23 maggio 2014

NELLA GOLENA DI POLESINE, LA VERGINE CHE FRENA LE PIENE DEL PO

di Paolo Panni




Una bomboniera mariana legata fortemente al destino 
delle comunità rivierasche, proteggendole dall’impeto 
del Grande fiume. Così, in pochissime battute, si potrebbe sintetizzare la vicenda che accompagna il piccolo, accogliente santuario della Beata Vergine di Loreto, meglio conosciuto come chiesa della “Madonnina del Po”, che impreziosisce e carica di misticismo la golena del Po, a Polesine Parmense.


Un’oasi mariana, posta a due passi dall’abitato, da cui è divisa dal solo argine maestro, e situata anche nelle vicinanze dell’antico palazzo delle “due torri” (oggi Antica Corte Pallavicina), uno degli edifici storici più antichi di tutta la zona, il solo rimasto, di fatto, a testimoniare la presenza del nucleo originario di Polesine (anticamente denominato Polesine San Vito) in gran parte spazzato via dalle piene del Po (molti resti del vecchio borgo si trovano ancora sulla sponda opposta del fiume, mentre altri recuperati ormai molti anni fa giacciono, pressoché incustoditi, dietro al municipio).



Il santuario in questione prende origine da una antica e misteriosa immagine della Madonna, la Beata Vergine di Loreto. Misteriosa perché dipinta dalla mano di un pittore che, da sempre, è ignoto. Di lui non resta alcuna firma, non ci sono documenti che attestino, per esempio, qualche committenza. E’ quindi lecito supporre che possa trattarsi di un ex Voto (quindi sarebbe la testimonianza di una grazia ricevuta), oppure di un devoto omaggio che, secoli fa, venne fatto alla Vergine Maria, protettrice della zona, a salvaguardia da alluvioni e calamità derivanti dalla vicinanza del fiume. Calamità che, in epoche ormai remote, Polesine ha ben conosciuto visto che, come si diceva, il nucleo originario del borgo è stato spazzato via dal Po. Il fiume si è portato via l’antico castello, diversi edifici e ben due chiese parrocchiali: una nel XV secolo e una nel 1720. L’attuale, realizzata in posizione ben diversa rispetto a quella delle precedenti, è quindi, a conti fatti, almeno la terza chiesa parrocchiale di Polesine Parmense.



Tornando al santuario dedicato alla Vergine Lauretana, da secoli l’antica immagine dipinta a fresco dall’ignoto pittore, oggi conservata al centro dell’altare maggiore, è da sempre molto venerata dai fedeli locali. Le sue vicende sono sintetizzate in una lapide collocata sopra il portale di accesso al sacro edificio. Lapide che evidenzia che, nell’anno 1826, in seguito allo straripamento del Po, l’effige della Regina del Cielo fu asportata in blocco dall’edicola (infatti in origine, secondo quanto riportano i documenti storici, fu dipinta in una cappellina situata in riva al fiume) e riposta in una casa vicina. 


Ma, sedici anni più tardi, irrompendo nuovamente le acque, fu trasferita nella casa canonica e, in seguito, definitivamente, nell’attuale chiesetta che, i fedeli del paese, edificarono e adornarono nel 1846, su terreno espressamente donato dalla marchesa Leopoldina Pallavicino. Il sacro edificio fu progettato dall’architetto Giovanni Ghelfi e decorato internamente dal pittore Ferdinado Accarini, entrambi locali. Nel 1920 ci fu poi l’aggiunta dei portichetti laterali.



Per quanto riguarda l’iscrizione posta in facciata, questa testualmente recita: 

IMAGO VIRGINIS LAURETANAE / IN AEDICULA IDONIAE GENTIS AD PADUM JAMDIU DEPICTA / QUAM AN. MDCCCXXVI OB FLUMINIS ABLUVIONEM / LOCI ACCOLAE / DISSECTO CIRCUM PARIETE DOMUNCULA PROXIMA COLLOCARUNT / POST ANNOS XVI IRRUMPENTIBUS ITERUM AQUIS / IN AEDEM CURIALAEM INDEQUE IN NOVUM HOC SACELLUM DELATA EST / QUOD CULTORES COELESTIS PATRONAE / IN SOLO DATO A LEOPOLDINA PALLAVICINIA MARCH. / EXAEDIFICANDUM ORNANDUNQUE OBLAVERE AN. MDCCCXXXXVI /.




