che visse quasi in transfert con e per Dante Alighieri. Affermarono infatti che era nato per sentire Dante. Fu da lui suggestionato e ispirato a tal punto da firmarsi Medio Y e poi Medio Francesco Scaramuzza. Si mise a scrivere poesie e poemi ad età avanzata e sosteneva convinto che fossero i poeti trapassati a dettargli i versi. A quell’epoca lo spiritismo era visto come una “scienza” sconosciuta e adatta a “teste esaltate e visionari”. Per Francesco invece era quasi un dogma. Addirittura credeva alla reincarnazione delle anime e affermava che lui stesso vivesse nella quarta e che riusciva a risvegliare il canto di poeti scomparsi, che gli suggerivano in vari stili. Possedeva un’eccezionale sensibilità. rilevabile nelle Poesie Spiritiche, nel Poema Sacro, in Due Commedie, in Due Canti Sulle Corporali Esistenze Dello Spirito. Fu dunque un poeta per procura. Certo che distinguere un visionario da un genio non è per niente facile. Amareggiato e mortificato, non aiutato e non compreso sino in fondo, sentiva avvicinarsi la morte e la fine di un’esistenza, costellata di successi ,non però adeguati alla propria grandezza. L’immagine di Scaramuzza, esposta nella Sala Consiliare dell’ahimè chiusa-speriamo non per sempre-Rocca di Sissa-, ce lo mostra come un distinto e simpatico signore. Un onesto signore, un po’ filosofo, un po’ rivoluzionario, un po’ visionario, ma molto artista. Alcuni dicono che portasse lunghe vesti rosse e nere in inverno e che usasse parlare con le anime dei trapassati. Lo stretto rapporto col regno dell’aldilà, descritto da Dante, lo pose in transfert ,tramite l’opera letteraria e la fantasiosa interpretazione pittorica, col mondo soprannaturale. Pur essendo quasi ateo o comunque non particolarmente religioso, quasi panteista, credeva nel rapporto con gli spiriti dell’oltretomba, coi quali conversava come con le persone vive. “Siam molti i Spirti che del par ti amiamo/Ne vo’ che d’Essi un solo tu ne sfratti/Per satisfare a questo mio desire,/Ma vo’ che tu li possa tutti udire”. (2° stanza, dettatagli da Lodovico Ariosto, come preludio al Poema Sacro). Morì a Parma il 20 ottobre 1886, a 83 anni. Raggiunse la fama nel proprio paese e nella propria città, oltre che in alcune località più lontane, ma non ottenne mai la piena considerazione decretata al Doré. Ricordiamo, della sua famiglia, anche il fratello Salvatore, che fu un bravo incisore calligrafo e il nipote Camillo, (1833-1915), ugualmente pittore che, con fantasia, illustrò la Rocca di Sissa, nel dipinto situato nel Municipio di Zibello e intitolato Il circo a Sissa. Don Enrico Dall’Olio lo definì uomo “rarissimo” e “misterioso, quasi inesplorato”. Infatti fu non solo pittore, ma anche patriota, poeta e medium, per le numerose sedute spiritiche alle quali credette e che lo fecero entrare – come lui stesso diceva, in contatto con “gli spiriti magni”. Fu un uomo generoso, buono, umile, coraggioso, democratico, modesto, che lavorò sino a sedici ore al giorno, che voleva essere collocato dopo la propria morte, in terra, senza catafalco. Un uomo rimasto vedovo a soli trentasei anni, nel 1839, dopo aver sposato nel 1830 Virginia Magnaschi, che morì giovane, solo dopo nove anni, ma gli lasciò Elisa, Emilia, Adele ,che morì a sedici anni, e Silvio. Visse a Sissa, il paese che il fondatore della scuola Beato Angelico di Milano, l’Architetto Monsignor Polvara, definì con questa frase: quella è una terra buona per i pittori. Le pronipoti Elisa e Matilde Parizzi ereditarono i famosi cartoni danteschi, ancora di proprietà degli attuali eredi. Scaramuzza fu maestro d’Estetica, di Composizione e di Pittura alla Ducale Accademia di Belle Arti di Parma, ne divenne Direttore.Nel 1860 fece parte della Commissione artistica e fu nominato Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e Ufficiale socio della Regia Accademia. Seguono numerosi e altisonanti titoli per definirlo. Ma non bastarono a riconoscergli il proprio valore, anche dopo due importanti retrospettive tenute nella sua Sissa. Vittorio Sgarbi seppe capirne l’importanza notevole e lo liberò dall’indifferenza della Critica blasonata, riportandone alla luce il valore ed estraendolo dalla pastoia che lo riduceva al ruolo di sconosciuto e sottovalutato da sempre. Sarebbero tante le notizie da fornire riguardo questo eccelso artista che ,anche se figlio di un agente di dogana, seppe monopolizzare il mondo dell’arte per una propensione naturale, ma anche, come lui affermava, per volere dei misteriosi spiriti magni che gli fecero compagnia dall’alto , soprattutto in campo poetico, e che lo guidarono. Oggi Sissa Trecasali può onorarsi di un genio che nacque, visse e camminò nelle nostre strade. In località Sissa, ancora esiste la casa, non giustamente conservata per onorarne la memoria, una via, nella quale ho l’onore di vivere e una piazzetta. Le Scuole Medie di un tempo erano a lui dedicate e un medaglione celebrativo fu posto sul muro della sua casa, con la dicitura: 14 Luglio 1803- Qui nato Francesco Scaramuzza, Pittore insigne ,illustratore sovrano, per arte italica e spirito dantesco ,della Comedia Divina ,sei anni dopo la morte, non morituro, la Patria segna superba- 20 ottobre 1892.Ora riposa alla Villetta di Parma, ma forse avrebbe preferito la nuda terra di Sissa. Chissà che non sia lui adesso a ispirare gli artisti del luogo ,presentandosi loro(a volte anche a me, essendo poetessa e pittrice, suggestiona l’idea), come spirito Magno. 



“Per ora io prego meditar sul poco
Che qui v’ho posto innanzi con fatica
Così che già mi sento e stanco e roco;
Padroni tutti di non creder mica 
A questi Veri ch’io trovai sul loco,
Dove ancor mia mente si affatica
Per inoltrar nell’Infinito Mare, 
Nel quale non è lito ad approdare”.



(Tratto dal Poema Sacro - Francesco Scaramuzza).





Bibliografia: Francesco Scaramuzza-Gianni Capelli-Enrico Dall’Olio-Luigi Battei Parma.

Sissa-A. Bacchinii-Tipolitografia Benedettina-

Sissa e le due Delegazioni-Gianni Capelli – Editoria Tipolitotecnica-Sala Baganza Parma

Nessun commento:

Posta un commento