Internamente l’edificio, caratterizzato dalla struttura armoniosa voluta dall’architetto Ghelfi, presenta appunto la venerata immagine mariana in cui la Beata Vergine è rappresentata assisa in trono, con in grembo il Bambino, che stringe dolcemente a Sé.
Un’immagine che, stando a quanto si tramanda localmente, sembra avere davvero avuto effetti prodigiosi sulla comunità polesinese. Il Po, che da sempre accompagna le vicende delle popolazioni rivierasche, è riuscito con le sue acque a raggiungere e ad invadere la chiesa, negli ultimi decenni, in ben tre occasioni: nel 1951, nel 1994 e nel 2000. Quest’ultima fu la piena di maggiori dimensioni. Come confermano sia tanti fedeli che tanti anziani e cultori di storia del paese, in tutte e tre le occasioni, il Po si fermò sempre ai piedi dell’effige della Vergine. E così, di fatto, limitandosi ad invadere la sola golena, non allagò né il borgo né tantomeno gli altri paesi della zona. Casualità? Prodigio? Coincidenza? Miracolo? Gli interrogativi si mescolano e, come spesso accade, posizionano su fronti differenti credenti e non credenti, possibilisti e scettici. Non tocca certo a noi risolvere la questione, trattandosi poi di una di quelle vicende che probabilmente non potrebbero mai trovare una risposta in grado, per così dire, di accontentare tutti. 



Ci limitiamo però a evidenziare questo fatto, o meglio questi fatti. In tre occasioni su tre, nel giro di meno di mezzo secolo, il fiume ha invaso la chiesa della “Madonnina del Po”, minacciando anche di allagare il resto del paese (specie nel 2000 quando arrivò a lambire la sommità dell’argine maestro e il rischio di una inondazione fu veramente elevatissimo) ed in tutte e tre le occasioni si è fermato ai piedi dell’immagine mariana. Certamente un mistero, che carica di fascino e di importanza, questo luogo di pace. E, non a caso, un detto locale, piuttosto ricorrente quando si parla di questo luogo, afferma che: “Il Po non bagna i piedi della Madonna”.
Luogo in cui spicca anche un altro particolare, legato direttamente all’artistico campanile. Non è infatti difficile notare come questo sia una riproduzione, in miniatura, del celebre Torrazzo di Cremona che da qui, in linea d’aria, non dista che un a manciata di chilometri. Non a caso, localmente, è chiamato “Turasin”. Forse un festoso richiamo verso le popolazioni rivierasche dell’una e dell’altra sponda chiamate ad unirsi nella fede a Maria? Un altro affascinante interrogativo, dunque, per questo piccolo ma speciale luogo dove intere generazioni di fedeli, da tempo, si susseguono implorando, dalla Celeste Regina, protezione e grazie.
E da evidenziare inoltre che la devozione alla Madonna sotto il titolo di “Beata Vergine di Loreto” trae origine da un fatto prodigioso: infatti, secondo la tradizione, nel 1291 la casa di Maria a Nazaret fu trasportata miracolosamente in volo dagli angeli a Schiavonia, in Dalmazia, su una collina presso la città di Fiume e poi, nel 1294, nell’attuale località presso un bosco di lauri (Lauretum) dove sorse poi l’attuale basilica, iniziata nel 1468 sotto la cui cupola si trova la Santa Casa, meta ogni anno di un gran numero di pellegrinaggi.



Infine va anche rimarcato un altro aspetto. La devozione mariana delle popolazioni rivierasche si è manifestata in tanti luoghi, dell’una e dell’altra sponda, con la costruzione di chiese, cappelle e oratori. Solo ad una manciata di chilometri da qui, per esempio, a Pieveottoville, spicca, anche lei in golena, e a ridosso dell’argine maestro, la chiesa della “Madonna della Visitazione”, detta anche Madonnina del Po o Beata Vergine delle Grazie. Anche questa fu costruita dagli abitanti in onore della Vergine, invocata quale protettrice del paese dalla costante minaccia delle acque del fiume. La sua storia prende avvio proprio da un fatto prodigioso avvenuto nell’anno 1592 quando una precedente cappella, che conservava un’immagine taumaturga della Madonna, non fu raggiunta dalle acque del Po che invasero invece il circondario. Un evento, quello, che ebbe una larghi sima risonanza, richiamando fedeli da numerose località. E di cui diremo in un prossimo servizio.


FONTI BIBLIOGRAFICHE

D.Soresina, “Enciclopedia Diocesana Fidentina. Vol.III Le Parrocchie I Parroci Le Chiese”, Arte Grafica Fidenza, 1979.
G.Conti, “Il Grande fiume Po”, Mondadori 2012.
Archivio Parrocchiale

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9 maggio 2014

FIDENZA E LA BASSA PARMENSE – UN GRANDE GIACIMENTO ARCHEOLOGICO

di Paolo Panni



Quello fidentino, e più in generale della Bassa Ovest, è un territorio eccezionalmente ricco di scoperte, e sorprese, di carattere archeologico. Un giacimento di storia straordinario, un “museo sotterraneo”, che da Fidenza a Siccomonte, da Castione Marchesi a Vaio, per proseguire verso Busseto e la Bassa Parmense (e Piacentina) è di assoluta rilevanza. Ma ancora poco conosciuto. Fidenza meriterebbe, senza dubbio, un museo archeologico capace di mettere in risalto questa ricchezza.
E’ stato di grande interesse l’incontro dal titolo “Cenni sul popolamenti antico della Bassa Pianura Parmense a Ovest del Taro” che si è tenuto a Busseto in apertura della quinta edizione de “I martedì della storia – Conversazioni nella Bassa", rassegna promossa dal Movimento culturale per la Bassa Parmense col patrocinio dei Comuni di Busseto e Zibello e della Biblioteca della Fondazione Cariparma di Busseto. 



Relatrice d’eccezione, la dottoressa Manuela Catarsi, della Soprintendenza per il beni archeologici dell’Emilia Romagna. E’ stata lei stessa, in apertura di serata a definire quello della Bassa, e del Fidentino soprattutto, un territorio ricco a livello archeologico. “Tanti interventi isolati in trent’anni di attività – ha detto – hanno prodotto risultati nuovi sul popolamento antico di questo territorio, molto condizionato dall’idrografia”. Le tracce più antiche, come riferito dalla stessa Catarsi, al momento non vanno più indietro del Neolitico. E proprio rifacendosi a questo periodo si è soffermata sui ritrovamenti avvenuti a Soragna (Case Moruzzi), Paroletta di Fontanellato, ai Muroni di Sanguinaro, a Ponteghiara (dove esisteva già un villaggio nel V sec. A.C., oggetto di un importante scavo nel 1995), per poi parlare delle terramare del Castellazzo di Fontanellato e, soprattutto, di Castione Marchesi. Proprio nel caso di Castione, rifacendosi in modo particolare agli studi e ai ritrovamenti del Pigorini, ha ricordato che le arginature erano contenute da cassoni lignei (aspetto su cui permangono varie tesi) e, parlando dei ritrovamenti effettuati, ha sottolineato il rinvenimento di tracce di ambra del Baltico. Ambra che, tra le altre cose, aveva poteri taumaturgici e protettivi ed arrivava, probabilmente, nelle zone del Veneto per poi essere distribuita nei restanti territori della Pianura Padana. All’ambra è legata, come ricordato da Manuela Catarsi, anche la Leggenda di Fetonte, il figlio del Sole che volle guidare il carro del padre, ma non ne fu capace e così incendiò il cielo, bruciando gli uomini sulla terra. A quel punto Zeus lo colpì con un fulmine facendolo cadere nell’Eridano (il Po). Le Heliadi (sorelle di Fetente) piansero la morte del loro congiunto e Zaus, impietosito dal dolore, le tramutò in pioppi e le loro lacrime divennero gocce d’ambra.
In tema di terramare, Manuela Catarsi si è poi soffermata su quelle di Cabriolo, Alseno, Casaroldo di Samboseto, Castelnuovo Fogliani e della Montata di Roncole Verdi. Proprio a Roncole, nel 2010, durante i lavori di ampliamento del cimitero, fu fatta una strana scoperta. 



Venne infatti rinvenuto uno scheletro con, accanto ad un orecchio, un pugnale dell’età del bronzo. Emersero anche i resti di bruciature, a dimostrazione forse della presenza di un cimitero terramaricolo.
Passando quindi all’Età del Ferro, i ritrovamenti effettuati in questi anni, come spiegato sempre dalla Catarsi, hanno permesso di stabilire che, contrariamente a quanto sostengono alcuni storici e studiosi, gli etruschi raggiunsero anche le nostre terre. Sono stati infatti rinvenuti diversi siti dell’età del ferro. 






Su tutti ha definito fantastico, per l’Emilia Occidentale, quello di Siccomonte (trovato negli anni Novanta). “Qui – ha detto la Catarsi – abbiamo trovato cose stupefacenti legate agli etruschi”. Il tutto venne alla luce durante lavori dell’Aeronautica Militare per la posa di infrastrutture del ministero della Difesa. Grazie alla determinazione di Manuela Catarsi, e al suo prezioso impegno, vennero effettuati scavi e indagini geofisiche. Che hanno permesso di stabilire che, quello in questione, è un insediamento etrusco di oltre 11 ettari e mezzo, che fa tranquillamente il paio con gli insediamenti di Spina e di Marzabotto. 






Resti di villaggi etrusco vennero alla luce anche durante i lavori di realizzazione dell’ospedale di Vaio, a Castione Marchesi e in località Fondo Portone a Busseto. Quello di Siccomonte, secondo la Catarsi, era probabilmente un grande villaggio strutturato, poi saccheggiato con l’arrivo dei Celti. Di questi restano poche testimonianze ma “le più tangibili – ha detto la studiosa – sono nella zona di Fidenza”.
Passando quindi alla “Romanizzazione” si è ampiamente soffermata sulle differenze fra Parma (città di fondazione) e Fidenza (che nasce spontaneamente lungo la via Emilia) che si possono notare osservando anche la stessa conformazione delle due città. 


Ha parlato in modo particolare della celebre Tabula Patronatus di Campore, recuperata anni fa in una villa romana della stessa Campore di Salsomaggiore, mettendo in evidenza soprattutto gli studi effettuati da Mirella Marini Calvani.. “Fidenza, nata come praefectura nel corso del II sec. a.C. lungo, la via Emilia e divenuta municipium nel corso del I sec. a.C. – ha ricordato la Catarsi - era ancora fiorente nel 206 d.C., come attesta la tabula patronatus recuperata in una villa romana a Campore di Salsomaggiore.








In epoca tardoantica, tuttavia, soffrì a tal punto della crisi politica, sociale ed economica, che investì l’Impero romano da perdere ogni connotazione urbana al punto da non essere neppure più ricordata tanto che nella passio di San Donnino, si dice che il martire venne decapitato a 15 miglia da Parma sulle rive del torrente Stirone. Al ritrovamento del corpo santo e alla nascita del culto del martire si deve la ripresa della città, che prenderà il nome di Borgo San Donnino (Castrum Burgi Sancti Domnini) e si disporrà attorno alla sua tomba e alla Chiesa sorta su di essa”. 


Viene data inoltre per certa l’esistenza, nell’antica Fidenza di un tempio dedicato a Minerva il cui culto, in epoca celtica, era legato a quello delle acque salutari. Secondo Manuela Catarsi non è improbabile che le colonne più antiche della cripta della Cattedrale di San Donnino siano, in realtà, quelle che ornavano il remoto Tempio di Minerva. Fidenza, secondo gli studi effettuati, fu anche al centro di probabili combattimenti fra gladiatori, seppur quasi sicuramente sprovvista di un anfiteatro.
Si è poi parlato della Villa Romana di Cannetolo (emersa durante la realizzazione della linea ad alta velocità) dove sono stati rinvenuti numerosi oggetti agricoli, specie per la lavorazione del terreno, in un numero talmente abbondante da superare addirittura quelli di Pompei. Senza dimenticare la villa romana scoperta nell’area di fronte all’ospedale di Vaio (dove sono emersi anche i resti di una glareata) e gli scavi archeologici di via Bacchini e di piazza Pezzana.


Non sono mancati gli approfondimenti legati alla figura di San Donnino, patrono della città e della diocesi di Fidenza, e al ritrovamento di numerose sepolture emerse, pochi anni fa, durante lavori di scavo attorno al Duomo. Di fronte alla Cattedrale, all’altezza di Palazzo Bellotti, sono inoltre stati rinvenuti i resti dell’antico cantiere servito per la realizzazione della stessa grande cattedrale.


Passando al popolo dei Longobardi, Manuela Catarsi ha parlato del ritrovamento di tombe avvenuto a Fidenza in via Donatori del Sangue, soffermandosi anche sull’ampia toponomastica e sugli studi compiuti da Paolo Diacono, grande storico dei longobardi stessi.
Spostandosi appena fuori dal territorio fidentino, ecco che tra le notizie di questi ultimi anni, ha parlato del rinvenimento di canalizzazioni di epoca altomedioevale in località Colombara a Busseto, lungo la nuova tangenziale di Busseto, ma anche di tracce di palificate altomedioevali a Roncole Verdi e di una casa lignea all’altezza della vasca di laminazione sul cavo Ramazzone a Busseto. Infine ha dato notizia del ritrovamento dei resti di una fornace post-antica a Vidalenzo di Polesine (forse servita per realizzare i mattoni per l’originaria Villa Verdi), di antiche mura sotto la cappella della Madonna Rossa a Busseto e, freschissima novità, la scoperta di una villa romana nella zona di Pieveottoville dove sono emerse tegole bollate e il bollo stesso (realizzato in terracotta): prima volta a livello nazionale che avviene un ritrovamento del genere.

L’occasione è stata anche utile, infine, per sollecitare, ancora una volta, la creazione di un museo archeologico, a Fidenza.